Lo scorso 12 Maggio si è svolto a Brescia il convegno dal titolo “Julius Evola, René Guénon. Incontro o scontro?”, organizzato dal Centro Studi Internazionale Dimore della Sapienza. L’evento, cui RigenerAzione Evola ha ufficialmente aderito e partecipato, ha visto la partecipazione di relatori di alto livello quali Claudio Mutti (Eurasia), Enzo Iurato (Heliodromos), Paolo Rada (rappresentante del Centro Studi “Dimore della Sapienza”), ed Enrico Galoppini (scrittore). Continuiamo la pubblicazione dei testi integrali degli interventi dei suddetti relatori, lasciando oggi la parola a Paolo Rada, che ha trattato dei principali punti di divergenza tra Evola e Guénon.
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di Paolo Rada
Evola e Guénon possono essere considerati i due massimi esponenti di quella corrente di pensiero che si definisce tradizionalista o perennialista. Essa ebbe, oltre ai due sopracitati autori, quali principali esponenti F. Schuon, M. Valsan , T. Burckhardt, M. Lings.
Visione comune a tutti questi autori è il concetto di tradizione e di civiltà tradizionale che viene opposta in modo ontologico e metafisico alla civiltà moderna. Non si ha l’idea di un relativismo di civiltà, ma l’idea di un dualismo di civiltà. Da un lato civiltà poggianti sull’essere, dall’altro civiltà poggianti sull’avere. Da un lato civiltà poggianti sull’immutabilità dei principi, dall’altro civiltà poggianti sul divenire delle opinioni. Da un lato la tradizione, dall’altro l’antitradizione. Da un lato un’idea religiosa e spirituale della vita, dall’altro una visione laica e laicista del divenire e del mondo. Evola e Guénon dunque non sono da porre tra quei pensatori e tra quegli autori che hanno compiuto una critica sterile o riguardante solamente determinati aspetti o effetti del mondo moderno, ma si stagliano come luci nel buio per chiunque voglia andare alle cause delle degenerazione e della negazione dell’umano e del divino tipici della modernità. In una parola la degenerazione del mondo moderno nasce nel momento in cui l’uomo ha perso il contatto con il divino, ha perso il contatto con il sacro. Solamente un ritorno al sacro, alla tradizione intesa non solamente come una semplice superfetazione ideale, ma come un ritorno implicante l’accesso alla tradizione stessa, conformando dunque la propria esistenza ad una forma tradizionale potrebbe far sì che l’uomo moderno possa fuoriuscire dalla tenebre del laicismo e del materialismo. E’ inutile avere programmi, proporre la costituzione di micropartiti, associazioni, ecc. se, in primis et ante omnia, non si ha una metanoia in sé stessi, se non si accede al sacro, se non si vive per Dio e in Dio, se non ci si abbevera alla fonte perenne della tradizione.
In Evola e Guénon abbiamo i due massimi autori di quella corrente di pensiero che viene definita tradizionalista. Due autori che vanno intesi, letti, studiati e capiti come due autori complementari, e non contrapposti. Diciamo questo perché molto spesso i letteralisti dell’una o dell’altra parte hanno voluto contrapporli tra loro o enfatizzare determinate differenze inerenti alla tradizione che, non possiamo negarlo, tra i due ci furono. Stante questa premessa, doverosa e necessaria, vogliamo ora parlare dei punti di disaccordo che vi furono tra questi due giganti.
Potremmo, nel sintetizzare quanto andremo esponendo, dire che i punti che videro contrapposti Evola e Guénon furono dettati dalle loro differenti equazioni personali: da un lato abbiamo un guerriero, uno kshatriya, un uomo dell’azione: Evola; dall’altro abbiamo la figura di un metafisico, di un bramino, di un uomo della contemplazione: Guénon. La tradizione è il perno di questi due autori, ma declinata da due punti di vista differenti: dal punto di vista dell’azione e dal punto di vista della contemplazione.
Al di là di determinati aspetti secondari i punti di disaccordo tra questi due maestri li possiamo così elencare.
Il collegamento iniziatico e come si può pervenire al sacro nel mondo moderno.
Una diversa valutazione dell’efficacia del rito, della sua perenne validità.
Una differente valutazione del cristianesimo e della massoneria.
Una diversa interpretazione della dottrina delle caste.
Questi sono, secondo chi scrive, i principali punti di disaccordo tra questi due autori.
Vediamo se è possibile, in modo sommario, esplicitarli e dipanarli.
