Lo scorso 12 Maggio si è svolto a Brescia il convegno dal titolo “Julius Evola, René Guénon. Incontro o scontro?”, organizzato dal Centro Studi Internazionale Dimore della Sapienza. L’evento, cui RigenerAzione Evola ha ufficialmente aderito e partecipato, ha visto la partecipazione di relatori di alto livello quali Claudio Mutti (Eurasia), Enzo Iurato (Heliodromos), Paolo Rada (rappresentante del Centro Studi “Dimore della Sapienza”), ed Enrico Galoppini (scrittore). Dopo aver iniziato la pubblicazione dei testi integrali degli interventi dei suddetti relatori con quello del professor Claudio Mutti, proseguiamo, sempre secondo l’ordine in cui si sono susseguiti, con quello di Enrico Galoppini, che si lancia in una riflessione aperta sul rapporto tra Evola, Guénon e il mondo moderno. Buona lettura.
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La crescente attualità del pensiero di Evola e di Guénon
di Enrico Galoppini
Premessa
Voglio essere schietto fin dall’inizio e giocare a carte scoperte. Non sopporto i sacrestani della “dottrina pura”. Subentra sempre, nella loro attitudine, un certo “moralismo”, che è quanto di più lontano possa esserci da Evola e Guénon. Ed anche un esercizio di pigrizia intellettuale, nonché la voglia di “delegare” ad altri – nel caso specifico all’Evola e al Guénon “di carta” – la missione di “risolvere” la propria condizione umana.
Inoltre, non siamo qui riuniti per mettere in scena un ‘esamino’ dove si danno voti su Evola e Guénon…
Il mio incontro con Evola e Guénon
Come sono arrivato a Evola e Guénon? All’università di Pisa, dove all’inizio degli anni Novanta regnava un clima opprimente, quello dei “collettivi studenteschi”. Fortunatamente un docente della facoltà di Scienze Politiche aveva fatto acquistare quasi tutti i libri di Evola e di Guénon. Il docente era interessato al “pensiero di destra”, alla cosiddetta “destra radicale” e, nello specifico, alle ricadute “terroristiche” di quel pensiero. Davvero una cosa patetica, perché non si è mai dato il caso di docenti che hanno indagato la correlazione tra le ideologie “di sinistra” e il “terrorismo”, per non parlare delle ricadute terroristiche, a livello planetario, delle ideologie “liberista”e “democratica”.
A parte questo, ricordo come l’incontro col pensiero di questi due autori fu per me da una parte “stupefacente” (lo “stupore” è componente essenziale dell’evoluzione spirituale), dall’altra dava corpo, sistematizzava, tutta una serie di intuizioni confuse che albergavano nella mia mente, per non dire nella mia coscienza. Approfitto di questo passaggio biografico per osservare come sia profondamente sbagliato farsi prendere dal pessimismo assoluto: tutti noi siamo “in cerca”, pertanto nulla di quel che si scrive e si fa conoscere attraverso iniziative come questa è del tutto inutile. L’unica cosa davvero negativa e distruttiva è il non far nulla e starsene con le mani in mano.
Bene, la cosa in un certo senso inusuale che mi capitò di fare fu che usai svariati scritti di Evola e Guénon per la compilazione della mia tesi di Storia del colonialismo italiano in Libia, trattandosi di un lavoro sull’immaginario coloniale, che, come potete immaginare, ruotava in buona parte intorno alla contrapposizione fra “progresso” ed “arretratezza”, in ogni dominio dell’esistenza. Interessante dunque notare come anche in piena era fascista, dove il Fascismo costituiva anche una reazione agli “immortali principi dell’89”, i mondi extra-moderni venivano giudicati secondo le varie fisime “progressiste”.
Quello che mi colpì in Evola e Guénon fu più che altro un approccio alla conoscenza antitetico rispetto a quello dei “professori accademici”. Mentre questi ultimi inseguivano il “documento”, la specializzazione e l’erudizione, Evola e Guénon mettevano in guardia dalla “superstizione del fatto”, privilegiavano l’universale rispetto al particolare, incoraggiavano l’identità tra conoscente e conosciuto.
