di Corrado Federici
(tratto da Studi Evoliani 2014)
2014: Anno Evoliano. I convegni di studio dedicati al filosofo tradizionalista nel quarantennale della scomparsi e i nervi scoperti a destra e manca.
Nel 2014 Evola è stato al centro del dibattito intellettuale italiano. Il quarantennale della sua morte (11 giugno 1974) ha fornito l’occasione per presentare e discutere in convegni di studio la sua poliedrica produzione culturale ed il suo complesso pensiero. In realtà, quella di Evola è stata dal secondo dopoguerra ad oggi, una presenza significativa nel panorama interno ed internazionale delle idee, nonostante il circuito mediatico, totalitario ed illiberale, messo in campo dalle guardie bianche del Pensiero Unico, abbia cercato di tacitarla e di ghettizzarla, senza riuscire nell’intento. Il pensiero di Tradizione e stato al centro dell’attenzione esegetica di intellettuali critici nei confronti dello stato presente delle cose, le cui provenienze ideali sono le più disparate. Il lettore potrà constatare, dal sintetico resoconto dei convegni svoltisi nel 2014, la verità di tale affermazione, nonché le ragioni che rendono oggi imprescindibile il confronto con il filosofo romano.
Il primo è stato organizzato dalla Comunità militante Raido il 17 maggio a Roma. All’evento intitolato RigenerAzione Evola: la militanza contro l’accademia, hanno partecipato come relatori Rodolfo Sideri, Maurizio Rossi e Mario Polia. Dalla titolazione del convegno è possibile evincere le intenzioni dei promotori: politicizzare (ma chi lo ha mai de-politicizzato?) Evola, valorizzandone le indicazioni prassiste al fine di “liberarlo” dagli intellettualismi delle letture “accademiche” tese a depotenziarne (sic!) il lascito ideale. Come dire, ad ognuno il suo Evola!
A noi pare che un atteggiamento esegetico siffatto, “militante” e quindi limitante, anziché “rigenerare”, possa nel migliore dei casi produrre una riduzione del pensiero evoliano ad “immaginetta” ad uso e consumo di settari e ripetitori sterili (nel prosieguo torneremo in tema).
Sappia comunque il lettore che gli organizzatori dell’evento lo hanno, animati dalle stesse “ragioni” e con le medesime intenzioni polemiche, riproposto con lo stesso titolo, anche recentemente. Il 30 gennaio 2016 a Roma, presso la Sala l’Universale delle Arti, hanno preso parte a tale incontro in qualità di relatori Maurizio Rossi, Rodolfo Sideri e Claudio Mutti. Quest’ultimo, rispetto agli altri, giustamente più attento a sottolineare il valore delle posizioni evoliane, piuttosto che a polemizzare in modo sterile con persone non presenti all’evento.
Di diverso spessore l’evento tenutosi il 19 maggio 2014 a Milano, organizzato dal Coordinamento per la Sovranità Nazionale, durante il quale i convenuti hanno dibattuto il tema Dalla rivolta contro il mondo moderno allo Stato organico. Di fronte ad un pubblico attento e partecipe, sono intervenuti la responsabile del Coordinamento, Francesca Caricato, Giuseppe Blasio e Francesco Menna. Gli informati interventi sui tre relatori, sono riusciti a stimolare un profluvio di domande finali sui diversi momenti ed aspetti del pensiero evoliano, a testimonianza dell’interesse dei numerosi presenti. Il 19 maggio a Catania, presso la Libreria Feltrinelli (il nome è una garanzia!), Antonio Condorelli, Gianni Basile, Francesco Coniglione e Marco Iacona hanno presentato il volume di Ferdinando Massimo Adonia, Julius Evola, un pensiero per l’età oscura, di cui si darà conto nell’articolo riguardante i libri di argomento evoliano usciti nel 2014 e dintorni. La presenza di accademici, tra i quali Coniglione, la cui formazione francofortese è ben nota, dimostra quanto anche a “sinistra” sia sentita, nonostante le pregiudiziali e ancora diffuse chiusure ideologiche, la necessità di fare i conti con il tradizionalismo evoliano. Delle posizioni dello studioso catanese si dirà nell’analizzare un suo recente scritti dedicato ad Evola.
