Benedizioni e maledizioni (Uccelli bianchi, uccelli neri)

Come preannunciato, dopo l’articolo di Evola che approfondiva le tematiche legate alla Legge Causale degli Enti, ai canali psichici di comunicazione ed alle cd. linee naturali di minor resistenza, proponiamo questo scritto di Amadou Hampâté Bâ (1901-1991), filosofo ed antropologo maliano, discepolo prediletto di Tierno Bokar (1875-1939), mistico e metafisico musulmano africano, maestro spirituale della tariqa sufi Tijāniyyah.
Amadou dedicò tutta la sua vita alla giusta comprensione dell’insegnamento del maestro e, nel 1980, pubblicò in Francia Il Saggio di Bandiagara, un racconto della vita, delle opere e dell’insegnamento di Tierno Bokar, che visse appunto a Bandiagara, in Mali. Da quel volume è tratto il passo che proponiamo, in cui, attraverso un dialogo con il maestro, il quale utilizza la metafora ed il simbolismo degli uccelli bianchi e neri, si affronta proprio il significato interno, metafisico, del rapporto tra benedizioni (uccelli bianchi) e maledizioni (uccelli neri) reciproche, in particolare nel rapporto 1:1, cioè tra singole persone; dottrina facilmente estensibile a rapporti multipersonali ed alle collettività.
Nel testo si trova una limpida, evidente conferma della dottrina esposta da Evola, in particolare trattando della legge della vendetta e del suo superamento metafisico attraverso la “legge dell’amore”: “Dal punto di vista esoterico, il fatto di benedire il nemico è ben più giovevole“, spiega Tierno Bokar, confermando ulteriormente il precetto evangelico “amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori”.
Un esempio interessante di come, quando dal piano della molteplicità delle forme religiose esteriori si passa al piano dell’Unità metafisica, sovraordinata rispetto a tutte le manifestazione specifiche, non si può che approdare ai medesimi principi assoluti.
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di Amadou Hampâté Bâ
Tratto da Il saggio di Bandiagara (Edizioni Neri Pozza, 2001)
Tierno Bokar non soltanto si asteneva dal giudicare gli altri, ma cercava anche di fare capire che un buon pensiero è sempre meglio di uno cattivo, anche nei confronti di coloro che consideriamo nostri nemici. Non sempre era facile convincerci, come dimostra il seguente aneddoto a proposito degli uccelli bianchi e degli uccelli neri. Quel giorno, Tierno ci aveva commentato il versetto: «Colui che ha fatto un atomo di bene lo vedrà; colui che ha fatto un atomo di male lo vedrà» (Corano, xc, 7 e 8) (1). Noi volevamo alcuni chiarimenti sulle buone azioni, così ci disse: «La buona azione più utile è quella che consiste nel pregare per i propri nemici». «Come!» esclamai «Generalmente la gente ha tendenza a maledire i propri nemici e non a benedirli. Non ci fa apparire un poco stupidi pregare per i nostri nemici?». «Può darsi» rispose Tierno «ma soltanto agli occhi di coloro che non capiscono. Gli uomini hanno certamente il diritto di maledire i propri nemici, ma così fanno molto più male a se stessi che benedicendoli».
Non capisco» ribattei «se un uomo maledice un nemico e la sua maledizione è efficace, può distruggere il nemico. Perché questo fatto non dovrebbe favorirlo?» «In apparenza è possibile – rispose Tierno – ma in tal caso si tratta di una soddisfazione dell’anima egoista (nafs, l’ego) (2), perciò una soddisfazione di livello inferiore, materiale. Dal punto di vista esoterico, il fatto di benedire il nemico è ben più giovevole. Anche se si passa per imbecilli agli occhi degli ignoranti, è un’azione che dimostra realmente la propria maturità spirituale e il proprio grado di saggezza». «Ma perché?» chiesi.
