Il caso Montessori

di Julius Evola

(tratto da La vita italiana, maggio 1934)

Uno dei tratti della longanimità e della interna sicurezza di Roma imperiale antica era costituito dalla sua condiscendenza nell’accogliere nel Pantheon della città sacra ogni sorta di culti e di credenze, anche di quelle che con la tradizione vera e originaria di Roma, col suo innato mos et fas, ben poco avevano a spartire. Era, questo, un segno di calma sicurezza e di superiorità; anche se in un periodo successivo si dovette constatare come non di rado l’ospite straniero finisse col trasformarsi in un vero e proprio cavallo di Troia.

la-vita-italiana-giovanni-preziosiEbbene, qualcosa di simile è venuto in mente nei riguardi dell’ospitalità che la Roma fascista concede a «congressi» di specie molto varia, di carattere spesso internazionale e che quasi sempre si inaugurano in pieno Campidoglio, sotto la presidenza – anche se soltanto «onoraria» o «nominale» – di alte personalità del Regime.

In ciò torna dunque a nuova vita qualcosa dell’antica ospitalità del Pantheon imperiale, ma, in pari tempo, fors’anche qualcosa di quell’antico pericolo. È comprensibile che oggi le correnti più varie aspirino a ricevere attraverso l’ospitalità romana una specie di crisma; e, d’altra parte, una attitudine non di gretto esclusivismo geloso del proprio piede di casa, ma di aperto respiro, di consapevole universalità e di mediazione supernazionale è quella che meglio si confà alla nuova tradizione italiana. Tuttavia, una volta fissati e messi fuor di discussione questi due punti, resta legittimo domandarsi se in qualche caso coltivare di più un’attitudine di prudenza o, almeno, di distanza, non sarebbe opportuno, non diciamo per amor di chiarezza, ma semplicemente per evitare che, sotto ai baffi, qualcuno finisca col dar dell’ingenuo all’ospite troppo liberale e lo supponga atto a lasciarsi giuocare dei marchés de dupes[1] di fronte all’àrra[2] delle presidenze onorifiche e delle celebrazioni «romane».

Dalle generalità, passiamo ad un esempio concreto.

È per puro caso che siamo venuti a sapere che Roma recentissimamente ha ospitato un congresso internazionale «Montessori», inauguratosi, come al solito, «ufficialmente» in Campidoglio. Ed è parimenti per puro caso che ci siamo trovati ad assistere ad una conferenza, tenuta, per tale Congresso, dalla stessa signora Montessori[3]. Qui noi siam stati colpiti da una atmosfera curiosa. L’uditorio, composto prevalentemente da quel solito pubblico femminile fuori uso in estasi intorno ai teosofi, alle femministe, ai vegetariani, ai proclamatori dell’universale fratellanza e della protezione degli animali, appariva visibilmente inquieto. Ad un certo momento qualcuno (poi abbiam saputo che si trattava di alcuni fascisti dei Guf) ha gridato: Basta! La Montessori poco dopo chiudeva affrettatamente il suo dire e il figlio, annunciando la prossima conferenza del Congresso (prima in lingua inglese, poi in francese, poi in tedesco e infine, ricordandosene, in italiano), aggiunse queste strane parole: «Se non ci disturberanno».

A dir vero, nel seguire pazientemente la lenta esposizione della signora Montessori, e della sua «dottrina» non avendo che un’idea vaga, noi stessi avevamo sentito una certa sorpresa non disgiunta – diciamolo pure – da una avversione istintiva assai decisa. Quindi quell’atmosfera piuttosto preoccupata ci è stata comprensibilissima e non dubitiamo un istante che se analoghe esposizioni fossero state fatte non in seno a quel pubblico i curiosi o di «studiosi» internazionali e di donne in adorazione per la «dottoressa», ma di puri e consapevoli fascisti, le cose sarebbero anche andate in modo alquanto diverso.