Il 7 giugno 2014 a Roma preso la Libreria e Galleria delle Arti “L’Universale”, la Fondazione Evola, la Scuola Romana di Filosofia politica e le Edizioni Mediterranee hanno organizzato il convengo Ottant’anni di “Rivolta contro il mondo moderno”. Presenti il Segretario della Fondazione, Gianfranco De Turris, Luca Valentini, Stefano Arcella, Nuccio d’Anna e Giovanni Sessa. Il lettore ha già potuto leggere, nell’apposita sezione di questo annuario, le relazioni di questo significativo e riuscito, dal punto di vista della partecipazione del pubblico, evento. Invece, l’11 giugno, data della scomparsa del filosofo, nella prestigiosa sede di palazzo Ferrajoli a Roma, la Fondazione Evola e Pagine Editore hanno dato vita ad un importante incontro culturale sul tema, Julius Evola oltre il muro del tempo. Ciò che è vivo a 40 anni dalla morte. Oltre a De Turris, erano presenti Diego Fusaro, Gennaro Malgieri, Andrea Scarabelli e Marcello Veneziani. Studiosi diversi per formazione e prospettive teoriche le cui posizioni rispetto ad Evola hanno, ognuno secondo la propria personale prospettiva, discusso. I loro contributi hanno affrontato questioni filosofiche, antiamericanismo, critiche al Pensiero Unico e alla decadenza occidentale (del libro di atti si parlerà nel saggio successivo di questo Annuario).
A Lanciano, il 14 giugno, presso la locale sede di CasaPound, un folto gruppo di giovani ha preso parte al dibattito Julius Evola 1974-2014. Metafisica del sesso ed idealismo magico. Tre i relatori: Alessio di Cuollo, Antonio Lallo, Daniele Laganà. Il 21 dello stesso mese a Napoli, con il patrocinio della Fondazione Evola, delle riviste Vie della Tradizione e Fenix, e delle Edizioni All’insegna del Veltro, le associazioni “Il Cervo Bianco” ed “EreticaMente” hanno dato vita ad una giornata di studio sul tema Evola, Antimodernità, Tradizione e Scienza dell’Io. Erano presenti in qualità di relatori Claudio Mutti, Andrea Scarabelli, Giandomenico Casalino, Stefano Arcella, Roberto Incardona, Daniele Laganà, Luca Valentini. Dei loro interventi daremo notizia presentando gli atti pubblicati in un numero unico di Vie della Tradizione. Il 26 luglio, inoltre, a Castelfranco di Sotto, Fratelli d’Italia, iniziativa di base e Ronin Pisa, hanno realizzato presso l’Orto di S. Matteo un incontro su Evola: rivoluzionario o conservatore, relatore unico, Maurizio Rossi.
Infine, il Convegno di studio di maggior spessore, L’Eredità di Evola, tenutasi a Roma il 29 novembre ed organizzato dalla Fondazione Evola e dall’Accademia dei Filaleti, presso la Sala Alessandrina dell’Accademia dell’Arte sanitaria. L’incontro è stato moderato e aperto da Giancarlo Seri, presidente dell’Accademia Nazionale dei Filaleti. Sono successivamente intervenuti ad fine di contestualizzare le ragioni del convegno ed introdurre al personaggio, Gianfranco de Turris, segretario della Fondazione Evola e Pietro Mander, presidente dell’Accademia “Città di Roma-Iside Pantea”. Nella prima sessione hanno reso la parola su specifiche tematiche del percorso evoliano Massimo Donà (Filosofia), Romano Gasparotti (Filosofia dell’eros), Claudio Bonvecchio (Tradizione italico-mediterranea), Vitaldo Conte (Arte-Poesia). Nella sessione pomeridiana sono poi intervenuti Davide Bigalli (Ermetismo), Giovanni Casadio (Storia delle Religioni), Mario Conetti (Storiografia), Giuseppe Parlato (Politica), Marco Fabio Fabbri (Islam). La qualità degli interventi è risultata di grande spessore ed interesse, trattandosi di docenti provenienti da diverse Università, studiosi accreditati dei momenti più importanti dell’opera evoliana. Il volume degli Atti, la cui lettura consentirà di fare davvero il punto sul valore del pensiero e della Tradizione di Evola sarà pubblicato dalle Edizioni Mediterranee.
Tutto bene allora, penserà ingenuamente il nostro lettore. Non è così. Infatti, subito dopo quest’ultimo convegno, diciamo pure quasi contemporaneamente, si sono scatenate una serie di polemiche che a “sinistra” hanno avuto per protagonisti alcuni esponenti del mondo accademico e a “destra” presunti “militanti” della Tradizione. Non c’è da meravigliarsi troppo, il mondo universitario italiano costruito scientemente, nei suoi tratti ideologici connotanti, fin dal lontano dopoguerra, sulla cultura dell’odio e dell’esclusione dei “diversi” rispetto a quello che oggi si chiama il “politicamente corretto”, di fronte all’evidenza della “rivalutazione” di Evola, ha fatto appello alle residuali difese ideologico-immunitarie di cui dispone.
