Attualità di un inattuale

di Gianfranco De Turris

(Tratto da Il Borghese)

Da cosa deriva l’attualità o la non attualità di un filosofo? Il fatto che di un pensatore se ne parli o non se ne parli più quando sono trascorsi centodieci anni dalla nascita e a quasi quaranta dalla morte? Non tanto dal valore che alle sue idee assegna l’establishment culturale, l’intellettualità al potere, il giornalismo che bene o male plasma e condiziona l’opinione pubblica, quanto – io credo- dalla capacità del suo sistema di pensiero, delle sue categorie filosofiche, dei suoi strumenti d’indagine, dei suoi punti di riferimento metafisici e metastorici, d’interpretare convenientemente e di spiegare in modo soddisfacente la Realtà nei suoi molteplici aspetti, fornendo cosi a chi a lui si riferisce la metodologia necessaria per compiere una simile operazione. Ritengo che Julius Evola, proprio perché spesso definito un “inattuale”( il che è diverso dall’essere “non attuale”) abbia queste capacità e le possa conferire. Non è quindi un nome superato da altri e da altre posizioni, le sue opinioni non sono obsolete (nei loro fondamenti ovviamente, non negli aspetti contingenti e occasionali) di conseguenza non è da relegare negli scaffali alti e irraggiungibili di una biblioteca o negli scantinati non più frequentati di casa, come qualcuno ha anche detto, limitandosi a considerare e a criticare soltanto alcuni aspetti del suo pensiero. La sua “visione del mondo”, dunque è attuale e, elemento ancor più importante, utile per confrontarsi con la realtà che ci circonda. Tutti coloro che ragionano con la propria testa e non si fanno abbindolare dai pifferai politici e ideologici odierni, si rendono ben conto della situazione generale in cui ci troviamo a vivere in questo momento epocale e quindi sono consapevoli che è necessario – almeno per una sopravvivenza personale e quindi interiore – avere dei punti di riferimento chiari e saldi.

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“L’uomo, smemorato, galleggia sul Nulla, naviga sul Lete” (nell’immagine, l’immersione di Dante nel fiume Lete, dettaglio dell’opera di Gustav Doré)

Checchè se ne possa dire e ironizzare, solamente un riferimento che allo stesso tempo sia filosofico, esistenziale e spirituale consente di fornirli. Non si può andare allo sbando, a caso, a meno di non voler vivere occasionalmente, sull’onda degli avvenimenti, non contrastandoli, addirittura assecondandoli, come appunto propone il cosiddetto “Pensiero Debole”. Soltanto chi ha elaborato una “ visione del mondo” complessiva e si è addentrato nei vari aspetti, teorici e pratici, del nostro vivere qui ed  ora, può essere utile alla bisogna. Un pensatore che ha fornito questi punti di riferimento ritengo sia proprio Julius Evola. Cerchiamo di individuarli sinteticamente quindi di dare una risposta al perché sia necessario ricordarlo ogni qualvolta se ne presenti l’occasione e quindi ristampare le sue opere criticamente, recuperare i suoi testi dispersi, analizzare il suo pensiero multiforme e leggerlo, meditarlo (perché ogni qualvolta lo si rilegge si scoprono aspetti nuovi e diversi, anticipazioni inaspettate e vere e proprie profezie sul nostro tempo) e farvi riferimento tutte le volte che sia possibile. Oggi lo dicono praticamente all’unanimità psicologi, sociologi e antropologi – regolarmente inascoltati – l’uomo è totalmente sradicato, non ha più alcun punto di riferimento nelle tradizioni nazionali, locali e addirittura familiari, che non soltanto si dimenticano, ma si tende a distruggere, se non denigrare a al limite condannare vergognandosene. L’uomo, smemorato, galleggia sul Nulla, naviga sul Lete. Molto difficile provare che non sia cosi. Julius Evola basa la propria “visione del mondo” sull’esistenza di una Tradizione Metastorica, che però di volta in volta e in modi diversi, si è calata nella Storia, e a questa Tradizione si riferisce: non con una nostalgia sentimentale, ma nel tentativo di riproporne, attualizzandoli, gli insegnamenti perenni. Attraverso valori e simboli, atteggiamenti e mentalità, l’uomo non è più cosi in balia del divenire storico, senza alcun appiglio, privo di un qualsiasi ancoraggio ideale. Questo significa anche un riferimento a tradizioni particolari e locali, senza peraltro cadere in un ridicolo bozzettismo paesano.