Maria-Montessori-educazione-pedagogia-bambino-scuolaPerché dunque? Qui non vogliamo mettere gli antecedenti e le vicissitudini politiche del «metodo Montessori» in particolare e antipatico rilievo. Accenniamo dunque appena, come questo «metodo» sia passato dall’uno all’altro dei protettorati più sospetti: da quello di socialisti militanti tipo Labriola e di un Nathan a quello di un Don Sturzo; come, sostando sulle soglie di certe organizzazioni cattoliche, esso poi sia di colpo saltato in terra protestante, ove, sotto gli auspici del famoso Wilson e presso all’«ideale animale» della «civiltà» d’oltre oceano, ha trovato la sua fortuna, la sua abbondante miniera d’oro epperò anche il modo per tornar di rimbalzo nel vecchio continente e far presa nella stessa Italia. Di fronte a queste constatazioni pacifiche, e a varie altre di natura più delicata, che noi taciamo, sappiamo bene quale è la risposta di dovere. Noi facciamo della scienza, il «metodo Montessori» è un metodo scientifico, anzi sperimentale, quindi non ha da spartire né con partiti politici, né con confessioni religiose. Potremmo allora anche aggiungere né con nazionalità o regimi, e, insomma, dalla risposta ricavare come conclusione un dichiarato agnosticismo. Ora, chi è che non sa che ogni agnosticismo è solo uno strumento per l’affermazione, cosciente o incosciente, di un contenuto per nulla «agnostico», il quale, anche à rebours[4], finisce sempre con l’assumere un significato etico o politico?  Noi sappiamo bene che significava, ieri, essere agnostici … significava esser militanti – e come – nei quadri dell’ideologia liberalistica e massonico-illuminista. Le cose nel caso Montessori sono ancora più chiare, giacché il suo «metodo» non si riferisce alla cultura dei fiori o alla produzione dei concimi chimici, bensì all’educazione umana. Ora, come è possibile prescindere, in cosa così delicata come l’educazione del fanciullo, da un momento sia etico, sia – anche – politico?

È che qui incontriamo senz’altro il punto decisivo. Effettivamente il metodo Montessori può chiamarsi un metodo agnostico e se si vuole – nel senso negativo del termine – «scientifico», poiché nelle sue premesse e nei suoi criteri trova principio e fine in un piano puramente naturalistico, in un piano cioè a cui sono estranei tutti quei superiori elementi, solo in funzione dei quali l’uomo è un essere «etico», «politico» e, infine «spirituale»: cioè un essere che appartiene ad un ordine gerarchico diverso da quello dell’animale o della pianta.

Il montessorismo rientra in quella nuova superstizione per la «natura» e in quell’ingenuo ottimismo primitivistico, che già fece apparizione – in significativo connubio col giusnaturalismo – in Jean Jacques Rousseau, ma che ha anche diramazioni moderne varie e ben precise: sul piano sociale, il liberalismo e l’ottimismo anarchico; sul piano intellettuale, la rivolta bergsoniana contro la ragione; l’attacco della psicanalisi contro le difese e le censure della personalità cosciente; la psicologia irrazionalistica di un Klages; infine, l’ideale della «vita liberata» di Krishnamurti.

sigmund-freud-psicanalisi

Sigmund Freud

L’anarchismo dice: l’uomo per sua natura è buono, sociale, capace di ordine. Ogni male vien dallo Stato e dall’autorità. Facciamo saltare l’uno e l’altra e tutto andrà spontaneamente per il meglio. Il liberalismo ripete: laissez faire, laissez aller[5], non disturbate il ritmo spontaneo dell’economia e del resto con i vostri non desiderati interventi. Per l’ebreo Freud le barriere, i pregiudizi morali e i controlli dell’Io non sono che sorgenti di malattia e di nevrosi, la vita vera sta nell’inconscio e nell’irrazionale assunto e accettato – così come per l’ebreo Bergson la ragione ha solo una funzione alteratrice, limitatrice e falsificatrice rispetto alla spontaneità dell’élan vital[6]. Secondo la nuova psicologia tipologica del Klages ogni vita ha il suo tipo biologicamente condizionato, il nostro «stile» non ci viene da una realtà superiore alla natura, ma dalla natura stessa – donde la connessione con tutto l’armamentario del razzismo. Infine, secondo Krishnamurti, liquidare ogni principio di autorità, ogni tradizione, ogni particolarismo, liberare la vita dall’Io e renderla «indomabile» è la via per la felicità totale e per il «compimento»[7].

