Seconda ed ultima parte dell’articolo di Evola, originariamente apparso su “La Vita Italiana” del 1935, finalizzato a descrivere ed a far conoscere la figura e l’opera straordinaria di René Guénon. L’articolo fu ripubblicato nel numero del maggio-agosto 1975 di Civiltà, da cui sono stati tratti importanti articoli che abbiamo abbinato a quelli del numero speciale della rivista del settembre-dicembre 1974 che fu dedicato ad Evola. Con questa pubblicazione, concludiamo questa piccola ma importante inziativa editoriale, iniziata il 6 aprile scorso con la pubblicazione dell’articolo del direttore dell’epoca Pino Rauti “Evola – una guida per domani”. Speriamo di aver così contribuito a ridare lustro ad una storica rivista come Civiltà oltre che, ovviamente, ad aver dato un ulteriore contributo allo studio ed al ricordo di Julius Evola quale grande esponente della Tradizione del Novecento italiano.
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di Julius Evola
tratto da “Civiltà” n. 12-13 maggio-agosto 1975 (già pubblicato su “La Vita Italiana”, febbraio 1935)
segue dalla prima parte
Dal contatto con la realtà metafisica può esser ricavato, come si è detto, un insieme di princìpi, che rendono possibile una visuale non-umana per considerare e ordinare le cose umane: punti fermi, da cui per adattazione ai vari piani possono esser dedotti ulteriori princìpi relativi a Conoscenze e domini particolari, ma sempre ordinate gerarchicamente intorno ad un unico asse sovrannaturale. Questo è il carattere posseduto dalle antiche «scienze tradizionali» delle antiche civiltà, in opposto alle scienze moderne, induttivo-esterioristiche, particolaristiche, analitiche, prive di veri princìpi, puramente profane, incapaci di condurre ad un conoscere, oltre che ad un morto «sapere». La critica che, in connessione a ciò, il Guénon muove allo scientismo moderno in tutte le sue appendici materialistiche, pragmatistiche, evoluzionistiche, ecc., è la più seria e la più radicale di quante siano mai state fatte.
D’altra parte, applicata al piano sociale e pratico, ciò che una tradizione trae dalle sue premesse metafisiche si traduce anche in princìpi atti ad inquadrare e ordinare le attività mondane e a conferire loro un significato superiore, a creare forme istituzionali a ciò adeguate, fino a prolungare la «vita» in qualcosa che è più che «vita». Qui le deduzioni del Guénon assumono un carattere decisamente gerarchico, aristocratico, antindividualista, antisocialitario, anticollettivista. Esse superano il dualismo proprio a concezioni, come quella platoneggiante propria p. es. a Julien Benda: lo spirito non ha per destino l’esilio in uno stratosferico supermondo e i portatori dello spirito non son destinati a fare, in questo mondo, la parte di esiliati in lacrime o in stoico irrigidimento e di utopisti impotenti. Ciò che non comincia né finisce nell’elemento «uomo» per il Guénon proietta dei precisi rapporti di «dignità», di qualità e di differenza nelle varie forme di vita: e così nasce la vera gerarchia, quella che le grandi organizzazioni sociali tradizionali conobbero e l’ultima eco delle quali si continua fino al medioevo feudale e cattolico-imperiale, al quale il Guénon rivendica naturalmente un significato speciale di valore e di simbolo. La forza creatrice di queste grandi realtà storiche non sarebbe dunque derivata da elementi contingenti, sociali, economici, ma dall’irresistibile forza dall’alto che promana da un vivente contatto con la realtà metafisica, tradotto poi in precisi rapporti di primato di una autorità spirituale regolarmente costituita sul potere temporale. Il mondo dei «princìpi», quale il Guénon lo concepisce, è assai meno un mondo esangue di astrazioni che un mondo di forze la cui azione, per essere invisibile, non è meno efficace, anzi è assai più irresistibile, inesorabile e fatale, di quella relativa a forze materiali e, in genere, semplicemente umane.
Peraltro, le considerazioni del Guénon hanno un valore realmente illuminativo là dove egli riporta a tali fattori invisibili e insospettati forme e avvenimenti storici di cui la conoscenza comune non è effettivamente che la cronaca. Nella penetrazione delle «intelligenze» che enigmaticamente regolano la storia e le grandi leggi spirituali di essa (p. es. le leggi cicliche) il Guénon si dimostra effettivamente un maestro e ciò che egli dice a tale riguardo non solo vale in se stesso, ma anche e ancor più alla stregua della precisazione di un metodo nuovo che, si può dire, nei riguardi della storia ha quel valore di investigazione di quanto sfugge alla coscienza comune periferica e procede da cause profonde e sotterranee, che la psicanalisi ha nel riguardo di una parte della psiche umana di contro all’ordinaria, bidimensionale psicologia.