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“Oggi cerca di consolidarsi una dittatura morbida che (…) tende ad imporre non soltanto quello che è stato definito il Pensiero Unico, ma anche il Comportamento Unico”

Il collegamento alla propria storia – fatta di episodi e personaggi, comportamenti ed affermazioni di principio – fa sì che non si venga travolti dall’annullamento di ogni specificità, come vorrebbe il nuovo modello che va sotto il nome di “Globalizzazione”. Oggi cerca di consolidarsi una dittatura morbida che, pur non ricorrendo a strumenti autocratici classici, tende ad imporre non soltanto quello che è stato definito il Pensiero Unico, ma anche il Comportamento Unico: lo stesso modo di ragionare, ovviamente gli stessi “valori”, gli stessi sentimenti, ma anche l’identico modo di palare, di vestire, addirittura di mangiare: quel che si definisce “politicamente corretto” imposto da una lobby culturale, ideologica e religiosa attraverso i mass media mondiali che ha generalizzato e “mondializzato”, reso oggettivo, un punto di vista esclusivamente soggettivo. Evola al contrario valorizza le differenze e le singole specificità, personali e nazionali: ci si dimentica delle sue parole contro la dittatura, il totalitarismo, il bonapartismo, il cesarismo, lo “Stato da Caserma” che vorrebbe tutto irreggimentare, tutto regolare, tutto prevedere, tutto vietare: lo Stato, egli dice, deve essere Omnia Potens e non Omnia Facens. Come ancora oggi si vorrebbe, nonostante che si faccia un gran parlare di “liberalismo”, di “Stato Leggero”, e di “Federalismo”.

Il contraltare a tutto ciò è invece uno “Stato Organico”, che ha un forte potere centrale ideale e (perché no?) spirituale, di indirizzo basato sul riconoscimento e l’accettazione della diversità, i corpi intermedi, la delegazione del potere realizzativo da questo centro ideale e spirituale alla periferia, il tutto collegato da sinergie e una fedeltà a principi comuni e condivisi che impediscono fughe in avanti e deragliamenti. Insomma come un tempo erano costituiti, e funzionavano i grandi imperi tradizionali. Dopo il crollo del muro di Berlino (1989) e la disgregazione dell’URSS (1991) è stata teorizzata la “fine della storia”, nel senso di vittoria definitiva dell’occidente democratico sull’oriente del “socialismo reale”. Pur se le vicende degli ultimi venti anni dimostrano che non è affatto cosi, si continua a discettare su una supremazia intrinseca del pensiero liberale e liberaldemocratico, del liberismo e del libero mercato. Evola ha invece spiegato nel dettaglio quali siano le origini e le responsabilità del liberalismo, le sue radici illuministiche, la nascita dal suo seno del socialismo e del comunismo e cosa di esso al limite si possa accettare e cosa invece si debba in tutti i casi respingere ancora oggi, al di là di ogni infatuazione. Non siamo di fronte ad una nuova panacea universale.

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Dalla ghigliottina della rivoluzione francese alla dittatura dell’omologazione

Oggi siamo in preda ad un “buonismo”, addirittura imposto per decreto, obbligatorio per legge, secondo un atteggiamento tipico dei filosofi illuministici stile Rivoluzione Francese e degli “ingegneri dell’anima” sovietici post-Rivoluzione Bolscevica, quindi un atteggiamento irreale voluto da intellettuali “irrealisti”, che ha le sue radici nell’utopia della bontà innata dell’essere umano rovinato poi dalla società, tendendo cosi all’attuazione di un livellamento verso il basso, alla manifestazione coatta di un sentimentalismo giulebboso e prosaico, salvo poi infliggere pene durissime ai trasgressori di tali leggi comportamentali, mentre i pluriomicidi sono giustificati e dopo poco tempo vanno a spasso per l’Italia, per non parlare degli ex terroristi che pontificano sui giornali e sulla televisione. Evola, nella sua spietata analisi della società contemporanea, è del tutto realista, ne riconosce i mali e i difetti e se propone un cambiamento, prima interiore e solamente dopo esteriore, lo propone verso l’alto, in direzione di valori più ardui e più difficili  da raggiungere ormai dimenticati: lealtà, onestà, senso di responsabilità, comprensione e valorizzazione delle differenze personali e collettive, onore, fedeltà alla parola data, assenza di compromessi, dignità, disinteresse, impersonalità attiva, realizzazione spirituale interiore.