Perché l’accademia e la cultura dominante ignorano Evola e Guénon
Ad un certo momento, uno si chiede: perché la “cultura” e l’accademia ignorano Evola e Guénon? La risposta, se solo uno ha presente il livello di ciò che per i moderni è “cultura” (accademica o meno), non può che essere questa: perché mettono tutti coloro che ne fanno parte di fronte alla loro nullità. Evola e Guénon è come se dicessero loro: state tutti perdendo tempo dietro cose futili, se non addirittura dannose per voi stessi e l’ambiente in cui vivete.
Quelli di Evola e Guénon sono libri che “lasciano il segno”. Dopo la loro lettura ci si sente trasformati. Non sono solo raccolte di “informazioni”, ricercate senza sosta dall’erudito. Per cui fanno decisamente pena quelli che stanno a fare le pulci su questa o quella nota o citazione errata nelle pagine di questi due giganti.
Evola e Guénon sono scomodi perché pongono non solo un “relativismo di civiltà” (fatto proprio anche solo dall’Antropologia), ma un “dualismo di civiltà”. Un’opposizione irriducibile. Da una parte la (in)civiltà del numero indefinito e della quantità, della massa e delle “opinioni”, dei “diritti” e dell’umano (troppo umano), dell’uomo-gregge che ha persino paura della propria ombra; dall’altra la civiltà dell’Uno e della qualità, dell’élite e della Conoscenza, dei doveri e del divino, dell’uomo “differenziato” che aspira al “mondo degli eroi”.
E chi si fila più Marcuse, Horkheimer, Adorno? Ma Evola e Guénon sono rimasti, e sono sempre più attuali!
Attualità di Evola e Guénon
Questi due pensatori hanno vergato pagine memorabili e definitive contro la “superstizione della Scienza” (si pensi alle sue ricadute negative sulla concezione dell’essere umano), la “superstizione della Cultura” (un bisogno d’evasione e di alimentare l’ego; problemi mal posti a non finire), la “superstizione del numero” (“Gerarchia e Democrazia”: un’antitesi irriducibile), la “superstizione egalitaria” (per cui si andrebbe verso l’indistinto per ciò che concerne la razza, il sesso eccetera).
Libri quali La crisi del mondo moderno e Maschera e volto dello spiritualismo contemporaneo sono di un’attualità sconvolgente. La gente sente che qualcosa non va, che ogni giorno che passa viene compiuto un delitto “contro natura”, ma non ha punti di riferimento. Così critica un aspetto del caos ma ne accetta altri, contraddittoriamente, perché mancano i principi. Oppure, alla sincera ricerca di una “via d’uscita” dal materialismo soffocante finisce nelle grinfie di qualche ciarlatano.
Il fenomeno dell’inversione dei simboli è palese, smaccato nella cultura di massa e nell’industria dell’intrattenimento. Ma chi sa più distinguere ciò che è letteralmente “invertito”? Tutto procede secondo una ferrea logica dell’inversione (o degenerescenza), pertanto i loro libri, riletti oggi, fanno molto più effetto perché danno la misura della lungimiranza di Evola e Guénon.
Forse all’epoca predicavano nel deserto. Ma oggi è tutto molto più chiaro perché i sintomi sono manifesti ed eclatanti.
Una lezione comune
Evola e Guénon, al di là delle loro reciproche differenze, costituiscono un potente antidoto contro la “decadenza” (dell’individuo e della civiltà).
La loro prima lezione comune è la critica della modernità. Non si tratta di fare gli “antimoderni” per partito preso, per fare i bastiancontrario, ma di non “appartenere” interiormente al mondo moderno. Alle sue fisime e alle sue “sirene”. Si tratta di non farsi coinvolgere dagli stati d’animo che esso produce e sui quali prospera.
Stabilito questo, Evola e Guénon sostengono l’imperativo di darsi un “carattere” e di formarsi una “personalità”. Perché l’uomo così com’è, con le sue limitazioni e senza un “lavoro” interiore, una azione rettificatrice, non ha né l’uno né l’altra.