Lo stesso può dirsi nel riguardo del mondo dei simboli e dei miti. Simboli e, miti per il Guénon – che anche qui riprende un punto di vista tradizionale e si oppone recisamente alle concezioni moderne – non sono fantasie arbitrarie, invenzioni liriche, traduzioni naturalistiche. Essi sono spesso delle espressioni sui generis di elementi di carattere metafisico e, come tali, son suscettibili ad essere riportati, attraverso una congrua esegesi, ad un contenuto che è più valido sia dei dati razionali che di quelli positivi. E ciò, nell’insieme dell’ppera del Guénon, non è cosa di dettaglio: infatti le testimonianze più ricche delle tradizioni e anche delle istituzioni che più interessano il Guénon si presentano prevalentemente in forma di simboli e miti. Il Guénon le assume e le riconduce al loro significato oggettivo e universale: il suo metodo comparativo da forma ad una specie di «invariante», cioè a qualcosa di valido «sempre e ovunque» sia in sede di istituzioni che in sede di religioni e di vie di superamento della condizione umana.
Qui si individua la posizione gerarchico-universalista del Guénon. Universalismo in lui non significa, come in certe deviazioni moderne, livellamento, uniformismo. L’universale per il Guénon non è vero che come un apice gerarchico, come un principio anteriore e superiore alle differenze. Esso coesiste con la massima differenziazione. È la spirituale e immutabile unità in cui converge e da cui trae il proprio ordine, il proprio significato e la propria ragion d’essere nel tutto ogni realtà particolare. Ciò sí applica in ogni dominio, quello sociale o politico e quello religioso compreso. Socialmente, l’idea gerarchica tradizionale per il Guénon trova espressione in tutte quelle costituzioni, che obbediscono al principio suum cuique, «ad ognuno il suo»; nelle quali dunque gli individui attraverso una funzione conforme alla loro natura propria e alla loro naturale vocazione sono raggruppati in classi o caste, aventi ognuna il proprio volto, le proprie prerogative e i propri diritti e sopraordinate le une alle altre nel modo più atto a garantire il saldo primato dello spirituale sul temporale. A tale riguardo, come modello ideale, il Guénon spesso si riferisce alla gerarchia propria all’antica società indù, ove, come e noto, sul ceto operaio dominava un ceto mercantile, su questo l’aristocrazia guerriera e, infine, al vertice, si avevano delle élítes portatrici della pura autorità spirituale e della conoscenza intellettuale pura, o conoscenza metafisica. Il Guénon mostra che questo non è uno schema contingente, ma un principio d’ordine che, sia pure in forme varie, più o meno complete, ha trovato espressione dovunque si è costituito un tipo normale di civiltà e di società: fino al medioevo, che parimenti conobbe la ripartizione supernazionale in popolo, terzo stato, nobiltà e clero.

“Il nome Melchisedec, o più esattamente ‘Melki-Tsedeq’, di fatto non è che il nome con cui la funzione stessa del ‘Re del Mondo’ si trova espressamente designata nella tradizione giudeocristiana” (René Guénon)
Ciò vale anche per quel contenuto, che può dirsi il nervo vitale di ogni grande tradizione o religione. Negli insegnamenti, nei simboli e negli stessi riti di ciascuna di esse si avrebbero espressioni varie – varie secondo il tempo, il luogo e le altre condizioni contingenti – di una tradizione unica o «primordiale»: termine, questo, da prendersi però più in senso spirituale e metafisico che non storico e temporale. Come punto supremo di riferimento, in una tale tradizione si avrebbe, in fondo, una confluenza dei due poteri, del principio spirituale e del principio regale: essa sarebbe il cuore di ogni organismo traente dall’alto la linfa essenziale della propria vita. Qui sarebbe il vertice dell’universalità pura e, nella sua applicazione esteriore, il principio di ogni Sacrum Imperium. In un’opera unica nel suo genere, Le Roi du Monde (6) (Paris, 1927) il Guénon si è dato a mostrare la ricorrenza, nelle più svariate tradizioni, appunto dell’idea del «Signore Universale» e anche della sua concretizzazione come idea di una fonte unica delle forze che hanno ordinato tradizionalmente i massimi cicli storici. Come, oltre la varietà delle forme e dei gradi di consapevolezza, le diverse tradizioni possono riportarsi ad un contenuto unico di conoscenza, superiore e anteriore ad esse tutte, così di là dai vari centri più o meno dominanti visibilmente le grandi correnti della storia dovrebbe ritrovarsi un centro unico, una unica funzione di suprema reggenza spirituale, tale che di fronte ad essa tutte quelle che conosciamo avrebbero un ruolo subordinato. Una tale nozione, al pari di quella di «tradizione primordiale», va presa soprattutto in senso metafisico e super individuale; ipotesi ovvero misteriosa realtà, resta in ogni modo confermato dalle considerazioni del Guénon l’uniforme aspirazione dell’uomo tradizionale a portarsi oltre il particolare e il contingente, ad integrare la sua tradizione in una supertradizione oscuramente presentita, recante tratti simultaneamente imperiali e spirituali e supremarnente regolatrice appunto per la sua natura metafisica. Ancora una volta, è quel che fu adombrato dal Medioevo ecumenico e dall’ideale dell’Imperator dantesco (il Guénon è anche autore di una monografia che si intitola: L’esoterisme de Dante (7) e di un’altra su San Bernardo).
