Cristianità “ascetica”: l’esicasmo (seconda parte)

Come promesso, con l’ennesimo piccolo scoop di RigenerAzione Evola, a partire da oggi proponiamo in due parti alcuni passaggi tratti dal volumetto L’Esicasmo Yoga cristiano – i centri “sottili” dell’essere umano e la Preghiera “segreta” nella tradizione del Monte Athos, saggio opera dello Ieromonaco (cioè, nelle Chiese ortodosse, il monaco che è stato ordinato sacerdote) Anthony Bloom, contenuto nel simposio Lo Yoga, scienza dell’uomo integrale, pubblicato nel 1955 dall’editore Giuseppe Rocco di Napoli. Il libro era stato recensito da Julius Evola sul “Roma”, quello stesso anno, come abbiamo visto di recente. L’occasione ci è parsa propizia per presentare qualche stralcio di indubbio interesse da quel libro di difficile reperibilità. Cominciamo con l’introduzione ed un paragrafo sull’ascesi di mortificazione.

Molto ci sarebbe da dire sui contenuti, ma ci dilungheremmo troppo. Balza agli occhi del lettore attento e con una minima infarinatura tradizionale, come il linguaggio e le tematiche di un monaco-sacerdote di scuola cristiana ortodossa riflettano chiaramente contenuti metafisici. Colpisce subito l’affermazione della tripartizione dell’ “uomo totale” in corpo, anima (psyché) e spirito (pneuma) quale presupposto fondamentale da reintegrare; sappiamo, infatti, come tale tripartizione si sia gradualmente persa nell’ambito cristiano occidentale (con l’ufficializzazione nel IV Concilio di Costantinopoli dell’870, che fu, peraltro, accettato solo dalla Chiesa di Roma e non da quelle orientali).

Sono poi sicuramente da notare: la menzione delle due componenti animiche nephesh e rouah (al di là dell’esatta traslitterazione dei caratteri e del fatto che, letteralmente, per esse, l’autore parli di “spirito dell’uomo” e “spirito di Dio”); la distinzione tra carne e corpo e la necessità di mortificare la prima, per riconquistare il secondo (“la lotta contro la carne è dunque la lotta per la revivescenza del corpo, e il termine di mortificazione vi acquista il suo vero valore: ciò che deve essere ucciso, è la passione, la dipendenza”); il discorso su caos, “nullità”, essere e non-essere, pienezza dell’increato, ecc., che sarebbe interessante mettere in parallelo con gli insegnamenti di Guénon, con cui si ravviserebbero interessanti analogie ed accostamenti sul piano concettuale, pur nella diversità delle espressioni lessicali (si pensi all’espressione “nulla assoluto”, inconcepibile per Guénon, usata in senso figurato dal monaco Bloom per descrivere la “pienezza dell’increato” anteriore alla creazione, un’idea in qualche modo assimilabile, nel lessico metafisico guénoniano, all’insieme delle possibilità di non manifestazione e delle possibilità di manifestazione in quanto si trovino allo stato non manifestato, tutte nell’ambito del non-essere), e tanto altro ancora. Buona lettura.

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dello Ieromonaco Anthony Bloom

Tratto da L’Esicasmo Yoga cristiano – i centri “sottili” dell’essere umano e la Preghiera “segreta” nella tradizione del Monte Athos, Napoli, 1955

Introduzione

Nella misura in cui si può definire lo Yoga come una “tecnica spiritualizzante”, è legittimo parlare di uno “Yoga cristiano”. Lo scopo del presente studio è di farne conoscere le tecniche somato-psichiche e di spiegare il significato ed il valore che ad esse attribuiscono gli ortodossi che le mettono in opera.

Per facilitare l’esposizione del soggetto si possono distinguere tre gruppi principali di esercizi ascetici:

I primi non mirano che al corpo e influenzano l’anima (psychè) e lo spirito (pneuma) solo indirettamente, nella misura in cui l’uomo “totale” se ne trova modificato; sono gli esercizii detti di “mortificazione”: il digiuno, la veglia, il lavoro massacrante, la castità, ecc.

I secondi piegano il corpo a certe esigenze che hanno ripercussioni dirette sulla vita psichica e indirette sulla vita spirituale – essi sono appena conosciuti in Occidente, e formeranno la parte essenziale di questo articolo.

Gli ultimi sono esercizii ascetici che mettono in opera le potenze psichiche dell’uomo e hanno ripercussioni corporee: sono essenzialmente la meditazione e certe forme di preghiera che escono dal quadro del nostro soggetto.

