di Julius Evola
(tratto da La Torre)
Sembra che anche per le vie e per le piazze della repubblica culturale oggi non sia permesso circolare senza una regolare “carta d’identità”; che non valga dichiararsi degli stranieri, gente “che sta fuori”: i passaporti non sembrano ammessi: bisogna “naturalizzarsi”, e declinare senza mezzi termini le proprie generalità politiche, in funzione delle misure in corso. Tale, almeno il decreto delle prefetture di detta repubblica, gratuitamente presieduta dai gazzettieri-capo delle “terze pagine”.
Una volta tanto, accontentiamo detti signori, e mettiamoci in regola.
La nostra rivista non sorge per fare al fascismo e all’on. Mussolini dei “soffietti” di cui sia il fascismo che l’on. Mussolini non saprebbero che farsene. La nostra rivista è sorta invece per difendere dei principi che per noi sarebbero assolutamente gli stessi sia che ci trovassimo in regime fascista, sia che ci trovassimo in regime comunista, anarchico o repubblicano.
Ciò a cui tali principi possono dar luogo se trasposti in pino politico (col quale, in sé stessi, non hanno nulla a che fare), è un ordine di differenziazione qualitativa, quindi di gerarchia, quindi di impero nel senso più vasto: tanto più che tutto ciò che è eroismo e dignità guerriera nella nostra concezione non saprebbe che essere giustificato da un punto di vista superiore; allo stesso modo che a tutto ciò che è fermento democratico e livellatore non sapremmo non contrapporci, nel modo più preciso, e su tutti i piani.
Nella misura che il fascismo segua e difenda tali principi, in questa stessa misura noi possiamo considerarci fascisti. E questo è tutto.
Quello “stile”, non è però quello in voga nei più: oggi si parte dal dirsi fascisti, e ci si viene poi a dichiarare pro o contro questa o quella idea, a seconda che la politica fascista l’accetti o la neghi – quand’anche il “fascismo” non si riduca a un tabu e a una specie di tessera d’ingresso, pagata la quale ognuno passa alle opinioni più singolari e divergenti. Noi, invece partiamo col dirci imperialisti, in senso integrale, e antimoderno; e siamo per un partito politico, per una nazione e per un atteggiamento, o contro di essi, nella misura in cui essi obbediscono e non obbediscono all’ideale imperiale e aristocratico. Ripetiamolo: noi non facciamo della “politica”: non la facciamo, ne vogliamo farla. Noi difendiamo delle idee e dei principi.
Non siamo né nazionalisti, né internazionalisti, perché il problema dell’impero è superiore sia all’una che all’altra di tali ideologie moderne. Non siamo per l’idea di “eredità”, “missioni” o predestinazioni obbligatorie all’impero per una data razza privilegiata. Questa vecchia ideologia, già ebraica, poi germanica-prussiana da una parte, gioberto-mazziniana dall’altra, per noi è non è che frutto di vanità e di superstiziosa “filosofia della storia”. L’Impero, è della nazione che se ne renda degna, e che soprattutto non ne parla, ma lo vuole.
In più, possiamo dir soltanto che dando uno sguardo sul panorama del mondo moderno, ci sembra che, relativamente alle altre nazioni, l’Italia, insieme forse alla Germania, si trovi a possedere in maggior misura certe possibilità di comprensione di valori e di principi, che potrebbero dare una base all’impero. Non sappiamo se tali possibilità riusciranno a vincere, o anche soltanto a limitare, l’azione distruttrice che parimenti e potentemente la “civilizzazione” moderna esercita su questi paesi. Noi ce lo auguriamo: anzitutto in nome della nostra tradizione spirituale, e poi per il bene della particolare terra in cui ci troviamo a vivere.
Con ciò, ci sembra di aver detto abbastanza, almeno per ora, e soprattutto perché non desideriamo indugiare in programmi e dichiarazioni. Un “mito” solo ci trova in aperto contrasto: quello per cui la spiritualità e la cultura dovrebbero esser quasi parti dipendenti dalla politica. Noi affermiamo invece, che è la politica che deve essere condizionata dalla spiritualità e dalla cultura se non si vuole ridurre la prima a cosa piccola, empirica e contingente.
Del resto, se l’on. Mussolini ha concesso che la “tessera” non conferisce l’intelligenza a chi non l’ha, siccome qui non si tratta nemmeno di intelligenza, ma di alcunché di superiore, crediamo che anche a questo proposito le nostre tesi non siano poi così “eterodosse”. Quanto al resto, v’è da augurarsi che il margine di “regolarità” che chi non ha l’orizzonte ristretto proprio a un palmo davanti il suo naso può constatare nella nostra attitudine, abbia a divenire sempre più grande: il che però secondo quanto si è detto non dipende certo da noi.
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