Dall’Oriente fino all’Occidente moderno il senso della tradizione secondo il Guénon è andato oscurandosi progressivamente: la sua ultima affermazione sarebbe rappresentata dal cattolicesimo, e qui ha speciale interesse tutto quel che il Guénon dice per mettere in luce il contenuto cattolico, cioè «universale» (katholikos vuol dire universale) del cattolicesimo, nel senso di ritrovare in insegnamenti, riti e simboli della chiesa una delle possibili espressioni della «tradizione primordiale».

Lutero affigge le 95 tesi sulla Chiesa di Wittenberg (1517). Ne seguirà la Riforma Protestante (F. Pauwels, 1872)
È con la Riforma da un lato, con l’Umanesimo dall’altro, che si e avuto lo jato completo e la fase acuta di quel processo di involuzione, che il Guénon vede nella storia e che egli interpreta secondo gli insegnamenti tradizionali relativi alle leggi cicliche e alle «età del mondo». Con la Riforma e l’Umanesimo al punto di vista metafisico si sostituisce quello umano. Poco a poco si costituisce una cultura di decadenza e di contingenza, in quanto profana e razionalistica. Sono le facoltà razionali che prendono il posto della «intellettualità pura»: l’astrazione filosofica si sostituisce alla conoscenza vera, l’immanenza alla trascendenza, l’individuale all’universale, il movimento alla stabilità, l’antitradizione alla tradizione. Simultaneamente l’aspetto materiale e pratico della vita si ipertrofizza e prende la mano su tutto il resto.
Nuove manifestazioni dell’«umano» il moralismo, il sentimentalismo, l’esaltazione dell’«io», dell’incomposto agitarsi e correre (attivismo), della tensione senza luce (volontarismo) e della «vita» nei suoi aspetti irrazionali e prepersonali serpeggiano dappertutto nel mondo moderno, fra una completa mancanza di princìpi veri, fra un caos sociale e ideologico, fra un contaminante misticismo del divenire che batte il ritmo ad una specie di corsa verso l’abisso sotto il ciclo arimanico di una grandezza puramente meccanica e materialistica. E dall’Europa il male si estende altrove come una nuovissima barbarie: l’antitradizione si insinua dappertutto, «modernizzando» quelle civiltà che, come l’India, l’Islam o la Cina, in una certa misura ancora conservavano valori e regole di vita di un diverso ordine. E dove possano condurre certi scatti di reazione in Occidente, lo si è visto: sono le deviazioni neospiritualistiche che, esse stesse, riflettono la tirannia di facoltà sub intellettuali e l’incomprensione per una realtà superiore. Socialmente, il Guénon è colui che per primo in forma suggestiva ha visto, come verità della storia, al luogo del progressismo, la discesa del potere politico dall’una all’altra delle antiche caste: dal livello spirituale a quello dei guerrieri, dai guerrieri alla borghesia capitalista e da questa, infine, accenni di un’ultima caduta fino al livello della pura massa, dell’antica casta dei servi (socialismo, bolscevismo).