Evola e Guénon, coerentemente con gli insegnamenti tradizionali, invitano a recidere il legame con tutto ciò che è destinato a perire, per mantenere solo il nostro nucleo “incorruttibile”.
Essi pongono il problema della “realizzazione”. Fare esperienza dello Spirito, non parlarne o “saperne”. Dante Alighieri, universale in quanto italiano e ghibellino, è il loro punto di congiunzione. Essi, come Dante, non inducono ad accontentarsi di una religiosità “consolatoria”, ma forniscono le coordinate di una metafisica universale. Del mondo delle “cose così come sono”.
Evola e Guénon rappresentano uno “scandalo” perché pongono il problema della Verità, il grande incomodo del mondo moderno, relativista, indifferente per non dire ostile nei confronti della Verità.
Equivoci su Evola e Guénon
Evola e Guénon non sono affatto in contrasto (pur esistendo differenze e divergenze), bensì convivono in ognuno di noi. Sono due “nature”, contemplativa ed attiva, sacerdotale e guerriera, che coesistono negli uomini.
Chi scarta l’uno o l’altro dei due, ponendolo in cattiva luce, lo fa per non entrare in contraddizione con le proprie seppur rispettabilissime scelte personali (dalla “tradizione regolare/iniziazione” alla “religiosità indo-aria/paganesimo”). Ma si tratta di escamotage di bassa lega per darsi un “tono” e fornirsi degli alibi.
Evola ha sempre riconosciuto il suo “debito” verso Guénon, e Guénon ha sempre tributato attenzione ed apprezzamento all’opera di Evola. Quindi non hanno inscenato nemmeno la radice quadrata delle polemiche di cui sono stati capaci, gli “evoliani” e i “guénoniani”, ciascuno dal proprio punto di vista “esclusivista”.
Le loro opere, considerate nel loro complesso, differiscono anche per i temi trattati e soprattutto l’approccio ad essi: Guénon è impareggiabile per la dottrina (perché aveva evidentemente una “funzione” da svolgere), Evola lo è nel saper ricondurre questioni “ordinarie” a ciò che è loro sovraordinato, trovandovi il luogo naturale di “ricomposizione”.
I loro scritti non sono da considerare letture per soli giovani “entusiasti”. Certo, molti dopo le intemperanze giovanili mettono la testa a posto. Ma Evola e Guénon non sono fatti per gente che “s’inquadra” in questo sistema. Mi dispiace ma è così. Gente che fondamentalmente ci sta bene e dal quale ha ricevuto onori e prebende. Evola e Guénon non sono due “uomini d’ordine”, ma due anticonformisti… In fondo, i Profeti e i Santi, gli “uomini della tradizione” par excellence sono stati il massimo dell’anticonformismo…
Tradurre Evola e Guénon in “politica”?
Evola e Guénon sono da considerare due pensatori “di destra”? No! Il “passatismo” non è la “tradizione”! La Tradizione “vissuta” implica un atteggiamento verso la vita che non attinge pedissequamente a “forme” preesistenti storicamente determinate. Lo stesso Fascismo, cui molti lettori di Evola e Guénon guardano con una certa simpatia tributandogli un riconoscimento complessivamente positivo, ha presentato, dal punto di vista “tradizionale”, diversi aspetti poco “in ordine”, ed anzi debitori di alcune delle peggiori fisime moderne. Emerge dunque l’esigenza di separare il lascito di questi due pensatori da quel che è stata la “cultura della destra” (neofascista), ma anche da un “fascismo” ingessato in una supposta “ideologia”, per non parlare delle posizioni “reazionarie” di vari “evoliani” e “guénoniani”.