Ascesi di mortificazione

L’uomo è stato creato dal nulla; ecco la prima verità dinnanzi alla quale ci pone la Rivoluzione biblica: egli non ha alcun fondamento ontologico né in sé né in Dio: nulla ha preceduto l’esistenza del Cosmo di cui l’uomo fa parte integrante; ed alcun legame genetico collega l’uomo al suo Creatore. Il “Caos” di cui parlava il pensiero antico non era che un nulla relativo, quello della nullità, per così dire, non proprio quello del “non-essere”. Il libro della Genesi, nel suo secondo versetto, ci parla infatti di un “essere” informe e confuso: “La terra era informe e vuota; vi erano tenebre alla superficie”. (“Ora la terra era flutto e caos; e tenebra sulla faccia dell’abisso”, secondo la traduzione di Edmondo Fleg), poiché, per l’antichità, soltanto l’essere ordinato aveva una esistenza. Il nulla vero, assoluto, quello che precede la creazione della prima creatura, oltrepassa la possibilità del pensiero naturale, in quanto non è una assenza, o un vuoto, oppure un essere assottigliato fino all’impercettibilità: è invece la Presenza per eccellenza dell’Unico, del Solo Reale, Trascendente e Sconosciuto fino al momento in cui voglia rivelarSi; il caos è una non-pienezza del creato; ciò che precede l’apparizione della creatura è la pienezza dell’Increato, che Dio solo conosce e rivela. Non vi è alcuna comune misura, non vi è alcuna filiazione naturale fra Dio e l’uomo il cui solo punto di appoggio è la Volontà divina, che, accettata, gli apre l’accesso alla vita – che è partecipazione alla Vita di Dio. Ed è all’uomo intero che questa vita è offerta: corpo anima e spirito, egli è chiamato a conoscere Dio, a comunicare con la vita divina. È infatti l’uomo totale che è ad immagine di Dio.

Per raggiungere il suo fine ultimo, l’essere creato deve dunque aprirsi a Dio, oltrepassare la sua propria limitazione ed espandersi nella misura dell’Increato; ma, oltre questo compito ontologico, un altro compito gli incombe dalla caduta: divenuto un sotto-uomo, deve ridiventare ciò che era all’origine, prima di poter compiere la sua vocazione e rispondere pienamente all’appello del suo Dio.

L’armonia della natura umana comporta una gerarchia delle sue parti costitutive: il corpo deve essere sottomesso all’anima (psychè) e quest’ultima allo spirito (pneuma); quanto allo spirito dell’uomo (nephesh), esso comunica col Soffio, lo Spirito di Dio nell’uomo (rouah), potenza di vita e sorgente della sua immortalità. Finché questa gerarchia non è distrutta, l’uomo resta “conforme” a Dio, suo “simile”: è capace di ricevere Dio e di manifestarLo.

Ma l’uomo è creato “sovrano”: può determinare il suo destino; la sua contingenza stessa assicura la sua indipendenza: nessuna necessità interna ha costretto Dio a chiamarlo all’esistenza; inutile alla pienezza dell’essere divino, l’uomo è posto di fronte al suo Creatore. Se vien meno a Lui, se da Lui si distoglie, l’uomo impegna la integrità della sua natura e la metter in pericolo: può cessare di essere simile a Dio oppure unirsi a Lui. Nel primo caso, al compito ontologico di superamento del creato, si aggiungerà, per chiunque voglia realizzare la propria vocazione, un compito nuovo: ritrovare l’armonia perduta.

Non è né possibile né desiderabile nei limiti di questo articolo, precisare tutti i termini della caduta; ma per il punto che ci occupa, è interessante osservare che essa è stata nello stesso tempo improvvisa e progressiva: “E la morte si impiantò a poco a poco”, dice il Libro della Genesi; d’altra parte, la caduta è stata improvvisa in questo senso che un cambiamento profondo e radicale si è prodotto fin da quel primo momento che si può definire col termine di “frammentazione”: Dio e l’uomo si sono trovati ad essere staccato l’uno dall’altro; lo Spirito di Dio nell’uomo (rouah) è divenuto non solamente differente, ma estraneo allo spirito dell’uomo (nephesh); non è più la sorgente di vita, e l’uomo restato solo, non ha potuto far altro che morire; la triplice armonia gerarchica del corpo, dell’anima e dello spirito si è trovata spezzata fin dal momento in cui l’uomo non è stato più il canale per il quale la vita si diffondeva nell’anima e vivificava il corpo; e, separato dalla sorgente divina di Vita eterna, l’uomo ha dovuto cercare un appoggio per la sua esistenza nell’ordine naturale. Leggiamo al secondo capitolo della Genesi (versetto 16): “Mangia pur d’ogni albero del giardino”; ma dopo la caduta: “la terra sarà maledetta per cagion tua: tu mangerai del frutto di essa con affanno tutti i giorni della tua vita… e tu mangerai l’erba dei campi”.

Creazione di Adamo – Cattedrale di Monreale, XIII sec.

Invece di comunicare con la vita di Dio, Adamo deve partecipare alla vita del mondo materiale e per questo fatto integrarvisi fino al giorno in cui la terra riprenderà ciò che le appartiene: “…fino al ritorno della terra donde sei stato preso: poiché polvere sei ed alla polvere ritornerai”.