Così il Guénon constata che a tal punto essendo giunte le cose, poiché il ciclo si chiude, e più in basso non si può andare, vi è da aspettarsi un punto estremo di crisi e vi è da prepararsi ad una ripresa, ad una fase ricostruttiva. Ma a tale riguardo gli orizzonti non si presentano chiari al Guénon. Il compito fondamentale sarebbe quello di creare delle élites, nelle quali si ridesti il senso della realtà metafisica e si venga, su tale base, alla formulazione dei princìpi che occorrono per un nuovo ordine. Ma dove trovare il punto di partenza? In una delle precedenti tradizioni? Per l’Occidente, ciò significherebbe il cattolicesimo: ma il Guénon, anche per via di speciali «esperienze» personali, sembra aver perduto quel parziale ottimismo che nei suoi primi libri nutriva a tal riguardo, concependo, per il cattolicesimo, la possibilità di reintegrarsi pervenendo alla coscienza piena e vivente di quel contenuto «tradizionale» in essa da tempo passato, per così dire, allo stato latente, oltreché nelle limitazioni di un esclusivismo quasi fazioso.
Dovremo allora volgere gli sguardi all’Oriente? Ma a quale Oriente? I riferimenti a dottrine orientali per giungere ad una dottrina in fondo superiore ad Oriente e ad Occidente, in opere del Guénon come L’Homme et son devenir selon le Vêdantâ (8) (Paris, 1925) o Le Symbolisme de la Croix (9) (Paris, 1930), non debbono ingannare. Noi abbiamo dinanzi ormai, in gran parte, un Oriente o decadente, o in via di modernizzarsi, cioè di incamminarsi verso le stesse crisi sociali e spirituali, per le quali noi oggi vorremmo volgerci ad esso. Rivolgerci a quel che esso, in qualche ambiente o come tradizione cristallizzata, ancora presente di metafisico, in fondo equivale a rivolgersi a quel che di simile può presentarci il nostro stesso più antico e migliore Occidente. Il problema di utilizzare una continuità, di prendere il nuovo slancio dalla base di una tradizione, oggi sembra dunque condannato a fallire.
Forse è un’azione creativa e un’azione, per dir così, di tipo eroico, che ci si impone. E qui entrerebbe in quistione una parte, che il Guénon a tutt’ora non ha trattato, ma che certamente gli si imporrà per studiare a fondo le possibilità del mondo moderno dal suo punto di vista. In vari punti si è ormai acceso in Occidente un moto di insofferenza e di rivolta contro le forme più visibili della disgregazione intellettuale e politica moderna.
Da qui un nuovo concetto di «rivoluzione», anche sul piano sociale, concetto che spesso è sinonimo di vera e propria contro-rivoluzione e che comincia a dominare e orientare, in più di uno Stato, ampi strati delle nuove generazioni. Sarebbe interessante studiare in che misura e forma tali correnti che decisamente si sono schierate contro tutto ciò che è democrazia e socialismo – e soprattutto quella fascista italiana, ove inoltre già si e svolto un lavoro nel senso di sintesi fra tradizione, e rinnovamento o «rivoluzione» – possono offrire la migliore base per iniziare un lavoro di reintegrazione nel senso di quello indicato dal Guénon, e quindi di carattere anche metafisico e trascendente, oltreché etico e sociale.
Un’analisi del genere sarebbe di somma utilità e porterebbe le dottrine del Guénon ad un grado assai più alto di efficacia pratica e di vicinanza con quegli elementi, che posseggono virtualmente delle capacità di comprensione e che cominciano ad aver nelle loro mani anche la potenza. Se è dunque desiderabile che il Guénon si decida per un lavoro del genere, per converso, la conoscenza e lo studio delle opere di questo autore sarebbero davvero da raccomandarsi agli elementi migliori e più ansiosi di vero orientamento spirituale della nuova, giovane Italia fascista. Essi vi troveranno infatti dei punti di vista ben lontani da tutto ciò che e particolarismo e personalismo, ampi orizzonti, idee allo stato puro e incondizionato, nuove vie per riconquistare una grandezza che, come dice lo stesso Guénon, non è di ieri e del passato ma, per aderire a quel che è superiore al tempo, è di una perenne attualità.
Poiché la premessa del «tradizionalismo integrale» del Guénon è quella stessa dell’ideale mussoliniano della conquista di una «realtà permanente e universale» come condizione per chiunque voglia agire spiritualmente nel mondo come «volontà umana dominatrice di volontà».
Note
(6) Il Re del Mondo, Casa Editrice Atanòr, Roma, 1971 (ora: Adelphi, 1977, e Tipheret, 2016).
(7) L’esoterismo di Dante, Casa Editrice Atanòr, Roma, 1971 (ora: Adelphi, 2001).
(8) L’uomo e il suo divenire secondo il Vêdantâ, Ed. Studi Tradizionali, Torino, 1965 (ora: Adelphi, 2011).
(9) Il simbolismo della Croce, Rusconi 1973, Ed. Studi Tradizionali, Torino, 1964 (ora: Adelphi, 2012).
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