Che cosa significa essere di Destra

Dopo aver pubblicato qualche giorno fa l’articolo di Evola Essere di destra, proponiamo oggi ai nostri lettori, a seguire, alcune osservazioni elaborate in materia da Adriano Romualdi – che può considerarsi l’unico vero “discepolo”, se ci è consentito usare quest’espressione, che Evola abbia realmente avuto – che vanno ad integrare questa panoramica su cosa debba intendersi per “Destra” in senso tradizionale.

I brani proposti sono tratti dal saggio Idee per una cultura di Destra, inserito, insieme a La destra e la crisi del nazionalismo, nel volume unico Una cultura per l’Europa, edizioni Settimo Sigillo, 2013.

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di Adriano Romualdi

(…) Che cosa dovrebbe propriamente significare «esser di Destra»?

1) Esser di Destra significa, in primo luogo, riconoscere il carattere sovvertitore dei movimenti scaturiti dalla rivoluzione francese, siano essi il liberalismo, o la democrazia o il socialismo.

2) Esser di Destra significa, in secondo luogo, vedere la natura decadente dei miti razionalistici, progressistici, materialistici che preparano l’avvento della civiltà plebea, il regno della quantità, la tirannia delle masse anonime e mostruose.

3) Esser di Destra significa in terzo luogo concepire lo Stato come una totalità organica dove i valori politici predominano sulle strutture economiche e dove il detto «a ciascuno il suo» non significa uguaglianza, ma equa disuguaglianza qualitativa.

4) Infine, esser di Destra significa accettare come propria quella spiritualità aristocratica, religiosa e guerriera che ha improntato di sé la civiltà europea, e — in nome di questa spiritualità e dei suoi valori — accettare la lotta contro la decadenza dell’Europa.

È interessante vedere in che misura questa coscienza di destra sia affiorata nel pensiero europeo contemporaneo. Esiste una tradizione antidemocratica che corre per tutto il secolo XIX e che — nelle formulazioni del primo decennio del XX — prepara da vicino il fascismo. La si può far cominciare con le Reflections on the revolution in France in cui Burke, per primo, smascherava la tragica farsa giacobina e ammoniva che «nessun paese può sopravvivere a lungo senza un corpo aristocratico d’una specie o d’un’altra».

Novalis

Novalis, pseudonimo di Georg Friedrich Philipp Freiherr von Hardenberg (1772 – 1801)

In seguito, questa pubblicistica cercò di sostenere la Restaurazione con gli scritti dei romantici tedeschi e dei reazionari francesi. Si pensi agli aforismi di Novalis, col loro reazionarismo scintillante di novità e di rivoluzione («Burke hat ein revolutionäres Buch gegen die Revolution geschrieben») [1], alle suggestive e profetiche anticipazioni: «Ein grosses Fehler unserer Staaten ist, dass man den Staat zu wenig sieht… Liessen sich nicht Abzeichen und Uniformen durchaus einführen?» [2]. Si pensi ad un Adam Müller, alla sua polemica contro l’atomismo liberale di Adam Smith, la contrapposizione di una economia nazionale all’economia liberale. Ad un Gentz, consigliere di Metternich e segretario del Congresso di Vienna, ad un Gorres, a un Baader, allo stesso Schelling. Accanto a loro sta un Federico Schlegel con i suoi molteplici interessi, la rivista Europa, manifesto del reazionarismo europeo, l’esaltazione del Medioevo, i primi studi sulle origini indoeuropee, la polemica coi liberali italiani sul patriottismo di Dante, patriota dell’«Impero» e non piccolo-nazionalista.

Si pensi a un De Maistre, questo maestro della controrivoluzione che esaltava il boia come simbolo dell’ordine virile e positivo, al visconte De Bonald, a Chateaubriand, grande scrittore e politico reazionario, al radicalismo di un Donoso Cortes: «Vedo giungere il tempo delle negazioni assolute e delle affermazioni sovrane». Peraltro, la critica puramente reazionaria aveva dei limiti ben evidenti nella chiusura a quelle forze nazionali e borghesi che ambivano a fondare una nuova solidarietà di là dalle negazioni illuministiche. Arndt, Jahn, Fichte, ma anche l’Hegel de La filosofia del diritto appartengono all’orizzonte controrivoluzionario per la concezione nazional-solidaristica dello Stato, anche se non ne condividono il dogmatismo legittimistico. La chiusura alle forze nazionali (anche là dove, come in Germania, si trovano su posizioni antiliberali) è il limite della politica della Santa Alleanza. Crollato il sistema di Metternich, per la miopìa della concezione di fondo (combattere la rivoluzione con la polizia, e restaurando una legalità settecentesca) la controrivoluzione si divide in due rami: l’uno si attarda su posizioni meramente legittimistiche, confessionali, destinate ad esser travolte, l’altro cerca nuove vie e una nuova logica.