Oggi di conseguenza, viviamo intrappolati in un vero e proprio sistema della Menzogna, e, quindi, di vera e propria de-responsabilizzazione: da un lato le parole non corrispondono più esattamente ai soggetti cui riferiscono, ma ne costituiscono un ridicolo eufemismo “buonista”, dall’altro le informazioni che ci giungono attraverso i nuovi mass media son per lo più filtrate, selezionate, manipolate, inquinate ideologicamente e non corrispondono affatto, o solo in minima parte, a quanto veramente accade: in tal modo non solo offrono una visione falsata della realtà, ma anche tentano (e in gran parte riescono) di condizionare la gran massa di pubblico verso specifiche e faziose interpretazioni. Per non parlare delle vere e proprie menzogne, bufale mediatiche, spacciate per veritiere attraverso la Rete dove la quantità abnorme di falso prende il posto del vero e alimenta una vera e propria sindrome paranoide. Evola, al contrario è per l’affermazione di una verità, prima interiore e poi esteriore, privata e pubblica, per un rigore che non è moralistico ed ipocrita, ma espressione dei sentimenti superiori dell’essere umano, a seconda del luogo che egli occupa nella società. Una verità che è diretta conseguenza dei principi in cui esso crede e che professa nell’ambito di una società che fa riferimento ad un centro spirituale e metafisico ma “politico” al di spora delle parti: e non potrebbe essere altrimenti. Il sistema della Menzogna esiste e prolifera, appunto perché sono ormai scomparsi nel comune sentire, dignità,onestà, responsabilità, onore, rifiuto dei compromessi, disinteresse, fedeltà alla parola data.

Il Regno della quantità ed i segni dei tempi-guenon-kali yuga

“Il Regno della quantità ed i segni dei tempi”, opera in cui Guénon disegna magistralmente i tratti dell’epoca oscura in cui viviamo, dalla solidificazione alla dissoluzione finale

Oggi viviamo nel “guenoniano” Mondo Della Quantità, della massa indifferenziata, dove quel che conta è il numero, dove tutto viene livellato assai più in basso di una Aure Mediocritas penalizzando i migliori, gli emergenti, in cui si deve essere obbligatoriamente tutti eguali nel corpo, nell’anima e nello spirito, in cui chi proclama esistere diversità tra gli uomini e tra le culture viene accusato, osteggiato, addirittura condannato penalmente in nome di leggi ad hoc, cioè leggi contro la libertà di pensiero, e gli vien tolta la possibilità di parlare e scrivere, naturalmente in nome della “democrazia”, sia essa liberale o progressista. Evola non ha paura di affermare e di spiegare come il nostro invece sia un mondo in cui esistono e persistono nonostante tutto le differenze, in cui non si è affatto tutti eguali, in cui ci possono essere disparità anche molto profonde, ma come quelle che contano siano le differenze spirituali in base alle quali egli ha teorizzato una gerarchia di valori, al punto che – ha scritto – non ci sono difficoltà ad ammettere che un “giallo” o un “indù”, un “arabo” o un “pellerossa” possano essere superiori rispetto all’ “uomo bianco”. Oggi ci stiamo avviando verso una mucillagine psicologica, una regressione al pre-personale, al naturalistico, quasi all’animalesco, ad una assenza di vero carattere, al sentimentali stico, ad una mescolanza di individualità: la massificazione prodotta dall’uniformità di pensiero e di comportamento si estende sempre di più senza che se ne faccia caso, senza alcun motivo di preoccupazione. Evola al contrario oppone una “visione del mondo” in cui al centro vi è una persona ben consolidata, che è un passo avanti, un adeguamento, del suo iniziale concetto di individuo: soltanto in questa maniera è possibile resistere alla travolgente e all’apparenza inarrestabile avanzata della Modernità: si pensi a strumenti attualissimi come sono la Rete e la Realtà Virtuale e all’assuefazione, al condizionamento e alla patologie che esse – è ormai dimostrato – producono, per non parlare della loro applicazione ludica come i videogiochi: soltanto un Io ben saldo, una personalità formata, un uomo “differenziato” come lo definisce Evola, cioè un individuo che si distingue per le sue caratteristiche psichiche e interiori dalla massa, può sopravvivere lungo la via senza perdere la sua unicità, la sua identità, non sciogliendosi, se cosi si può dire, nel mare magnum elettronico, cibernetico, massmediatico.