Il «metodo Montessori» rientra con matematica esattezza in questo mondo ideale decadente, in questo mondo il cui apparente ottimismo salutistico e naturista non è, in fondo, che maschera, per un profondo pessimismo, per una profonda sfiducia – non sempre confessata – nelle possibilità e nei valori superiori della personalità di fronte alla mera natura: sfiducia, la quale trova poi la sua compensazione nella supposizione gratuita, che la natura sia in sé stessa capace di forma, di educazione, di liberazione.

Il «metodo Montessori» è infatti quello che lascia il bambino a sé stesso; dichiara deformatore e distruttore ogni intervento diretto dell’educatore; dà al bambino solo delle occasioni per poter scegliere istintivamente e eseguire materialmente un’azione o un lavoro che dovrebbe rivelarlo a sé stesso e formarlo; sostiene l’incoercibilità della natura infantile e, partendo da tale premessa erronea, la adula e la rafforza. Per questo metodo, l’adulto di fronte di fronte al bambino non è mai capace di vera comprensione, è pieno di limitazioni e di pregiudizi da imporre. L’affetto dell’educatore influirebbe così poco sul bambino quanto la sua autorità e i suoi castighi. Il bambino è quasi concepito ad imagine della monade leibziniana «priva di finestre»[8]. Nulla entra in lui, che egli non tragga da sé stesso. Il modello pedagogico passa dunque ad un tipo non diciamo naturistico-animale – poiché se l’animale si sviluppa allo stato di natura, pure è pieno di irrazionalità, di elementi improvvisi e pericolosi, di paure e di istinti di preda che lo aprono drammaticamente di fronte ai suoi simili –ma addirittura naturistico-vegetale. Il bambino non è una massa ancora amorfa, una materia grezza da plasmare secondo una forma e uno stile che questa sostanza non ha già in sé – quindi secondo l’educazione e la cultura come azione determinante – bensì è come una pianta, la quale ha già nel suo seno il suo sviluppo ben preordinato, onde si tratta solo di lasciarla al suo terreno, di farla vegetare, di non ostacolare con azioni esterne la sua crescenza.

Questa imagine compendia il significato ultimo del metodo Montessori e lascia misurare a quali orizzonti arrivi il senso che la signora Montessori ha per la dignità della personalità umana.

uomo-piantaPeraltro, negli ambienti montessoriani questo tipo ottimistico del bambino-pianta assurge talvolta al significato di un glorioso ideale universale. Abbiamo sentito delle brave ragazze – che molto meglio sarebbe se dessero ai loro trasporti vie feminilmente più normali di esplicazione – parlarci entusiasticamente del Vangelo del Bambino e del bambino, addirittura quale Messia. Cioè: non più l’adulto deve servir da modello al bambino, ma il bambino montessorianamente sviluppato deve servir da modello all’adulto. L’uomo-pianta diviene dunque l’ideale escatologico di una superiore umanità non più «compressa», disturbata, ostruita, deformata, messa in contrasto con sé medesima: quindi risanata.

Può darsi che la signora Montessori non si riconosca in tali sviluppi: non per questo essi restano meno legittimi e meno illuminanti per il senso ultimo del suo metodo e delle sue vedute pedagogiche. Trasportate queste vedute nel campo sociale e politico, e poi ci si dica quanto spazio e quale giustificazione resta ancora per tutto ciò che è autorità, gerarchia, azione dall’alto, dominazione, Stato quale realtà supernaturalistica e centro di riferimento per una dedizione trasfigurante. L’educazione montessoriana non è che liberalismo e ottimismo anarchico applicato in sede pedagogica. Resta solo da domandarsi se, nei quadri di uno Stato quale quello fascista, la pedagogia può costituire una zona agnostica, ove ogni metodo, purché conduca a certi risultati materiali, vale quanto l’altro e può essere applicato indisturbatamente, ovvero se sarebbe desiderabile una coerenza fra i principii della pedagogia e quelli che, in genere, fanno da base ad una determinata concezione della vita politica e della umana personalità in genere.

