Note redazionali
(1) Si tratta del versetto del Corano, sura 99: “In quel giorno, gli uomini, a gruppi, si leveranno per vedere le loro azioni, e chi avrà fatto una misura di bene la vedrà, e chi avrà fatto una misura di male la vedrà“; cfr. Apocalisse, 14,13: “E udii una voce dal cielo che diceva: Scrivi: Beati i morti che da ora innanzi muoiono nel Signore. Sì, dice lo Spirito, essendo che si riposano dalle loro fatiche, poiché le loro opere li seguono“.
(2) Nella tradizione islamica la Nafs è l’equivalente dell’ebraica Nefesh, cioè l’anima inferiore, la psiche, l’ego, contrapposto alla Ruh (in ebraico Ruach), l’anima superiore, il riflesso dello spirito nell’individualità umana.
(3) Tra tutte le forme di preghiera, quelle fondate sull’invocazione continua dei nomi di Dio, nonché sulla ripetizione di formule di varia natura hanno una particolare rilevanza. “Un altro privilegio dell’Età Oscura, forse il più sublime”, spiega Gaston Georgel, “è quello che è attribuito alla pronuncia del nome divino, nel Cristianesimo, nell’Islam o in India”(“Le quattro età dell’umanità – introduzione alla concezione ciclica della storia”, p. 165).

Nel
mondo musulmano è una consuetudine acquisita quella di ripetere i Nomi di Dio (rappresentazioni vocalizzate dei Suoi attributi che, secondo la teologia musulmana, sono quattromila) facendo scorrere tra le dita un rosario,
subha in arabo o
tashbî (o anche
komboloy) in turco, introdotto nell’Islam dai Sufi; lo stesso
wird islamico, con valenza prettamente esoterica, si sviluppa mediante ripetizioni ed invocazioni continue del nome di Dio.
In ambito cristiano, la diffusissima “preghiera di Gesù” (“Iesou eukè”) consiste nella ripetizione continua del Nome di Gesù, da solo o inserito in una formule del tipo “Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi misericordia”, formula che, più in breve, è il ben noto “Kyrie eleison”. La ripetizione continua del nome di Gesù, in particolare nella formula suddetta della Iesou eukè, è poi alla base dell’Esicasmo. Tra i monaci cristiani ortodossi è usato il Komboskini (si noti la medesima radice lessicale con il komboloy, la dizione turca del rosario musulmano), una corda di nodi, una sorta di rosario, utilizzato per le preghiere fondate sulla ripetizione incessante
Nella
tradizione induista, in un passo dei
Bhâgavata Purana, si legge: “
l’Età Kali, (benché sia un) abisso di vizi, possiede un vantaggio unico (ma) prezioso: è sufficiente celebrare le lodi di Krishna affinché, liberi da ogni legame, ci si possa riunire all’Essere Supremo”. D’altronde, in ambito induista sono fondamentali i
mantra, articolati in svariate formule espresse con una o più sillabe, lettere o frasi, generalmente in sanscrito, ripetute per un certo numero di volte (
Namasmarana), di solito servendosi dell’
akṣamālā, un rosario risalente all’epoca vedica, i mantra operano su vari piani, da quello materiale a quello spirituale, e con diverse gradualità di partecipazione, anche in relazione ai fini ultimi perseguiti (cfr.
https://www.azionetradizionale.com/2015/03/16/orientamenti-di-fine-ciclo-terza-parte/).
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