Sia per Evola che per Guénon, l’iniziazione ha lo scopo o di far pervenire l’uomo alla condizione dell’umanità primordiale (piccoli misteri) o addirittura di far sì che l’uomo trascendendo sé stesso divenga simile a Dio, sia un liberato, abbia realizzato in sé l’identità suprema o la realizzazione metafisica. Su come pervenire all’iniziazione nel mondo moderno, però abbiamo tra i due delle divergenze.
In breve, secondo Guénon per pervenire all’iniziazione è necessario innanzitutto aderire, entrare, convertirsi ad una forma tradizionale essoterica e poi, se si sarà qualificati, entrare in una organizzazione iniziatica e da lì, attraverso l’iniziazione, che all’inizio è solamente virtuale, passare con il lavoro iniziatico alla realizzazione dei piccoli o dei grandi misteri, passando dunque dall’iniziazione virtuale a quella effettiva. Naturalmente il fine dell’iniziazione è un fine verticale, passare da una condizione esistenziale, da uno stato dell’essere a stati sovraindividuali. Abbiamo dunque una origine non umana dell’iniziazione: Guénon, il quale fu un iniziato al sufismo islamico, probabilmente aveva in mente le turuq (1) sufi dell’Islam sunnita: in esse abbiamo una catena di maestri, umani, i quali garantiscono, ricevendo il segreto, i riti e il deposito iniziatico dal maestro precedente, il collegamento iniziatico il quale, è importantissimo sottolinearlo, viene fatto risalire ab origine direttamente al Profeta dell’Islam che avrebbe iniziato, su mandato divino, i fondatori delle varie turuq. In sintesi questa è quella che Guénon chiama regolarità iniziatica. E’ un collegamento di tipo orizzontale: stante, ab initio, una origine non umana poi abbiamo la trasmissione iniziatica da mastre a maestro.
Evola affermerà che avendo l’iniziazione un fine verticale, e non orizzontale, essa può essere conseguita entrando direttamente in contatto, tramite visioni, sogni ecc. con la divinità stessa e non per il tramite di un maestro e di una catena orizzontale. Evola a suffragio di ciò citerà il buddismo delle origini, determinate correnti islamiche (Evola sembra confondere lo sciismo duodecimano con l’ismaelismo e la figura del Khidr con quella dell’Imam Mahdi) e l’illuminazione tipica dello zen. Interessante notare come questo tipo di iniziazione verticale, senza il tramite di un maestro, è l’iniziazione presente all’interno dell’Islam sciita, magistralmente descritta dall’autore francese Henry Corbin, la quale si attua attraverso il collegamento verticale e diretto del fedele con l’imam occulto, l’Imam Madhi, che secondo la scuola sciita è il qtub, il polo iniziatico di quest’epoca.
Evola, oltre che poggiare la sua visione di come pervenire all’iniziazione da queste premesse dottrinali, aveva, probabilmente, anche in mente il fatto della degenerazione di molte organizzazioni iniziatiche: il barone romano si chiedeva giustamente se dette organizzazioni potessero ancora trasmettere l’iniziazione.
Il problema inerente all’iniziazione ci permette di introdurre il secondo e il terzo punto di disaccordo che vogliamo affrontare: la validità del rito e la differente interpretazione dei due rispetto sia alla massoneria che al cristianesimo.
Sia per Guénon che per Evola il rito, sia esso iniziatico o religioso, individuale o sociale, non ha nulla di umano, non è una invenzione dell’uomo, e sebbene assuma una forma nel nostro livello di esistenza ha una origine informale sacra e metafisica.

Uno dei riti più seguiti al mondo: il mondiale di calcio è una vera e propria macchina per fare cassa sfruttando la società inebetita.
La parola rito deriva dalla radice indoeuropea rt che significa mettere in ordine, ricondurre all’ordine: il rito ha lo scopo di ordinare lo spazio e il tempo del nostro livello d’esistenza sacralizzandoli, ha lo scopo dunque di attrarre influenze spirituali nel nostro mondo, ha lo scopo di sacralizzare ogni aspetto della vita dell’uomo. Non esistono, se si compie il rito, uno spazio profano e un tempo profano. Il rito rende tutto sacro: Evola imputerà al mondo moderno e più in generale a tutte le civiltà decadute quale causa, forse principale, della decadenza il non compiere più il rito. Non compiendo il rito e, aggiungiamo noi, non compiendo la preghiera, è come se l’uomo non volesse attrarre su di sé, non volesse aprire le porte del nostro mondo al sacro. Anzi l’uomo moderno, attraverso i riti sociali laici (dallo sport, ai grandi raduni musicali, all’industria del divertimento, ecc.), o attraverso veri e propri riti controiniziatici, ha spalancato le porte di questo mondo agli influssi provenienti dal basso, a quelle che Guénon definiva le fenditure nella grande muraglia.