Paradossalmente, ciò dopo la fine del “neofascismo” missino e anche post-missino è più facile. Nel vuoto attuale, la gente finisce – e finirà – naturalmente attratta da Evola e Guénon, perché a disposizione in giro non c’è letteralmente altro! Il momento buono della “rivincita” di Evola e Guénon non fu dato dunque dallo “sdoganamento” dell’MSI, ma viene offerto ‘spontaneamente’ dalla dissoluzione a tappe forzate degli ultimi vent’anni, che ultimamente procede a ritmi parossistici.
Il pensiero tradizionale – soprattutto Evola – dà un senso “trascendente” alla geopolitica: abbiamo gli esempi di Americanismo e Bolscevismo, ma anche avvertimenti sulla china “discendente” già intrapresa dall’Oriente. La geopolitica dunque va riempita di contenuti, altrimenti rischia di trasformarsi in deterministiche dottrine geopolitiche nelle quali è assente il fattore “ideale”.
Evola e Guénon invitano anche ad interessarsi alla “storia occulta”. La storia va studiata nei suoi retroscena. Che cos’è la sedicente “storia delle masse”? La storia dei processi economico-sociali? Persino quella evenemenziale, che altro non è che la “superstizione del fatto” eretta a criterio d’indagine. La ricerca delle cause profonde e sottili degli accadimenti storici, in nome di un comodo pregiudizio “anti-complottista”, viene rigettata dall’accademia, ma il tempo è signore e sta mostrando che tutto il metodo dell’indagine storiografica dei moderni non porta assolutamente a nulla, semplicemente perché i fatti, di per sé, non dimostrano nulla!
“Rivolta contro il mondo moderno”, ma in nome di chi e di che cosa? Non basta agitarsi e rigettare tutto, specie gli “idoli”, anche se quella è la premessa necessaria. L’azione dev’essere finalizzata al non essere più agiti: agiti dall’ego! Per questo “l’uomo della tradizione”, più che nemico di qualche cosa di esterno da sé deve prendersi come nemico assoluto l’ego! Siamo così ricondotti a quel precetto islamico del jihâd an-nafs di cui anche Evola aveva conoscenza e che gli fece esprimere parole lusinghiere nei confronti dell’Islam.
Conclusione: Evola e Guénon contro il nichilismo moderno
Ciascuno deve chiarirsi se vuole “distrarsi”, illudersi con “curiosità”, “discussioni” o “problemi”. O se, piuttosto, avendo chiaro che deve risolvere la sua “equazione personale”, non sia il caso di prendere di petto la situazione puntando alla realizzazione dell’“individuo assoluto”.
L’autarchia. Il risveglio. La restaurazione dell’Unità primordiale.
È molto importante attivare in ciascuno di noi la disposizione alla “ricerca” (che non c’entra nulla col tanto osannato “dubbio” dei moderni). Il fatto che Evola compili delle opere e poi le riveda a distanza di anni gli fa onore. Così come il fatto che ad un certo punto abbandoni l’arte, poi la “filosofia”, poi forse addirittura “la tradizione”, se con essa s’intende una “scolastica”. In fondo egli ha voluto sempre salvaguardare la propria suprema libertà.
Anche l’arte astratta è ricerca dell’assoluto. Anche l’alpinismo. Si realizza se stessi trovando se stessi. Conosci te stesso. Man ‘arafa nafsa-hu qad ‘arafa rabba-hu (1).
Ed aggiungo, concludendo, che non dev’essere stato per caso che entrambi abbiano presentito l’approssimarsi della morte, segno di una salda presenza a se stessi appannaggio di Uomini dalla chiara visione e dal cuore sgombro da quella preoccupazione e quel panico che la malattia e l’idea della morte infondono nell’uomo ordinario immerso nelle sue illusioni, le quali, al momento della verità, lasciano il posto, coerentemente, come una beffa preparata per tempo, ad un nichilistico e disperato finale.
Nota redazionale
(1) Si tratta di un hadīth della tradizione islamica, che significa appunto: «Colui che conosce se stesso conosce il suo Signore» (Man arafa nafsahu faqad arafa Rabbahu). E’ citato, tra l’altro, da René Guénon in una nota del capitolo XXXII (“I limiti del mentale”) della sua opera “Considerazioni sull’iniziazione”.
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