Abbiamo udito dalla signora Montessori l’imagine del parallelogramma delle forze[9] come un argomento. Il bambino, con le inclinazioni ben definite che gli si suppongono, costituisce una forza di una certa direzione. L’educatore non montessoriano è una forza di direzione diversa. Se interviene, non si ha più né l’una cosa né l’altra, ma una «risultante» che segue la direzione diagonale del parallelogramma delle forze, diversa da entrambi. Tale imagine si presta altrettanto bene per una confutazione. Anzitutto perché pensare ad una direzione deviata nei riguardi della risultante, mentre essa, anche non coincidendo senz’altro con la direzione dell’educatore, potrebbe essere una direzione rettificata? Siamo sempre alla solita ipotesi della bontà iniziale della direzione infantile e al decreto superstizioso della sua intangibilità: come se perfino fra le piante non si vedesse che gli innesti portano talvolta a frutti migliori di quelli che nelle singole specie la natura produce. Poi, se ci si dovesse tenere al paragone matematico, a parte la sua direzione, in molti casi la risultante rappresenta una forza accresciuta in intensità rispetto alla componente minore. Così vero – si potrà però ribattere – quanto è vero che in altri casi la divergenza delle componenti dissipa e perfino neutralizza l’intensità delle due forze. Ma qui, da parte nostra, accusiamo il limite di questa imagine disanimata e astratta di fronte alla realtà vivente. Infatti non solo nel caso del bambino, ma anche in quello di un adulto e perfino di una razza o di un popolo, resta pienamente da dimostrare che tutto ciò che è contrasto, dissidio, antagonismo si risolva sempre in dissipazione e non sia invece occasione per lo scaturire di qualcosa di più alto, di una forza più viva e più irresistibile. Lasciamo fuori considerazione le piccole nature, gli essere addomesticabili: esso non testimoniano né contro di noi, né per la signora Montessori. Prendiamo in esame perfino in un bambino il caso in cui sia presente il germe di un vero temperamento, una vera volontà innata. Ebbene, dinanzi alla volontà di un educatore, due saranno i casi: o un temprarsi, un rendersi via via ancor più forte e deciso di quel germe, fino ad una rivolta, ovvero – quando di fronte si abbia il vero educatore, colui che può dirsi veramente Maestro – si avrà un vero riconoscimento, una adesione secondante, qualcosa come una corrente che sbocca in un’altra più grande, ove essa non si perde, ma trova un più vasto elemento omogeneo, e vi si potenzia, portandosi là dove da sola non sarebbe giunta o da dove sarebbe stata deviata da ogni sorta di contingenze. 

Una donna di Sparta dà uno scudo al figlio- quadro di jean-jacques francois le barbier

Una donna spartana consegna lo scudo al figlio: “Torna con lo scudo o sullo scudo”. Quadro di Jean-Jacques Francois Le Barbier

Ebbene il «metodo Montessori» non ha nessuno sguardo per questa alternativa creatrice. Esso non ha dunque sguardo nemmeno per quella facoltà, che è invero il punto centrale su cui dovrebbe far leva ogni vera educazione: la facoltà di venerazione. La visione in cui il maestro o il padre, invece di star fra le quinte come un’ombra che assista allo sviluppo della spontaneità del bambino attraverso quanto gli vien di fare materialmente, dovrebbe essere un modello che in modo silenzioso impone rispetto, venerazione, desiderio di imitazione e spontanea obbedienza – questa visione, che trasportata su di un piano più alto è la base stessa per ogni vera autorità e ogni virile gerarchia, cade in tutto e per tutto fuori dagli orizzonti del metodo montessoriano. Il quale così trascura, e trascurandola atrofizza, la facoltà infantile di venerazione, germe latente preziosissimo fra tutti; chiude la via ad ogni concezione classica e romana di cultura (cultura avendo per noi sempre significato stile e forma imposta ad una data materia come cosmos a caos); prepara degli adulti forse «pacificati», senza «difese» o «deformazioni», ma, nel caso migliore, così come potrebbero esserlo degli ortaggi, nel caos peggiore, come degli individualisti incapaci di sentire interiormente il significato etico di ciò che è disciplina, dominio assoluto dello spirito sul corpo e sulla sensibilità, quindi anche ciò che è liberazione e virilismo.