Secondo Guénon il rito, sia esso iniziatico o religioso, se compiuto in modo corretto e da una persona che sia qualificata a ciò, è sempre valido. Non importa se la persona compiente il rito capisca cosa stia facendo, se sia consapevole di ciò che sta compiendo o abbia un altro fine e se l’organizzazione di cui fa parte sia talmente degenerata da divenire strumento di forze controinziatiche o antitradizionali. Il rito iniziatico sarà solo di tipo virtuale, ma sarà comunque valido, in quanto esso per Guénon è imperituro e duraturo. Guénon sulla base di queste affermazioni arriverà a dire che le uniche due organizzazioni iniziatiche in Occidente presenti, e che dunque possono ancora conferire l’iniziazione, sono la massoneria e il compagnonaggio.
Evola contesterà radicalmente questa posizione affermando da un lato che se una persona fosse anche qualificata e la catena iniziatica regolare ma non comprenda nulla di ciò che sta facendo, il rito non è valido e, dall’altro, che il rito può, anche se compiuto da persona qualificata ed in modo regolare ma usato per fini opposti, produrre non un innalzamento, un trascendimento ascendente, ma un trascendimento discendente. E’ il caso dirà Evola della massoneria. Ammesso e non concesso che i riti iniziatici massonici siano rimasti tali e quali come erano in origine (Evola non negherà l’ origine tradizionale e iniziatica della massoneria) e che il collegamento, la catena iniziatica da maestro a maestro sia regolare, i riti massonici oggi non hanno nulla di iniziatico ma, anzi, essi sono divenuti strumenti onde far sì che l’iniziato ad essi non trascenda sé stesso, non vada verso il divino, ma apra le porte della sua personalità ad influenze di ben altro tipo. Questo secondo Evola sarà il caso non solo della massoneria, ma della maggior parte delle organizzazioni iniziatiche presenti nell’attualità.
Abbiamo visto come la differente interpretazione della validità imperitura del rito abbia anche come conseguenza una diversa interpretazione della massoneria nel mondo moderno, del suo attuale ruolo di organizzazione controiniziatica e non più iniziatica.
Anche riguardo al cristianesimo e al suo ruolo storico Evola e Guénon avranno tra loro divergenze. Per Guénon il cristianesimo da organizzazione esoterico iniziatica (interna all’ebraismo?) si trasformò in forma religiosa vista la situazione di estremo degrado cultuale e morale che presentava l’impero romano in quel tempo. La funzione del cristianesimo fu per il metafisico francese provvidenziale. Guénon affermerà, infatti, che tutte le degenerazioni morali, etiche, spirituali ecc. a cui assistiamo noi oggi, vi erano in potenza, ma anche in atto all’interno del mondo classico. Guénon a riguardo parlerà di pregiudizio classico. Non è casuale, dirà Guénon, che i riti essoterici religiosi del cristianesimo ricalchino riti iniziatici. Questo perché, come dicevamo, il cristianesimo da organizzazione iniziatica si trasformò in una forma religiosa. In effetti il cristianesimo non ha una legge sacra, non ha proibizioni alimentari, elementi fondanti delle forme religiose, ed ha una morale che sembra veramente riservata ad una élite di iniziati e non per tutti i credenti. Il precetto morale di porgere l’altra guancia se applicato all’intera società farebbe sì che il più forte azzannerebbe il più debole, ma esso, invece, è un precetto valido per coloro i quali hanno raggiunto l’iniziazione, hanno raggiunto la liberazione.
Per Evola, invece il cristianesimo, fu una tipica espressione di quella che verrà definita spiritualità lunare, teistico-religiosa, luce del sud in opposizione alla spiritualità olimpica e solare (la luce del nord) di cui Roma sarebbe stata l’ultima espressione nei tempi storici. Il cristianesimo non ebbe dunque una funzione provvidenziale, ma invece distruttiva. Nel cristianesimo Evola vide la rivolta degli schiavi, della plebe contro la gerarchia e l’elemento patrizio e aristocratico. Evola parlerà a riguardo del cristianesimo di “socialismo avant la lettre”… Evola distinguerà però cristianesimo e cattolicesimo affermando che il cristianesimo inglobando in sé nel medioevo, a livello razziale, l’elemento franco germanico più, a livello ideale e sacrale, il concetto di Imperium mutuato dalla romanità, si arianizzò facendo sì che gli elementi propriamente antitradizionali presenti in esso venissero in qualche modo annullati. Evola però affermerà che il cristianesimo non fu mai iniziatico e che se certi riti cristiani ricalcano effettivamente riti iniziatici fu a causa del fatto che il cristianesimo li prese in prestito dalle religioni di salvezza, dall’orfismo, da vari culti misterici, da varie correnti religiose pelasgico-semitiche che pullulavano nel bacino del mediterraneo. In ogni caso Evola, all’indomani del Concilio Vaticano II, affermerà che il cattolicesimo stava ritornando ad essere quello che era alle origini.
