Considerazioni sull’uomo obliquo

di Julius Evola         

Tratto da “Rivolta ideale” del 29 Maggio 1952.

Nel precedente periodo avemmo a formulare una teoria delle “razze dello spirito”, che s’intendeva ad individuare tipi e atteggiamenti fondamentali dell’essere umano. Per il che ci riferimmo anche ad antiche tradizioni, le quali misero determinati caratteri in relazione simbolica con pianeti, divinità ed elementi: così noi parlammo delle razze dell’uomo solare, dell’uomo tellurico, lunare, afroditico, dionisiaco e via dicendo.

Se oggi dovessimo riprendere tale ordine di studi ci accorgeremmo di aver dimenticato un tipo speciale, attualmente diffuso quanto mai, tipo che potremmo chiamare dell’uomo mercuriale o, più intelligentemente, razza dell’uomo sfuggente (è la stessa cosa perché il “mercurio” andrebbe preso come simbolo di una natura labile, inafferrabile, sfuggente).

Mercurio-Hermes nella raffigurazione con le ali ai piedi e sulla testa ad evidenziarne non solo uno dei ruoli principali nella mitologia greco-romana, quello di messaggero degli déi, ma anche quel carattere di “fluidità” e sfuggevolezza, tipica del relativo metallo, duttile, tenero e liquido anche a temperatura ambiente. In alchimia, è nota l’assimilazione del Mercurio (nella sua forma impura, ristretta, terrestre, soggetta alla legge lunare e al divenire), all’elemento psichico-vitale dell’uomo, quale ente acqueo-fluidico-lunare

Quale azione corrosiva gli avvenimenti degli ultimi anni – fine guerra e dopoguerra – abbiano esercitato sull’animo umano, è cosa abbastanza nota e, purtroppo, da noi in Italia perfino più visibile che altrove. Ma, in questo dominio, si può andar ancor oltre. Si potrebbero individuare vere e proprie variazioni psicopatologiche del tipo umano del periodo attuale, variazioni generali ed uniformi, riscontrabili un po’ dappertutto fra i popoli europei e altresì in America U. S., tanto da potersi quasi parlare di una nuova razza: appunto di quella dell’uomo sfuggente.

Per cominciare, a caratterizzare in genere il nuovo tipo del dopoguerra basta una “anestesia morale”. La preoccupazione di “non perdere la faccia”, il senso elementare di rispetto verso se stessi son quasi scomparsi. Precisando, non è che in precedenza si potesse riconoscere in ciascuno un “carattere”. Ma anche in coloro che non lo avevano, sussisteva il sentimento di quel che essi avrebbero dovuto essere e che un tipo umano normale, in genere, è. Ebbene, proprio questo, in un gran numero di persone, ormai manca: esse sono di fatto labili, oblique, informi, sfuggenti. Non hanno più una misura per sé stesse. La loro sensibilità morale è appunto “anestetizzata”. Anzi, rispetto a dei principi ad una esigenza di coerenza, di linea, essi manifestano spesso una insofferenza quasi isterica.

Peraltro, l’accennata inconsistenza non riguarda quei problemi in senso superiore, che non si presentano ad ogni momento della vita. Essa è caratteristica fin nelle piccole cose della esistenza ordinaria. Si tratta, ad esempio, della incapacità di mantenere un impegno, la parola data, la direzione presa, un dato proposito (scrivere, telefonare, rispondere, occuparsi di una certa cosa). Rispetto a tutto ciò che lega, che implica qualcosa di impegnativo di fronte a sé stessi, il tipo in questione è insofferente. Cioè: dice, ma non fa, o fa un’altra cosa, sfugge – e il comportarsi così gli sembra naturale, ineccepibile. Si meraviglia perfino, quando qualcuno da ciò si sente urtato e glielo rinfacci.

La generalità di una tale attitudine è preoccupante. Nei tempi ultimi essa ha fatto presa in strati sociali, nei quali fino ad ieri predominava una linea abbastanza diversa: come fra l’aristocrazia e l’artigianato. Lo sfuggire, il promettere senza mantenere, la non puntualità, l’evasione anche in cose piccole e stupide, si riscontrano anche qui, frequentissime. E vale notare un punto importante: non è che si sia così deliberatamente, ad esempio, per seguire senza scrupoli il proprio tornaconto. No, si è così in via spontanea, talvolta perfino a proprio danno, per un vero cedimento interiore. È per tal via che molti che ieri ci si illudeva di conoscere a fondo, e che ci erano amici, oggi non si riconoscono quasi più. È, si potrebbe dire, un fatto “esistenziale” più forte di loro, tanto che spesso essi non se ne rendono nemmeno conto.