Qualcuno ci ha detto che, del resto, per toccar con mano gli effetti del metodo, basta vedere i risultati cui ha portato in certi casi particolarmente prossimi alla stessa Montessori, la sua applicazione. Lasciamo stare tali riferimenti contingenti e quindi preveniamo anche qualsiasi argomento di tipo grossolanamente sperimentale. A noi basta constatare una incompatibilità di posizioni dottrinali, un errore fondamentale di premesse, una incomprensione completa del significato che per noi tradizionalmente sempre ebbe l’ideale della personalità e della cultura, epperò della stessa azione pedagogica. È per tutto questo che l’atmosfera «impressionata» di quella conferenza montessoriana, in quanto celebrata, sia pure in veste internazionale, nella Roma di Mussolini, non ci ha sorpresi, e che anzi ricordando l’inaugurazione capitolina di questo Congresso ci è venuto in  mente appunto quanto accennammo al principio: la longanimità ospitale di Roma antica anche per tutto ciò che con la romanità vera nulla aveva a che fare.

Note

[1] Espressione idiomatica francese traducibile in vari modi; sostanzialmente, il significato principale è quello di “inganno”, “imbroglio”, “presa in giro”. In francese infatti dupe è lo “zimbello”, la vittima di un inganno; marché può tradursi linearmente come “mercato”, ma ha anche altri significati affini al concetto di “vincolo” in senso giuridico-commerciale: “contratto”, “accordo, “patto”. Quindi, possiamo pensare, letteralmente, ad una sorta di “mercato” o “fiera degli idioti”, o ad un “patto degli stupidi”, e così via (N.d.R.).

[2] Nel linguaggio giuridico, la parola è sostanzialmente sinonimo di caparra, garanzia, come mezzo diretto a rafforzare un vincolo obbligatorio ed a garantirne l’adempimento. In senso figurato, può indicare anticipazione, pegno, testimonianza: Evola vuole appunto dire che le “presidenze onorifiche” e “le celebrazioni «romane»” potrebbero fungere da “testimonianza” concreta e da “garanzia” di grande prestigio per delle messinscene e delle prese in giro ai danni degli ingenui ospitanti, troppo zelanti nel concedere spazi e visibilità a chicchessia e quindi facilmente circuibili e strumentalizzabili (N.d.R.).  

[3] Maria Montessori (1870-1952) fu una celebre pedagogista, oltre che medico, famosa soprattutto per il metodo educativo che prende il suo nome, adottato in migliaia di scuole materne, primarie, secondarie e superiori in tutto il mondo. Il metodo montessoriano parte dallo studio dei bambini e delle bambine con problemi psichici, espandendosi poi allo studio dell’educazione per tutti i bambini. La Montessori stessa sosteneva infatti che il metodo applicato su persone con problemi psichici avesse effetti stimolanti anche se applicato all’educazione di bambini normali, il che è già qualcosa di estremamente discutibile. Il suo pensiero, come più avanti nel testo Evola spiegherà, identifica il bambino come essere già completo, capace di sviluppare energie creative e possessore di disposizioni morali innate che l’adulto avrebbe ormai compresso dentro di sé, rendendole inattive. Il principio fondamentale dovrebbe essere quello della libertà dell’allievo, poiché solo essa favorirebbe la creatività del bambino già presente nella sua natura. Da tale libertà dovrebbe emergere la disciplina, poiché quest’ultima deriverebbe dal lavoro libero, dall’attività scelta cioè dal bambino assecondando il proprio istinto. A quel punto, disciplina, concentrazione, interesse e volontà verrebbero rinforzate dapprima con l’educazione al movimento, coordinando facoltà psichiche e motorie in vista dello scopo che il bambino ha scelto, seguendo il proprio “istinto innato”, e poi con l’educazione al silenzio, a movimenti leggeri e finanche all’immobilità. L’adulto, sosteneva la Montessori, quando richiede la disciplina e l’obbedienza al bambino trascurerebbe quasi sempre la volontà di questo, proponendogli invece un modello “esterno” da imitare, e ciò risulterebbe dannoso poiché appunto la disciplina del bambino deriverebbe solo dalla libertà, secondo quanto esposto. Evola si accinge nel testo a criticare questo modello educativo (N.d.R.).