Nervi scoperti a manca: Atto I
E lo ha fatto con acribia, con volontà discriminatoria, con toni quasi ricattatori. Sulla rivista on-line www.glistratigenerali.com, il 2 dicembre 2014 è apparso uno scritto a firma di Francesco Cassata, ricercatore in storia contemporanea, che nel riferire i soliti cliché utilizzati dai denigratori di professione, da decenni, nel tentativo di sterilizzare il pensiero di Evola (fascista, razzista, antisemita ecc.), ha sostenuto che gli “apologeti” del tradizionalista e organizzatori del convegno incriminato, avevano (nientemeno!) tentato un suo accreditamento nell’ambito degli studi storico-religiosi (il riferirsi a solo questo ambito di studi, e non a tutti gli altri presenti al convegno, è evidente indice di una manovra accademica interna e ad personam). Cosa, a suo dire, davvero impensabile, progetto da ostacolare e fermare ad ogni costo. A noi sembra che diversi studiosi di rango di questo ambito disciplinare abbiano già firmato i saggi introduttivi di specifiche opere di Evola, tra gli altri Jean Varenne, Pio Filippani-Ronconi, Seyyed Hossein Nasr, Marcello De Martino. Per la qual cosa, non riteniamo ci fosse neppure bisogno di ulteriore riconoscimento. Per altro, sostenere che questo tentativo di recupero scientifico-accademico del pensatore romano, abbia avuto l’avallo del potere politico “… durante il lungo ventennio berlusconiano” che avrebbe aperto “… le porte della redenzione al pensiero pseudoscientifico, pseudo storiografico e antimodernista”, è dire una colossale, ridicola sciocchezza che va contro i dati di fatto, purtroppo per noi. Berlusconi e i berlusconiani, riteniamo non abbiano mai sentito nominare Evola. Durante il “ventennio” del Cavaliere di Arcore, nelle manifestazioni e nelle feste di partito (AN) era proibito addirittura allestire stand per la vendita dei libri di Evola!
Figurarsi se qualcuno poteva pensare a strategie di inserimento universitario o di “accreditamento” di Evola, quale significativo studioso in ambito storico-religioso. Eppure Cassata, che si occupa di altra materia peraltro, rileva che “nella Storia delle religioni si è assistito all’ingresso di ogni sorta di infiltrazione metafisica, filoesoterica e perennialista”, diffusasi anche attraverso l’opera di Mircea Eliade. Ora è ben noto, anche al più sprovveduto dei lettori, che quest’ultimo è stato uno dei più rilevanti studiosi di religioni del secolo XX. Gettare ombre sulla sua produzione scientifica (come è stato fatto anche in passato), è ulteriore conferma del pregiudizio ideologico dei denigratori accademici e giornalistici. Anziché evocare “anticorpi storicisti” per fermare l’avanzare del metodo fenomenologico nelle nostre Accademie, non sarebbe stato più proficuo, una volta tanto, fare i conti con i propri errori e valutare secondo obiettività scientifica il lavoro di altri studiosi?