René Magritte, “Il doppio segreto” (1927)

Il fenomeno potrebbe esser seguito anche nelle sue ripercussioni in sede di struttura psichica. L’uomo della “razza sfuggente” accusa infatti una vera e propria alterazione psicologica. Nel riguardo, potrebbero essere utilizzate le considerazioni fatte dal Weininger circa il nesso esistente fra eticità, logica e memoria. In un tipo normale, le tre cose sono unite insieme, perché il carattere esprime quella stessa coerenza interna, che si manifesta altresì nel rigore logico e in quella unità di vita, che permette di ricordarsi, di mantenersi in una mèmore, cosciente connessione col proprio passato. Secondo il Weininger, proprio questa unità delle facoltà caratterizza la psicologia maschile di fronte a quella femminile, la quale di massima è invece fluida, poco logica, incoordinata, fatta di impulsi più che di rigore logico ed etico.

Ebbene a tale riguardo “l’uomo della razza sfuggente” appare più donna che uomo. Ulteriori suoi tratti caratteristici psicologici, che fanno da controparte all’accennata “anestesia morale”, sono la menomazione della memoria, la facilità di dimenticarsi, la difficoltà di concentrarsi, spesso perfino di seguire un ragionamento serrato e stringente, la distrazione, il pensare a balzi. Sono, visibilmente, gli effetti di una parziale disgregazione che, dal piano dei principii e del carattere, son passati a ripercuotersi perfino in quello delle facoltà in se stesse.

Da un lato, il fenomeno di collasso che suole seguire ad una prolungata tensione (quella imposta in molti dalla guerra), dall’altro, il crollo dei valori e degli ideali a cui fino a ieri si credette, son forse questi due fattori che oltre a quelli generali di ogni dopoguerra, han propiziato la formazione del tipo umano sfuggente. Il fenomeno, purtroppo, è reale, ed ognuno, guardando intorno a sé, può convincersene. La constatazione non è certo edificante. I tempi che si stanno preparando non sono proprio tali che dei popoli, nei quali una simile incrinatura ha saputo diffondersi ed assumere tratti quasi costituzionali, possono essere all’altezza di essi. Speriamo che qualche energico processo reintegratore e profilattico intervenga prima che sia troppo tardi.



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'Considerazioni sull’uomo obliquo' 1 Commento

  1. 26 Febbraio 2017 @ 23:41 Lorenzo Zacchetti

    Scritto nel 1952 è ancora perfettamente attuale.
    E’ l’uomo tipico delle epoche di fine impero, colui che da guerriero si è trasformato in cortigiano, da potente in rappresentante, da comandante fidato in usurpatore interessato, da inventore in esecutore, da artista in conformista, da atleta eroico in giocatore, da religioso in moralista.
    Egli non conosce sforzi di elevazione nè individuali nè comunitari, ma ha coraggio solo per soddisfare i desideri del proprio io, è stato allevato con mangime culturale, perchè con certezze artificialmente preparate non avesse mai ad aver paura, non avesse mai a preoccuparsi e domandarsi di nulla, ma fosse pienamente e pacificamente addomesticato.
    Se un processo reintegratore e profilattico può esistere, credo che questo possa solo avere inizio da un brusco risveglio, provocato dall’urto contro una realtà meno protettiva o forse, chissà, per l’orientamento magnetico che l’esempio vivente di tipi differenziati può suscitare.
    Nel frattempo, direi, si badi anche a non restarne contagiati, a tal proposito il monito dei nostri padri antichi risuona nella memoria con grande efficacia: amici vitia si feras, facis tua…

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"In una civiltà tradizionale è quasi inconcepibile che un uomo pretenda di rivendicare la proprietà di una idea e, in ogni caso, in essa chi così facesse, con ciò stesso si priverebbe di ogni credito e di ogni autorità, poiché condannerebbe l’idea a non esser più che una specie di fantasia senza alcuna reale portata. Se una idea è vera, essa appartiene in egual modo a tutti coloro che sono capaci di comprenderla; se è falsa, non c’è da gloriarsi di averla inventata. Una idea vera non può essere «nuova», poiché la verità non è un prodotto dello spirito umano, essa esiste indipendentemente da noi, e noi abbiamo solo da conoscerla. Fuor da tale conoscenza, non può esservi che l’errore" (R. Guénon)

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