L’ultimo punto che vogliamo affrontare è relativo alla diversa interpretazione delle dottrina delle caste in questi due autori.
Sia per Evola che per Guénon all’origine, nell’età dell’oro, vi era una umanità indifferenziata la quale assumeva su di sé i compiti iniziatico, spirituale in senso lato e politico-amministrativo. Solamente una volta venuta meno questa perfezione originaria avremo la divisione dell’umanità in caste. Esse non sono altro che la giusta gerarchia funzionale che dovrebbe esistere in ogni società. Per meglio dire, la dottrina delle caste non fa altro che proiettare nella società le diverse attitudini e qualificazioni che vi sono all’interno di ogni persona secondo una giusta gerarchia funzionale. La prima casta, che potremmo assimilare alla parte intellettiva nell’uomo, si occupa degli aspetti iniziatici e spirituali: essa ha il compito di compiere i riti iniziatici e religiosi; la seconda casta, che potremmo assimilare alla parte volontaristica, alla volontà che è presente nell’uomo, si occupa degli aspetti politico-militari; la terza casta, che potremmo assimilare alla parte prettamente materiale, corporale che vi è nell’uomo, è composta dagli artigiani, dai produttori; la quarta casta, che potremmo assimilare alla parte prettamente vegetativa che vi è nell’uomo, è composta dai servi, dai braccianti, da coloro i quali devono essere guidati da altri onde svolgere il proprio ruolo nella società. Naturalmente vi sono i fuori casta, coloro i quali sono sopra le caste in quanto iniziati e che sono pervenuti alla realizzazione metafisica e dunque hanno trasceso la loro condizione umana, e i paria i quali sono al di sotto delle caste: sono coloro i quali non accettano la loro funzione sociale o non sono in grado, per malformazioni congenite psichiche, fisiche o mentali, di svolgere nessuna funzione nella società.
Questo schema della dottrina del caste è accettato sia da Guénon che da Evola.
Il punto dove i nostri due maestri divergono è inerente al fatto su chi debba compiere il rito e, dunque, da chi sia composta la prima casta. Per Guénon la prima casta è composta dai sacerdoti, mentre per Evola da quelli che lui definirà Re Divini. Secondo Evola la casta sacerdotale è tipica espressione della spiritualità lunare, la quale è sì tradizionale, ma solamente ombra, riflesso della tradizione primordiale olimpica e solare e che, inoltre, essa comparirà solamente in un secondo tempo, nell’età dell’argento. Essa, dirà Evola, è tipica dell’elemento atlantideo.
Queste differenti prese di posizione, come detto all’inizio, non devono far sì che siano viste come punti di scontro irriducibili, come vorrebbero i letteralisti dell’una o dell’altra parte. Evola e Guénon secondo chi scrive, devono essere visti, invece, come due autori complementari, i quali hanno testimoniato la tradizione da un prospettiva diversa: Evola ha testimoniato la tradizione seconda la propria equazione personale di uomo d’azione, di guerriero, mentre Guénon ha declinato la tradizione secondo la prospettiva e lo sguardo di un uomo della contemplazione, di un bramino.
Evola affermerà nel Cammino del Cinabro che Guénon è “un maestro senza pari della nostra epoca”, mentre il metafisico francese recensendo la principale opera di Evola Rivolta contro il mondo moderno scriverà, dopo aver messo in luce i punti di disaccordo con il barone romano, così: “Questo non ci impedisce di riconoscere come è giusto, il merito e l’interesse dell’opera nel suo insieme, e di segnalarla in modo particolare all’attenzione di tutti coloro che si preoccupano della «crisi del modo moderno», e che pensano come noi che il solo modo efficace di rimediarvi consisterebbe in un ritorno allo spirito tradizionale, fuori dal quale niente di veramente «costruttivo» potrebbe essere intrapreso validamente”.
Nota redazionale
(1) In arabo il termine turuq esprime il plurale di tariqa, vocabolo che, com’è noto, nella tradizione islamica indica la confraternita sufi.
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