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La rivoluzione sessuale sessantottina, anticamera del pansessualismo contemporaneo

Oggi, da un lato imperversa quello che Evola, già negli anni settanta, definiva “pansessualismo”: un’ossessiva e pervasiva presenza del sesso che lo degrada e lo banalizza al punto tale che, nonostante le apparenze, sortisce ormai uno scarso effetto, tanto che gli psicologi e i sessuologi lanciano l’allarme per un sempre più diffuso “calo del desiderio”; da un altro lato, l’eros diventa virtuale: alla realtà si preferisce l’irrealtà non solo attraverso le videocassette e i calendari di un tempo e attualmente i Dvd il che non sarebbe poi una novità, ma attraverso surrogati come i telefoni erotici e l’eros via computer (chat-lines, facebook e cosi via), dove si intrattengono rapporti verbali e scritti con interlocutori che non si vedono e che s’immaginano soltanto, di cui non si conosce la vera identità, che quindi possono essere ben diversi da quello che si pensa; da un altro lato ancora si assiste a una sempre maggiore confusione dei sessi, non solo di compiti, di ruoli e di responsabilità, ma anche fisicamente: è la vittoria dei transessuali sugli eterosessuali. Di fronte a tutto ciò Evola indica come conseguenza della sua concezione di persona, di essere umano, quel che fa l’uomo Uomo e la donna Donna, senza ambiguità, senza confusioni, spiegando con la teoria degli stadi intermedi di sessuazione il perché di certe situazioni e preferenze, non demonizzando ma mettendo le cose al loro posto. La sua teoria magnetica dell’Eros dimostra, poi, come quanto più un uomo è uomo e quanto più la donna è donna si possa arrivare a livelli superiori, al di là del puro piacere: il tal modo sesso e eros vengono riscattati da ogni accusa moralistica e il “pansessualismo” viene criticato non dal punto di vista bigotto e sessuofobico, viceversa in nome di una concezione che può trasformare l’eros in una via di conoscenza salvandolo dalla crescente banalizzazione. Oggi, a mo’ di conclusione e sintesi di un tale desolante panorama, tutto quanto ha a che vedre con l’etica, con la società e con la collettività è relativo, ogni comportamento viene concesso e giustificato, viene valutato solo secondo permissivismo, a meno che non si intromettano la politica e l’ideologia, e in tal caso si diventa intransigenti e ferrei: tutto viene concesso, tollerato, assolto, purchè rientri nella vasta categoria del “progressismo”, e solo chi ne viene considerato estraneo è il cattivo e il reprobo nei confronti del quale si può essere a buona ragione i fermi custodi di ogni regola. Evola insegna che non vi possono essere “due pesi e due misure”, che deve esistere una vera giustizia, forte ma non cieca, che vi devono essere regole- in primis interiori – che non si possono dimenticare e che si devono seguire, che bisogna avere rispetto per gli altri se si ha rispetto per se stessi, che non si può pretendere dagli altri quel che noi stessi non siamo capaci di ottenere. Insomma, che non si deve essere mossi da un pregiudizio politico nelle scelte e nelle decisioni, ma da un superiore concetto di equità. E che deve valere l’Esempio. Oggi si esaltano gli strumenti e i mezzi del vivere moderno, vale a dire la Tecnologia, che alla fine, spesso ci strumentalizza, ci fa schiavi e servi.

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La schiavitù della Tecnologia