Allora Tierno, per aiutarmi a comprendere, parlò degli uccelli bianchi e degli uccelli neri: «Gli uomini – disse – nei loro rapporti reciproci, sono paragonabili a muri posti uno di fronte all’altro. Ogni muro è costellato di moltissimi buchi in cui si annidano uccelli bianchi e uccelli neri. Gli uccelli neri sono i pensieri e le parole cattive. Gli uccelli bianchi sono i pensieri e le parole buone. Data la loro forma, gli uccelli bianchi possono entrare solo nei buchi degli uccelli bianchi e, altrettanto, gli uccelli neri possono infilarsi solo nei buchi degli uccelli neri. «Adesso immaginiamo due uomini che si credono nemici uno dell’altro. Chiamiamoli Yussuf e Alì. Un giorno Yussuf, persuaso che Alì gli voglia male, si sente adirato nei suoi confronti e gli manda un pensiero terribile, vale a dire che gli invia un uccello nero lasciando libero il buco corrispondente. L’uccello nero vola fino ad Alì e, per sistemarsi, cerca un buco libero adatto alla propria forma. «Se Alì dal canto suo non ha inviato alcun uccello nero verso Yussuf, cioè se non ha emesso pensieri cattivi, non avrà buchi neri a disposizione. Non trovando posto, l’uccello nero di Yussuf sarà costretto a ritornare al suo nido d’origine, riportando con sé il male di cui era gravato, male che finirà per rodere e distruggere lo stesso Yussuf. Immaginiamo invece che Alì, a sua volta, abbia emesso un cattivo pensiero: nel far ciò avrà liberato un buco dove l’uccello nero di Yussuf potrà annidarsi e depositare una parte di male, compiendo così la sua missione distruttiva. Intanto l’uccello nero di Alì avrà raggiunto Yussuf infilandosi nel buco lasciato libero dall’uccello nero di quest’ultimo. Perciò entrambi gli uccelli neri avranno raggiunto l’obiettivo e lavoreranno a distruggere l’uomo cui erano destinati. Però, a missione compiuta, ciascuno tornerà al suo nido d’origine perché è stato detto: “Ogni cosa ritorna alla sua fonte”.
Poiché il male di cui erano gravidi non è ancora esaurito, lo stesso male si rivolgerà contro gli autori finendo col distruggerli. Insomma, l’autore di un cattivo pensiero, di un malaugurio o di una maledizione viene danneggiato sia dall’uccello nero del nemico che dal proprio quando ritorna. La stessa cosa avviene con gli uccelli bianchi. Se noi ci limitiamo a inviare al nemico buoni pensieri, mentre quest’ultimo ce ne invia di cattivi, i suoi uccelli neri non troveranno posto in noi e torneranno al mittente.
Quanto agli uccelli bianchi carichi dei buoni pensieri da noi inviati, essi non trovando posti liberi presso il nemico, ci ritorneranno carichi di tutta l’energia benefica di cui erano portatori. Di conseguenza, se noi emettiamo solo buoni pensieri, nessun male e nessuna maledizione potranno mai raggiungere il nostro essere. Ecco perché bisogna sempre benedire amici e nemici. La benedizione non si limita a raggiungere l’obiettivo per compiervi la sua missione di pace, ma prima o poi ci ritorna indietro con tutto il bene di cui era fornita. «È ciò che i sufi chiamano “l’egoismo auspicabile”.
È il legittimo Amore di Sé, legato al rispetto di sé stessi e del prossimo, perché ogni uomo, buono o cattivo, è ricettacolo di una particella di Luce Divina. Ecco perché i sufi, in conformità all’insegnamento del Profeta, non vogliono sporcarsi né la bocca né l’anima, non solo con parole e pensieri cattivi, ma nemmeno con critiche apparentemente benevole.»
Per il principio in base al quale «ogni cosa ritorna alla fonte», Tierno Bokar ci esortava a generare le più pure vibrazioni spirituali consacrando il nostro pensiero e la nostra lingua alla recitazione del Nome di Dio (dhikru-Allâh) (3).