Carlyle polemizza contro lo spirito dei tempi, l’utilitarismo manchesteriano («non è che la città di Manchester sia divenuta più ricca, è che sono diventati più ricchi alcuni degli individui meno simpatici della città di Manchester»), l’umanitarismo di Giuseppe Mazzini («cosa sono tutte queste sciocchezze color di rosa?»). Egli cerca negli Eroi la chiave della storia e vede nella democrazia un’eclissi temporanea dello spirito eroico.

Gobineau pubblica nel 1853 il memorabile Essai sur l’inegalité des races humaìnes fondando l’idea di aristocrazia sui suoi fondamenti razziali. L’opera di Gobineau troverà una continuazione negli scritti dei tedeschi Clauss, Günther, Rosenberg, del francese Vacher de Lapouge, dell’inglese H. S. Chamberlain. Attraverso di essa il concetto di «stirpe», fondamentale per il nazionalismo, viene strappato all’arbitrarietà dei diversi miti nazionali e ricondotto all’ideale nordico-indoeuropeo come misura oggettiva dell’ideale europeo.

Nietzsche

Friedrich Nietzsche

Alla fine del secolo, la punta avanzata della Destra è nella polemica di Federico Nietzsche contro la civilizzazione democratica. Nietzsche, ancor più di Carlyle e Gobineau, è il creatore di una Destra modernamente «fascista», cui ha donato un linguaggio scintillante di negazioni rivoluzionarie. Nietzschiano è lo scherno dell’avversario, la prontezza dell’attacco, la rivoluzionaria temerità («was fällt, das soll man auch [noch] stossen»). La parola di Nietzsche sarà raccolta in Italia da Mussolini e d’Annunzio, in Germania da Jünger e Spengler, in Spagna da Ortega y Gasset.

Intanto, anche all’interno del nazionalismo si è operato un «cambiamento di segno». Già nelle formulazioni dei romantici tedeschi la nazione non era più la massa disarticolata, la giacobina nation, ma la società standisch, coi suoi corpi sociali, le sue tradizioni, la sua nobiltà. Una società — insegnava Federico Schlegel — è tanto più nazionale quanto più legata ai suoi costumi, al suo sangue, alle sue classi dirigenti, che ne rappresentano la continuità nella storia.

Alla fine del secolo, una rielaborazione del nazionalismo nello spirito del conservatorismo è compiuta. Maurras e Barrés in Francia, Oriani e Corradini in Italia, i pangermanisti e il «movimento giovanile» in Germania, Kipling e Rhodes in Inghilterra, han conferito all’idea nazionale una impronta tradizionalistica e autoritaria. Il nuovo nazionalismo è essenzialmente un elemento dell’ordine.

Note

[1] “Burke ha scritto un libro rivoluzionario contro la Rivoluzione” (N.d.R.)

[2] “Un grosso errore dei nostri Stati è che si vede troppo poco Stato … non si potrebbero dunque importare distintivi ed uniformi?”  (N.d.R.)



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"In una civiltà tradizionale è quasi inconcepibile che un uomo pretenda di rivendicare la proprietà di una idea e, in ogni caso, in essa chi così facesse, con ciò stesso si priverebbe di ogni credito e di ogni autorità, poiché condannerebbe l’idea a non esser più che una specie di fantasia senza alcuna reale portata. Se una idea è vera, essa appartiene in egual modo a tutti coloro che sono capaci di comprenderla; se è falsa, non c’è da gloriarsi di averla inventata. Una idea vera non può essere «nuova», poiché la verità non è un prodotto dello spirito umano, essa esiste indipendentemente da noi, e noi abbiamo solo da conoscerla. Fuor da tale conoscenza, non può esservi che l’errore" (R. Guénon)

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