Evola insegna che la Tecnologia, la Macchina, non è neutra e quindi bisogna sempre essere presenti a sé stessi nel farne uso. Non ne predica o sollecita l’abbandono (non l’ha mai scritto), la chiusura in una intellettualistica e sterile “torre d’avorio”: al contrario sollecita di gettarsi dans la melèe [1] per mettersi alla prova ed uscirne indenni. Ma questo si può fare soltanto se si è ben protetti, corazzati dietro la propria “visione del mondo” non utopica, non sentimentalistica, ma Realistica, Oggettiva. Guardare con sguardo consapevole e freddo il mondo ostile che si ha di fronte e quindi, comprendendolo, e alla fine vincerlo. Almeno interiormente. Oggi si è diffusa sempre più, quasi si può dire che imperversi, la cosiddetta New Age, anche se quasi nessuno la chiama più cosi, a dimostrazione che si è consolidata. Vale a dire una Nuova Era che predica quella che è stata definita una “religione fai da te”. Non si tratta, però, che di una mescolanza eterogenea di molti filoni già presenti, singolarmente, in passato: lo spiritismo definito all’inglese Channelling; la credenza in maestri invisibili e in una religione di fratellanza universale, che poi altri non sono che i superiori sconosciuti della Teosofia e la sua dottrina; la riscoperta banalizzata del Celtismo, che si risolve in un ritorno al naturalismo, la riproposta di dottrine orientali, di per sé serie e importanti, come il Buddhismo e il Tantrismo, con tanto di guru miliardari, seminari a pagamento, pubblicità sulle riviste, attori e calciatori come Sponsor, dimenticandosi quello che in realtà esse sono: filosofie e modi di agire duri e difficili, non scuse per seguire vie divenute in Occidente facili e alla portata di tutti; la predicazione di un animalismo fondamentalista, di un vegetarianismo “politicamente corretto”, che hanno radici anglosassoni e hollywoodiane più che francescane e buddhiste; per non parlare delle religioni piovute dallo spazio, del contatto con l’Aldilà attraverso moderne tecnologie, del Revival del satanismo, e cosi via. Non si tratta di nient’altro che di quella “seconda religiosità” delle epoche di decadenza descritta da Oswald Spengler all’inizio del Novecento ne “Il Tramonto Dell’Occidente”. Evola criticava tutto questo sin dagli anni venti e trenta definendolo un “neospiritualismo”, maschera oscura del vero e luminoso spiritualismo e quasi più pericoloso del materialismo effettivo e dell’ateismo esplicito, mettendo ben in guardia dal prodursi di “fessure nella Grande muraglia”, come avvertiva Guénon, e dall’infiltrarsi di pericoli dal basso, dagli “inferi” se vogliamo.

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Le orde di Gog e Magog all’attacco della Grande Muraglia

A tutto ciò contrappone da un lato il riferimento ad una tradizione primordiale metastorica, dall’altro una spiritualità personale, ma alta e intransigente, preferendo alle religioni devozionali quelle realizzative  con un retroterra metafisico e esoterico. E poiché, come in precedenza si è accennato, la tradizione primordiale si è manifestata di volta in volta storicamente in modo diverso, Evola ammette che un riferimento alle Tradizioni specifiche, come può essere per noi un Cattolicesimo, ma di tipo particolare, attivo, sul genere di quello medievale, anche se, come disse più volte, questo vuol dire essere “tradizionalisti solo a metà”. La sua era una visione ghibellina. Che cosa si pretende da un filosofo per potersi riferire ultimamente al suo pensiero? Una interpretazione della Realtà e della Storia, una risposta alle domande fondamentali della nostra esistenza hit et nunc, delle indicazioni etiche ed esistenziali, una prospettiva per il Futuro e per il Dopo. Ritengo che Julius Evola abbia fornito punti di riferimento a tutte queste esigenze: forse le sue “ricette” potranno non piacere, forse ad alcuni possono sembrare incoerenti o addirittura pericolose, forse ad altri superate ed inutili. Sta di fatto che però ci sono, esistono, si trovano nei suoi libri, e sono un Unicum nel panorama della filosofia contemporanea. E’ per questo motivo, che un pensatore cosi inattuale, risulta attualissimo, e non è possibile – nel modo più assoluto – ignorarlo (magari confinandolo e inchiodandolo ad alcuni aspetti del suo pensiero, e solo a quelli) soprattutto da parte di chi vive a disagio nel Mondo Moderno, si sente in un certo senso estraneo ad esso, ed in qualche maniera confusa ed incerta vuol cercare di sopravvivere, o meglio continuare a vivere, all’interno della sua forma più esplicita, appariscente e coinvolgente alla quale non si può sfuggire: la Tecnologia.

Note

[1] In francese, “nella mischia” (N.d.R.)



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"In una civiltà tradizionale è quasi inconcepibile che un uomo pretenda di rivendicare la proprietà di una idea e, in ogni caso, in essa chi così facesse, con ciò stesso si priverebbe di ogni credito e di ogni autorità, poiché condannerebbe l’idea a non esser più che una specie di fantasia senza alcuna reale portata. Se una idea è vera, essa appartiene in egual modo a tutti coloro che sono capaci di comprenderla; se è falsa, non c’è da gloriarsi di averla inventata. Una idea vera non può essere «nuova», poiché la verità non è un prodotto dello spirito umano, essa esiste indipendentemente da noi, e noi abbiamo solo da conoscerla. Fuor da tale conoscenza, non può esservi che l’errore" (R. Guénon)

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