[4] L’espressione francese à rebours si traduce in italiano con “a rovescio”, “all’indietro”, “al contrario” (N.d.R.).

[5] Evola (anche se utilizzando il verbo aller, “andare”,  al posto del verbo passer, “passare”) fa riferimento alla nota espressione francese laissez faire, laissez passer (“lasciate fare, lasciate passare”), che sintetizza la concezione dell’individualismo atomistico propria delle dottrine liberali, in particolare in ambito economico (liberismo) ma non solo. La frase viene per lo più attribuita a J.C.M. Vincent de Gournay, ministro del commercio francese (XVIII secolo). In precedenza, sembra che soprattutto l’espressione laissez faire o laissez nous faire (“lasciateci fare”) sia stata già variamente utilizzata; in particolare, secondo il famoso economista John Maynard Keynes il primo ad utilizzare questa espressione più sintetica fu il marchese d’Argenson, ex ministro di Luigi XV, intorno alla metà del XVIII secolo (N.d.R.).

[6] Espressione francese con il significato di “slancio vitale”, usata specificatamente dal filosofo Henri Bergson nel suo libro “Evoluzione creativa” del 1907, in cui si affronta la questione della presunta auto-organizzazione e della presunta spontanea morfogenesi (il processo che porta allo sviluppo di una determinata forma o struttura) di tutte le cose della natura. L’espressione, nota soprattutto nell’ambito della cultura francese, è stata per lo più usata nella parapsicologia, nelle pseudo-scienze filosofico-spirituali moderne (come ad esempio talune filosofie vitalistiche sviluppatesi alla fine del XIX secolo), ed in alcune correnti artistiche del XX secolo quali il dadaismo o il fauvismo. Si tratta insomma di un riferimento alquanto grossolano, incerto e confuso a non meglio precisate “energie vitali” innate negli individui, da incanalare e far sviluppare lungo determinate direttrici. Il tutto in un quadro naturalistico e neo-spiritualistico notoriamente inviso ad Evola, Guénon ed ai grandi esegeti della Tradizione, per l’evidente pericolo di contraffazione dei contenuti delle dottrine sapienziali tradizionali causato da queste correnti “sabotatrici” (N.d.R.).

[7] In particolare, per una critica dettagliata del neomisticismo e del messianismo quale sua espressione specifica, nell’ambito del quale rientrerebbe il fenomeno legato al “guru” Jiddu Krishnamurti, il nuovo “istruttore del mondo” individuato da Annie Besant in seno al fantomatico “Ordine della Stella d’Oriente” di matrice teosofica, si veda la nota opera di Evola “Maschera e volto della spiritualismo contemporaneo”, Edizioni mediterranee,  capitolo VI (N.d.R.).

[8] Celebre espressione con cui il filosofo Gottfried Leibniz, nel formulare la sua teoria delle monadi o “sostanze individuali”, quali forme sostanziali dell’essere, “atomi spirituali”, eterni, indivisibili, con infiniti e diversi gradi di consapevolezza, ne indicava la totale separatezza ed assenza di interazioni le une dalle altre. Pur appartenenti di fatto a un’unica sostanza-Monade, e pur esprimendo quindi un’unità metafisica, le monadi si presentano allo stesso tempo, secondo il filosofo tedesco, come rigorosamente separate le une dalle altre. Da ricordare come René Guénon abbia citato Leibniz tra i pochi filosofi moderni nel cui pensiero siano presenti alcune tracce residuali delle dottrine sapienziali tradizionali (in tal caso, ad esempio, l’unità del molteplice, di precedente derivazione anche platonica). Evola paragona quindi il bambino come concepito secondo il «metodo Montessori» ad una monade completamente chiusa ad ogni contatto o interazione con l’esterno, in particolare con le coercizioni imposte dall’adulto (N.d.R.).

