A cura della Redazione di RigenerAzione Evola
Come tutti sanno, la vicenda terrena di Julius Evola ebbe a concludersi l’11 giugno del 1974. Già molto provato negli ultimi mesi di vita, sempre più affaticato, il Barone morì nella sua casa di Corso Vittorio Emanuele a Roma. Ma, quel che avvenne dopo la sua morte – anche a causa delle polemiche che seguirono – è per molti versi un mistero.
A questo proposito, vogliamo anticipare che per i tipi di Cinabro Edizioni, al principio dell’autunno uscirà il testo completo di un’intervista totalmente inedita realizzata nel 1973 a Julius Evola presso la sua abitazione romana da alcuni giovani militanti romani, e custodita per decenni dal gruppo di Heliodromos, sotto il titolo “A colloquio col Barone”, a cura di RigenerAzione Evola.
Tuttavia, in questa sede, ci preme raccontare ciò che avvenne subito dopo la morte di Evola, ricollegandoci e anticipando in qualche modo l’opera editoriale di imminente pubblicazione.

La foto spacciata dal fotografo Sandro Becchetti come l’ultima immagine di Evola sul letto di morte, ma che risaliva in realtà a diversi mesi prima della scomparsa del barone, e che fu pubblicata a corredo della falsa ultima intervista che Evola avrebbe rilasciato al giornalista de “Il Messaggero” Costanzo Costantini, col significativo titolo di “Delirio Nero” (4)
Delle vicende legate alla morte di Evola ed all’esecuzione della sua volontà di essere cremato, e le ceneri disperse, molto è stato detto. In linea con lo spirito della nostra iniziativa, non è questo il caso di riaprire vecchie e sempreverdi querelle. Ci limiteremo perciò a ricordare che Evola, pur non avendo lasciato delle vere e proprie disposizioni testamentarie nel merito, pure, ebbe a indicare a persone di sua fiducia, ed in più circostanze, come procedere per i suoi resti mortali dopo il suo trapasso (1) .
Tralasciando, dunque, quanto realmente avvenne nel dare materiale esecuzione alle volontà testamentarie di Evola circa le sue spoglie, e alle annesse polemiche e responsabilità, vogliamo qui raccontare brevemente quanto avvenne negli istanti immediatamente successivi alla morte di Evola e su cui pochi, pochissimi, sono davvero informati.
Come detto, Evola spirò all’interno dell’abitazione romana dove visse i suoi ultimi anni grazie alla generosa ospitalità della contessa Amalia Baccelli-Rinaldi. Proprio a quest’ultima il 30 Gennaio 1970 Evola aveva affidato una lettera (2) in cui esponeva chiaramente le sue ultime volontà, dove fra l’altro affermava: «E’ da escludersi qualsiasi forma di corteo funebre, di esposizione in chiesa e di intervento religioso cattolico»(3) .
In linea con quanto richiesto da Evola, infatti, la sua salma venne appoggiata in una bara alla quale venne – proprio sul momento – rimosso il crocifisso che vi era stato apposto dall’agenzia funebre. Ad occuparsi del trasporto della bara di Evola, furono quattro membri del Gruppo dei Dioscuri di Roma, che dopo aver rimosso e occultato il simbolo come da volontà di Evola, si incaricarono di portarla a spalla fin dentro il carro funebre in strada. I quattro “dioscuri” indossavano un abito bianco, facendo bella mostra di un fiore rosso all’occhiello (5). Questo particolare che, pure, potrebbe sembrare in dissonanza con il più classico colore nero dei funerali, doveva per l’appunto rappresentare un modo diverso di vivere il trapasso di Evola e la sua liberazione dall’esistenza terrena quasi con spirito di gioia e senza afflizione.
Una volta in strada, analogamente a quanto fatto per la bara, anche al carro venne rimossa ogni effigie religiosa, sempre per richiesta dei presenti. E, perciò, senza insegne religiose, la salma di Evola si recò così verso il cimitero del Verano. Per le vicende successive alla cremazione ed alla dispersione delle ceneri, valga quanto detto sopra.
Queste piccole note, al di là d’ogni morbosa curiosità, ci restituiscono il ricordo dell’ultimo saluto a Julius Evola, visto che per sua volontà non si doveva tenere alcun corteo o celebrazione né laica né, tantomeno, religiosa. Dobbiamo, perciò, considerare questa traslazione come l’ultimo saluto a Julius Evola.
Tale testimonianza raccolta dalla viva voce di uno dei presenti chiude, simbolicamente, un cerchio temporale e ideale allo stesso tempo. Quello, cioè, fra gli ultimi mesi di vita del Barone che abbiamo descritto nel volume di prossima pubblicazione e la sua scomparsa terrena; e quello fra i suoi insegnamenti – così eroicamente trasmessi anche nelle fasi finali e più dure della sua esistenza terrena – e quell’ambiente politico ed umano che, abbeverandosi a quegli insegnamenti, da quel momento in poi, avrebbe però dovuto fare a meno del suo Maestro.
Note
(1) Cfr. Abaris, Documenti e testimonianze relativi alle vicissitudini dei resti mortali di J. Evola, in “Arthos”, n.7, Settembre-Dicembre 1974.
(2) Identica lettera era stata affidata da Evola anche all’amico nonché suo medico curante Placido Procesi.
(3) Centro Studi Evoliani (a cura del), Alcune lettere inedite di Julius Evola (1969-1973), in “Arthos”, n.7, Settembre-Dicembre 1974.
(4) Per approfondire la vicenda, si veda il nostro speciale “Delirio nero”: la falsa ultima intervista di Evola”.
(5) Da testimonianze assolutamente attendibili pervenute alla nostra Redazione, ci è stato fatto notare che anche i membri del gruppo dei “Giovani” di Ordine Nuovo, quel giorno, si presentarono presso l’abitazione di Evola sfoggiando un garofano rosso all’occhiello.
'Abito bianco e fiori rossi: come si svolse (davvero) l’ultimo saluto a Julius Evola' has no comments
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