Come è stato notato, nei giorni delle polemiche, da Gianfranco de Turris in Evola, l’editoria negazionista sulle foibe e la libertà in Italia (www.barbadillo.it 5/12/14), anche la sintetica ricostruzione della figura di Evola che l’autore dello scritto presentava, non era priva di imprecisioni. Non veniva ricordata l’assoluzione in primo grado di Evola al processo FAR nel dopoguerra, si diceva il filosofo essere legato al neo-paganesimo, quando è noto che egli scrisse dei tratti negativi e/o regressivi del neopaganesimo, e soprattutto lo si presentava quale “cattivo maestro” del terrorismo nero. Evola fu totalmente estraneo a questo fenomeno criminale: se ci furono “cattivi o pessimi discepoli”, questo non è imputabile a lui. L’articolo di Cassata si chiudeva con un appello firmato da studiosi di storia delle religioni, come lui non è, a vigilare perché la rivalutazione di Evola venisse bloccata nelle Università italiane in quanto, soprattutto in Storia delle religioni, “la ricerca accademica in chiave localistica e antiscientifica ha raggiunto livelli di retroguardia allarmanti”. A causa di Evola e di Eliade? Non forse per la distruzione sessantottesca degli studi in questo Paese e per al gestione dei concorsi, grazie ai quali tanti “amici degli amici” sono saliti in cattedra immeritatamente? La democrazia escludente, anche in ambito culturale, è davvero strana cosa. Ce lo ricorda ancora De Turris, nell’articolo sopra menzionato: lo stesso giorno della pubblicazione dello scritto di Cassata, è comparsa su Il Giornale un’intervista all’assessore alla Cultura della Regione Friuli, Gianni Torrenti, relativa al finanziamento di 20.000 euro, stanziato dalla stessa Regione, a favore della casa editrice Kappa Vu di Udine, che pubblica testi negazionisti in merito alle foibe. Torrenti ha dichiarato: “Non sono assolutamente d’accordo con le tesi negazioniste del dramma storico delle foibe, ma se bloccassimo in fondi andremmo ad intaccare la libertà di espressione del libertà di espressione e di pensiero”. Ecco, c’è da augurarsi che la libertà di espressione e di pensiero non valga, come il più delle volte è stato finora, a senso unico. Speriamo che essa venga rispettata, a dispetto dei vigilantes di ieri e di oggi, anche per Evola e quanti si pongano oltre i confini del “politicamente corretto”. La Costituzione “più bella del mondo” deve valere per tutti.
Nervi scoperti a manca: Atto II
Ma non è finita! Lo stesso variegato gruppetto di “storici delle religioni” & amici vari ha riaperto le polemiche un anno dopo l’evento. A monte delle nuove prese di posizione va posta la discussione delle tesi del volume collettaneo The Study of Religion under the Impact of Fascism (Brill, 2007), testo informato ma caratterizzato da una buona dose di preconcetti ideologici. Gli otto firmatari del primo documento hanno organizzato allo scopo il seminario “Relazioni pericolose. La storia delle religioni italiana e il fascismo” che si è svolto il 3-4 dicembre 2015 all’Università “Sapienza” di Roma. Per la verità di questo rapporto fra la storia delle religioni italiana e il fascismo storico in quanto tale si è dibattuto poco o nulla, in quanto gli interventi sono stati tenuti o su argomenti generali (ebraismo e razzismo, cattolicesimo e Concordato), oppure su escatologia, agape e guerra: una italianista con toni vagamente isterici ha tacciato Pascoli di “protofascismo” e si è “democraticamente” lanciata in invettive ideologiche. La medesima situazione si è riproposta nelle relazioni dedicate a personalità che si sono volute inserire strumentalmente, come in quella che un “ricercatore indipendente” ha dedicato a Mircea Eliade, contestata per le sue esagerazioni e provocazioni (imbarazzanti per gli stessi organizzatori), oppure un’altra su Furio Jesi, pura esposizione agiografica, su un autore, Jesi, il cui unico “merito” sembra essere stato la demonizzazione della “cultura di destra”.
Gli interventi relativi a specifici studiosi tra i più significativi della storia delle religioni italiana (diversi i dimenticati, da Macchioro a Bretich) sono stati di maggior interesse, con un approccio fra il neutrale e il fazioso, nel senso che hanno rivelato aspetti inediti di questi docenti che sono alle spalle di tutti quelli attuali, in quanto loro formatori o maestri. Ed ecco, come ha notato Gianfranco De Turris, presentare “Raffaele Pettazzoni e Giuseppe Tucci, due colonne, organici al fascismo ma per convenienza, veri funzionari del regime solo per finanziare i propri studi e ricerche. Vero è che di Tucci si è tralasciato quasi tutto a cominciare dai suoi fondamentali rapporti con il Tibet e della sua funzione politica in Giappone (en passant è stato definito organico anche Pio Filippani-Ronconi: evidentemente si ignora che è nato nel… 1920!)” (Psicodramma alla “Sapienza”. Come uccidere i padri “fascisti” della Storia delle religioni italiana, www.barbadillo.it del 28 dicembre 2015). Altra “scoperta” significativa, tratta dalle relazioni, riguarda la relazioni, riguarda la “religione civile” di Ernesto De Martino, dapprima fascistissima per divenire poi liberal-azionista e infine comunista, che lo accompagnò nel suo personale tragitto politico, senza scandalo veruno. Ma c’è di meglio “Dario Sabbatucci, ex RSI (non se n’è mai vergognato, come sa chi lo frequentò) fu fascista sino alle midolla sia con la sua rivista Occidentale, cui collaborarono ex fascisti e giovani neofascisti, ma anche nella sua interpretazione della storia delle religioni, che peraltro era fuori del tempo e non aveva capito nulla di quanto accadeva nel mondo, tanto che la “scuola romana” iniziata con Angelo Brelich e proseguita da Sabbatucci e altri dopo di lui, sarebbe miseramente fallita, senza lasciare tracce. Come dire: meno male che adesso ci siamo noi…” (G. De Turris, ivi).