Ma ciò non è che la prima tappa di questa integrazione dell’uomo al mondo materiale da cui avrebbe dovuto sganciarsi o meglio nel quale avrebbe dovuto integrare lo Spirito divino: “Lo Spirito mio non contenderà in perpetuo con gli uomini; perciocchè anche non sono altro che carne…” (Genesi, VI, 3). Una volta separato da Dio, l’uomo scivola sulla china dove lo spinge lo spirito del male di cui si è fatto schiavo: “l’Eterno vide che la malvagità degli uomini era grande e che tutti i pensieri del loro cuore si volgevano ogni giorno unicamente verso il male” (Genesi, VI, 5), e il diluvio sopravvenne; e quando restarono soli sopravviventi coloro che il male non aveva corrotto, ma che tuttavia hanno ereditato la fragilità progressiva dei loro parenti, il Signore “disse a Noè ed ai suoi figli: …voi sarete un soggetto di timore e di spavento per ogni animale sulla terra e per tutti i pesci del mare: essi sono dati nelle vostre mani; tutto ciò che si muove e che ha vita vi servirà da nutrimento; vi do tutto ciò come l’erba verde”.

Questo diritto di mangiare tutto “ciò che si muove e che ha vita” appare dunque come la crudele espiazione di una crescente decadenza, non come una dignità conferita all’uomo: incapace di vivere della Grazia di Dio, senza vita intrinseca, l’uomo dipende ormai completamente dal mondo creato, dalla materia nella quale egli si ingaggia sempre più; ne ricava la vita e la morte, una vita precaria e momentanea il cui termine è il ritorno alla polvere.

Ritornare alla vita vorrà dunque dire fra le altre cose rompere col dominio della materia, ritornare “autonomo”. “Ahimè! Ho reso la mia carne vivace!”, proclama un inno ortodosso; l’opposizione di due termini la carne e il corpo è impressionante e chiara: la carne, è il corpo sprovvisto di vita divina e che non mantiene la sua esistenza che nell’ordine della materia; il corpo, è la materia umana penetrata dallo Spirito di Dio, ritornata all’armonia e liberata dalle servitù che sono familiari alla sua natura decaduta, quantunque ad essa estranee in ordine alla sua vocazione.

La lotta contro la carne è dunque la lotta per la revivescenza del corpo, e il termine di mortificazione vi acquista il suo vero valore: ciò che deve essere ucciso, è la passione, la dipendenza; ciò che deve essere distrutto è la servitù, ma questa lotta non è una uccisione e non è unicamente negativa: noi apparteniamo al mondo decaduto che ha sostituito il mondo antidiluviano, e non è sufficiente rinunziare a ciò che è per noi sorgente di vita per acquistare una nuova vita.

Padre Paisios del Monte Athos, uno dei più venerati monaci greci ortodossi

L’ascesi di mortificazione non ha senso che nella misura stessa in cui si associ ad un’ascesi costruttiva che ci renda atti a ricevere la Vita divina ed a “vivere della Parola di Dio”, in altri termini che ci apra a Dio; ciò non è possibile che se, mentre da una parte ci liberiamo dal mondo materiale, dall’altra prendiamo piede nel mondo divino; e il progresso in questo secondo senso deve precedere l’opera di rinunzia o almeno andare di pari passo con essa; mancando tale condizione la “carne” muore prima che il “corpo” sia ritornato alla vita.

I diversi elementi di questa ascesi – digiuni, continenza, veglia, lavoro – non richiedono alcun commento. Ciascuno di essi ha un valore particolare e non può essere utilizzato promisque. Se la veglia, condotta fino ai limiti delle possibilità individuali, dà all’intelligenza un’acutezza e una folgorazione sconosciute, il digiuno riporta l’uomo in se stesso, l’aiuta a far “coincidere il suo essere psichico con i limiti del corpo”; e l’ascesi della sete è una delle condizioni necessarie al progresso nella preghiera interiore. In tal modo è interessante osservare ed importante sapere che non ci si può dedicare con successo ad un esercizio ascetico senza dedicarsi simultaneamente agli altri: non si può pregare senza digiunare e senza vegliare, ma è anche impossibile digiunare e vegliare se lo spirito di preghiera non ci penetra: è questa la ragione per cui le vite dei santi misurano il progresso spirituale in termini, che a noi sembrano così strani, di lunghe veglie, di digiuni appena credibili… Si tratta appunto di “morire alla terra” e di rivivere in Dio, di elevarsi con uno sforzo costante e concertato all’altezza della propria natura vera attraverso una lotta che raddrizzi e liberi, che uccida il germe di morte affinché la vita porti frutto e trionfi.



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"In una civiltà tradizionale è quasi inconcepibile che un uomo pretenda di rivendicare la proprietà di una idea e, in ogni caso, in essa chi così facesse, con ciò stesso si priverebbe di ogni credito e di ogni autorità, poiché condannerebbe l’idea a non esser più che una specie di fantasia senza alcuna reale portata. Se una idea è vera, essa appartiene in egual modo a tutti coloro che sono capaci di comprenderla; se è falsa, non c’è da gloriarsi di averla inventata. Una idea vera non può essere «nuova», poiché la verità non è un prodotto dello spirito umano, essa esiste indipendentemente da noi, e noi abbiamo solo da conoscerla. Fuor da tale conoscenza, non può esservi che l’errore" (R. Guénon)

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