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Note redazionali
(1) Si tratta del versetto del Corano, sura 99: “In quel giorno, gli uomini, a gruppi, si leveranno per vedere le loro azioni, e chi avrà fatto una misura di bene la vedrà, e chi avrà fatto una misura di male la vedrà“; cfr. Apocalisse, 14,13: “E udii una voce dal cielo che diceva: Scrivi: Beati i morti che da ora innanzi muoiono nel Signore. Sì, dice lo Spirito, essendo che si riposano dalle loro fatiche, poiché le loro opere li seguono“.
(2) Nella tradizione islamica la Nafs è l’equivalente dell’ebraica Nefesh, cioè l’anima inferiore, la psiche, l’ego, contrapposto alla Ruh (in ebraico Ruach), l’anima superiore, il riflesso dello spirito nell’individualità umana.
(3) Tra tutte le forme di preghiera, quelle fondate sull’invocazione continua dei nomi di Dio, nonché sulla ripetizione di formule di varia natura hanno una particolare rilevanza. “Un altro privilegio dell’Età Oscura, forse il più sublime”, spiega Gaston Georgel, “è quello che è attribuito alla pronuncia del nome divino, nel Cristianesimo, nell’Islam o in India”(“Le quattro età dell’umanità – introduzione alla concezione ciclica della storia”, p. 165).
Nel mondo musulmano è una consuetudine acquisita quella di ripetere i Nomi di Dio (rappresentazioni vocalizzate dei Suoi attributi che, secondo la teologia musulmana, sono quattromila) facendo scorrere tra le dita un rosario, subha in arabo o tashbî (o anche komboloy) in turco, introdotto nell’Islam dai Sufi; lo stesso wird islamico, con valenza prettamente esoterica, si sviluppa mediante ripetizioni ed invocazioni continue del nome di Dio.
In ambito cristiano, la diffusissima “preghiera di Gesù” (“Iesou eukè”) consiste nella ripetizione continua del Nome di Gesù, da solo o inserito in una formule del tipo “Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi misericordia”, formula che, più in breve, è il ben noto “Kyrie eleison”. La ripetizione continua del nome di Gesù, in particolare nella formula suddetta della Iesou eukè, è poi alla base dell’Esicasmo. Tra i monaci cristiani ortodossi è usato il Komboskini (si noti la medesima radice lessicale con il komboloy, la dizione turca del rosario musulmano), una corda di nodi, una sorta di rosario, utilizzato per le preghiere fondate sulla ripetizione incessante
Nella tradizione induista, in un passo dei Bhâgavata Purana, si legge: “l’Età Kali, (benché sia un) abisso di vizi, possiede un vantaggio unico (ma) prezioso: è sufficiente celebrare le lodi di Krishna affinché, liberi da ogni legame, ci si possa riunire all’Essere Supremo”. D’altronde, in ambito induista sono fondamentali i mantra, articolati in svariate formule espresse con una o più sillabe, lettere o frasi, generalmente in sanscrito, ripetute per un certo numero di volte (Namasmarana), di solito servendosi dell’akṣamālā, un rosario risalente all’epoca vedica, i mantra operano su vari piani, da quello materiale a quello spirituale, e con diverse gradualità di partecipazione, anche in relazione ai fini ultimi perseguiti (cfr. https://www.azionetradizionale.com/2015/03/16/orientamenti-di-fine-ciclo-terza-parte/).


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"In una civiltà tradizionale è quasi inconcepibile che un uomo pretenda di rivendicare la proprietà di una idea e, in ogni caso, in essa chi così facesse, con ciò stesso si priverebbe di ogni credito e di ogni autorità, poiché condannerebbe l’idea a non esser più che una specie di fantasia senza alcuna reale portata. Se una idea è vera, essa appartiene in egual modo a tutti coloro che sono capaci di comprenderla; se è falsa, non c’è da gloriarsi di averla inventata. Una idea vera non può essere «nuova», poiché la verità non è un prodotto dello spirito umano, essa esiste indipendentemente da noi, e noi abbiamo solo da conoscerla. Fuor da tale conoscenza, non può esservi che l’errore" (R. Guénon)

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