Il seminario, in conclusione, è stato deludente per il comune denominatore del livore strumentale che ha connotato il tono dell’intera giornata. Non sono stati suscitati nemmeno quegli “anticorpi storicistici” auspicati dal Cassata… L’intento organizzativo era quello di approfondire il tema soprattutto fra gli specialisti “suscitando una reazione”, ma diversi relatori non erano storici delle religioni. Non si capisce in che modo si volesse “rispondere” al convegno evoliano di un anno prima, precisa ancora De Turris, tenuto presente che queste erano le intenzioni dette o non dette: nell’introduzione al seminario si è infatti affermato che “durante la seduta di una riunione, qualche mee fa, è emersa la questione se Evola potesse essere incluso tra gli storici delle religioni e da qui è nata l’idea di questo convegno..”. Che, però, del casus belli Julius Evola non ha parlato affatto, a parte un paio di minimi accenni occasionali sparsi qua e là. Si è trattato di un vero psicodramma messo in scena alla “Sapienza”: “uccidere” in termini psicanalitici i padri nobili della storia delle religioni italiana per mondarsi oggi del loro nefasto influsso. Un’operazione fallita, modesta e quasi isterica allo stesso tempo. Importante solo per il ristretto gruppo dei promotori che hanno manifestato di esistere. Ognuno difende le proprie posizioni culturali di potere come può… Ma non lo potrà fare in eterno.
I nervi scoperti a destra
Un’ulteriore contestazione era però necessaria per bilanciare la situazione: il convegno L’Eredità di Evola e il modo in cui è stato realizzato hanno fatto arricciare il naso, anzi alzare gli scudi dello scandalo, pronunciare dinieghi ideali, non solo a manca ma anche a destra, come ora si dirà. Assai interessante è rilevare la coincidenza delle argomentazioni utilizzate dagli uni e dagli altri, espressione psichica e intellettuale della tarda modernità. In realtà, si tratta della stantia riproposizione dei soliti luoghi comuni sul pensiero di Evola (ritenuti negativi dagli uni, positivi dagli altri) con i quali da decenni si etichetta – da parte di certa sinistra intollerante, ormai incapace di leggere la realtà del presente per potervi agire, e di certa destra che si definisce “militante” – la visione del mondo di Evola, il quale viene “ridotto” a pensatore di volta in volta fascista, razzista, antisemita e chi più ne ha più ne metta. Giudizi, nella maggior parte dei casi, espressi da meri “cursori” dell’opera di Evola, in alcuni casi vittime del pregiudizio ideologico, non da suoi veri studiosi. A queste riduttive “immaginette” si sono richiamati critici duri e puri della militanza “tradizionale”di area romana nello stigmatizzare negativamente la convergenza accademico-massonica che si sarebbe realizzata nel convegno del 29 novembre. Questi si sono scatenati in Rete reclamando una ri-politicizzazione, RigenerAzione di Evola, depotenziato dalla lettura espressa dalla fondazione. Per tali critici Julius Evola, in prima persona, ormai più di cinquant’anni fa, coniò l’epiteto di “evolomani”, sapendo per esperienza diretta con chi avesse a che fare. Pur se in buona fede, nel corso del tempo hanno prodotto molti danni all’opera del filosofo e alla ricezione del suo pensiero e ne hanno determinato la ghettizzazione culturale. Lui stesso condannò certe ottusità a voce e per iscritto, e non lo si può ignorare se si è, appunto, in buona fede, riconoscendo certi errori metodologici e strategici. Ed è questa la vera ed ancora in parte vigente “neutralizzazione”, “sterilizzazione”, “svilimento” della visione del mondo evoliana, non certo determinata dalla pluriennale attività della Fondazione, il cui scopo da sempre è stato quello di far circolare la Tradizione del pensatore, farla vivere, attraverso il dibattito e il confronto con chi, libero da preconcetti, anche tra gli accademici, ne rilevasse il valore e la potenza. Sicchè, chi scambia il “dito” per la “luna” del messaggio evoliano e, più in generale, tradizionale, deve essere cercato altrove e non nella Fondazione, che ha curato direttamente o indirettamente dozzine di volumi di testi evoliani e ha praticamente concluso l’edizione critica delle sue opere, a cui nessun altro in precedenza si era accinto. Fosse stato per i “militanti” duri e puri, il pensiero di Evola sarebbe rimasto a livello settario, chiuso nel ghetto dei fondamentalisti amanti della lettera e non del senso profondo delle sue opera. Una “lettura” da sezione di partito.