[9] Per comprendere meglio l’immagine geometrico-matematica utilizzata in senso metaforico dalla Montessori e la conseguente critica di Evola, chiariamo alcuni punti anche con un esempio finale che renderà il tutto più comprensibile. Com’è noto, nella geometria euclidea un parallelogramma (o parallelogrammo) è un quadrilatero convesso con i lati a due a due paralleli; i lati opposti di un parallelogramma sono di eguale lunghezza e gli angoli opposti di una parallelogramma hanno uguale misura. I principali esempi di parallelogrammi sono il quadrato, il rettangolo ed il rombo.
Vediamo ora cosa si intende per parallelogramma delle forze. Quando due forze complanari (cioè che operano su uno stesso piano) agiscono su un corpo in direzioni differenti, sono equivalenti ad un’unica forza (risultante) che agisce in un punto tra loro. Un esempio pratico può chiarire facilmente questo concetto: una cassa, trainata da due corde orizzontali divise in un angolo, si muove in una direzione tra le corde lungo la linea della loro forza risultante. Finché la cassa si muove, la sua azione può essere rappresentata come un’unica forza orizzontale uguale alla risultante delle due forze agenti lungo le corde. Pertanto, quando tre forze non parallele agenti su uno stesso piano sono in equilibrio, le loro linee di azione si incontrano in un punto. Il tutto può essere rappresentato facilmente con un grafico chiamato proprio parallelogramma delle forze, di cui forniamo una raffigurazione.
parallelogrammo_03parallelogramma-delle-forzeLa diagonale del parallelogramma (R) è la cd. risultante delle due forze applicate in corrispondenza di un punto O, ed è pari alla somma delle due forze medesime, V1 e V2, che costituiscono i lati del quadrilatero. Accanto vediamo l’applicazione concreta nell’esempio della cassa tirata con due funi.
Tornando a noi, secondo la signora Montessori, il bambino, con le sue inclinazioni “innate”, costituisce una forza di una certa direzione (V1). L’educatore non montessoriano è una forza di direzione diversa (V2). Se costui interviene nel processo educativo, non si avrebbe più né l’una cosa (V1) né l’altra (V2), ma una risultante che segue la direzione diagonale del parallelogramma delle forze, diversa da entrambe le componenti di partenza.
Evola, come si legge nell’articolo, pur accusando la palese insufficienza “di questa imagine disanimata e astratta di fronte alla realtà vivente”, osserva però come la risultante potrebbe essere intesa non come una direzione deviata o addirittura neutralizzatrice rispetto alla pretesa perfezione della direzione del bambino (V1) ma come una direzione rettificata, pur non coincidendo del tutto con la direzione dell’educatore (V2). Inoltre, osserva sempre Evola, in termini strettamente matematici, a parte la sua direzione, in molti casi la risultante rappresenta una forza accresciuta in intensità rispetto alla componente minore (è in fondo l’equivalente della somma delle due forze, V1 e V2): “non solo nel caso del bambino, ma anche in quello di un adulto e perfino di una razza o di un popolo, resta pienamente da dimostrare che tutto ciò che è contrasto, dissidio, antagonismo si risolva sempre in dissipazione e non sia invece occasione per lo scaturire di qualcosa di più alto, di una forza più viva e più irresistibile” (N.d.R.).


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"In una civiltà tradizionale è quasi inconcepibile che un uomo pretenda di rivendicare la proprietà di una idea e, in ogni caso, in essa chi così facesse, con ciò stesso si priverebbe di ogni credito e di ogni autorità, poiché condannerebbe l’idea a non esser più che una specie di fantasia senza alcuna reale portata. Se una idea è vera, essa appartiene in egual modo a tutti coloro che sono capaci di comprenderla; se è falsa, non c’è da gloriarsi di averla inventata. Una idea vera non può essere «nuova», poiché la verità non è un prodotto dello spirito umano, essa esiste indipendentemente da noi, e noi abbiamo solo da conoscerla. Fuor da tale conoscenza, non può esservi che l’errore" (R. Guénon)

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