E, a costo di ulteriormente scandalizzarli, si aggiungerà che per far separare questi steccati di ottusità la Fondazione è disposta a collaborare con tutti, compresi il diavolo e l’acqua santa, in una prospettiva del tutto “laica”, avversa ai dogmatismi e ai fideismi ideologici e intellettuali, purchè ci sia libera espressione e non certo strumentalizzazione. Chi ha paura di “contaminarsi” evidentemente non è sicuro di se stesso, del proprio carattere, del proprio spirito e delle proprie idee. Peraltro, se i critici (di una parte e dell’altra) avessero personalmente assistito al convegno del 29 novembre 2014 (ma è forse troppo pretendere da certi ambienti settari, che non sembrano aver capito neppure, nei loro proclami, che l’autoreferenzialità “gruppettara” è voluta dalle logiche del sistema ed è inscritta nel codice genetico della modernità divisiva), avrebbero appreso dai relatori come Evola non possa esser ridotto allo stereotipo di pensatore sic et simpliciter “fascista.” La cosa, lo ricordiamo per inciso, la si evince anche da una recente pubblicazione della vituperata Fondazione (J. Evola, Mito e realtà del fascismo, Pagine, Roma 2014), da cui emerge una figura di intellettuale presente e attento al proprio tempo, aperto alle correnti culturali più stimolanti della filosofia europea.
Inoltre, chi tra i commentatori della Rete ha avvicinato Evola a posizioni di razzismo biologico, citando articoli a supporto della sua tesi, dovrebbe chiedersi per quale motivo Evola abbia scritto decine e decine di saggi e articoli negli anni Trenta e Quaranta in cui prendeva nettamente le distanze dal razzismo nazista. E per quale motivo sia stato guardato con diffidenza da molti degli ambienti vicini al nazionalsocialismo. Per non parlare della sua profonda eterodossia rispetto agli ambienti razzisti italiani al punto di essere cacciato da La difesa della razza, posizione ben documentata da Marco Rossi nel suo Esoterismo e razzismo spirituale (Name, Genova 2009), testo che potrebbe serbare numerose sorprese a chi vive di luoghi comuni. Costoro dovrebbero sinceramente chiedersi se la loro interpretazione sia più corretta di quella di Evola stesso. Tra i molti scritti citabili, ricordiamo almeno quelli raccolti in Rassegna Italiana (1933-1952) (Fondazione Evola-Pagine, Roma 2012) in cui Gian Franco Lami, curatore del volume, chiarì magistralmente per quali ragioni il razzismo spiritualista di Evola, in linea con l’antropologia classica, sia una realtà teorica che si diversifica in modo chiaro dal razzismo.
Altra, e non ultima, ragione di scandalo è stata individuata, lo ricordavamo, nel fatto che la Fondazione abbia organizzato il convegno assieme all’Accademia dei Filaleti, espressione di ambienti massonici. Secondo alcuni ciò di fatto comporterebbe l’aver lasciato l’eredità di Evola ai “fratelli”. Pura allucinazione. Durante il convegno (se i critici dal naso all’in su si fossero degnati di essere presenti invece di parlare per preconcetti o per sentito dire) nessuno dei relatori ha “interpretato” Evola in chiave massonica, non c’è stata alcuna “appropriazione” o “strumentalizzazione” massonica del suo pensiero: l’unica “eredità” alla quale gli organizzatori pensavano (non difficile capirlo), era quella culturale propria del pensatore tradizionalista. Quell’eredità – la quale, ancora negata da taluni rappresentanti della cultura ufficiale, continua, almeno in certi ambienti residuali a sinistra e a destra, a fare scandalo – è stata, come la pubblicazione degli atti dimostrerà, difesa e sostenuta da tutti gli intervenuti. Evola, per fortuna, superiore ad ogni pregiudizio così come ad ogni forma di santificazione politica, è stato semplicemente interpretato come un pensatore centrale per il suo ed il nostro tempo.
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