Sempre sul filone di Dante Alighieri e dintorni, presentiamo oggi un articolo di Julius Evola pubblicato sul “Roma” nel 1951, col titolo “Forse Dante appartenne ai Templari”, in cui il barone riassumeva brevemente per i lettori alcuni temi legati ad interpretazioni non convenzionali dell’opera dantesca, facendo riferimento anche al tema della possibile appartenenza di Dante all’Ordine Templare, su cui molti hanno scritto. In coda all’articolo del barone, sempre su questo particolare argomento, vi proponiamo anche alcuni estratti da “L’esoterismo cristiano” (nello specifico da articoli tratti da “Le Voile d’Isis”) e da “L’esoterismo di Dante” di René Guénon.
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di Julius Evola
Tratto dal “Roma”, 7 aprile 1951
È stato verso la metà del secolo scorso che riguardo a Dante hanno cominciato a divenire di comune dominio dei dati, che han fatto come da guastafeste nella dantistica, mettendo in luce, del Poeta e della sua opera, lati inaspettati ed enigmatici. Questa azione disturbatrice si è manifestata sotto un doppio riguardo.
Per la dantistica accademica e, in genere, secondo i criteri estetici prevalenti, solo alla stregua di «arte» dovrebbe considerarsi l’opera dantesca, e tutti gli elementi di carattere morale (e di solito oltre a ciò non si vedeva altro) avendo da valere solo in via accessoria e subordinata. In secondo luogo, non si nutrivano dubbi sull’ortodossia cattolica di Dante: in Dante si amava esaltare uno dei massimi esponenti del pensiero cattolico medioevale.
Ebbene, sia l’un punto che l’altro vengono contestati nelle ricerche cui abbiamo fatto cenno, perché esse, in primo luogo, mettono in luce una dimensione, per così dire, in profondità dell’opera di Dante, da considerarsi come per nulla secondaria rispetto alla semplice opera d’arte, anzi contrario, in secondo luogo, esse raccolgono elementi molteplici che dimostrano l’appartenenza di Dante ad organizzazioni segrete, più o meno collegate con l’Ordine dei Templari, l’ortodossia cattolica delle quali è più che discutibile.
Ad iniziare quest’ordine di ricerche e di rivelazioni furono Gabriele Rossetti, che scrisse un’opera voluminosa sul mistero dell’amor platonico cavalleresco nel Medioevo, e il francese Aroux, con due opere dedicate specificamente all’opera di Dante secondo i suoi aspetti nascosti e non-cattolici. Ciò, come abbiamo detto, verso la metà del secolo scorso. Una ripresa doveva effettuarsi sulla stessa direzione solo qualche decennio dopo, e a tale riguardo v’è da citare anzitutto l’opera sistematica del compianto Luigi Valli su Il linguaggio segreto di Dante e dei Fedeli d’amore, poi un saggio di René Guénon su L’esoterismo di Dante, saggio uscito proprio in questi giorni in traduzione italiana per le edizioni «Atanor». A ciò si può aggiungere l’opera, pure recente, di un religioso cistercense ungherese, John, che si intitola Dante (in tedesco), interessante per il fatto di avere un regolare «imprimatur» ecclesiastico, malgrado la tesi sostenutavi dell’appartenenza di Dante ai Templari. Infine elementi su non diversa direzione si trovano nel libro Dante, scritto dal Merejkowsky nel senso di un omaggio riconoscente per l’ospitalità italiana che Mussolini volle accordare a questo eminente scrittore russo.
Non è agevole dire, in un articolo di giornale, circa l’«altra Faccia» di Dante a chi non abbia familiarità con studi di carattere esoterico e iniziatico, giacché i concetti di «esoterismo» (cioè del contenuto interno, riposto di un insegnamento) e di «iniziazione» (la quale non ha a che fare né col misticismo, né con ciò che oggi vale volgarmente come «occultismo») saranno più o meno ignori a buona parte dei nostri lettori. Ci limiteremo dunque ad un cenno sommario, facendo riferimento soprattutto al saggio, ora uscito, del Guénon, al quale rimandiamo chi si interessa dell’argomento.
Dante stesso, esortando coloro che hanno l’«intelletto sano» a considerare la «dottrina che si asconde sotto il velame delli versi strani», dice esplicitamente di un senso nascosto nella sua opera, rispetto a cui il senso esteriore ed apparente è soltanto un velo, e che deve essere ricercato da coloro che son capaci di penetrarlo. Quel che il Guénon mette in luce in modo più netto degli altri autori accennati, è che questo senso riposto va al di là sia dall’interpretazione morale che dalla semplice teologia, avendo attinenza col mondo dell’iniziazione: per cui nell’opera di Dante ricorrono simboli, sigle, strutture che sempre ed ovunque in Oriente, in Occidente e nell’antichità, furono usati a tale riguardo. Raffronti precisi del Guénon rendono ciò in una sufficiente evidenza.
Il «viaggio ultraterreno» della Comedia, con le sue tappe in inferno, purgatorio e paradiso, altro non sarebbe che un simbolismo per lo stati attraversati dall’iniziato nel processo di una trasformazione e di una integrazione trascendente del suo essere. Qualcosa di simile va pensato anche nei riguardi della Vita Nova. non solo Dante, ma anche molti autori del suo tempo, tutti più o meno ghibellini, nel parlare di «amore» e di «donna», in realtà intendevano tutt’altro, usavano un linguaggio cifrato, avente parimenti riferimento a insegnamenti ed esperienze di tipo iniziatico.
Più complessa è la quistione delle organizzazioni segrete cui Dante apparteneva e dalle quali avrebbe tratto il suo esoterismo. La tesi, secondo cui Dante sarebbe stato un Templare, è estremamente verosimile. Secondo noi son però da rigettarsi tutti quei ravvicinamenti del Guénon, dai quali risulterebbe una connessione di Dante con ciò che potrebbe chiamarsi l’antecedente della Massoneria; tali ravvicinamenti sono artificiosi e tendenziosi, anche se nel senso opposto di quelli già stabiliti dall’Aroux, che con esso voleva suggellare il carattere eretico della dottrina segreta dantesca.
Per conoscere ciò di cui effettivamente si tratta e il senso secondo cui l’ortodossia di Dante è dubbia, è ad una particolare interpretazione delle forme in lotta dietro le quinte del mondo medievale che bisognerebbe rifarsi; È ciò che abbiamo tentato di fare noi stessi nel libro Il mistero del Graal e la tradizione ghibellina dell’Impero e che invece cade fuori dal quadro dello studio del Guénon, causa l’interesse esclusivo che questo autore aveva per quel che ha solo carattere astrattamente dottrinale. Comunque, sia in Guénon che negli altri autori, il lettore troverà dati carattere veramente illuminativo, quanto ad un Dante fino a ieri ignorato e certo non meno interessante di quello solito, presentandoci dai «clichés» convenuti dai dantisti.
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Dante Templare?
estratti di René Guénon da “L’esoterismo di Dante” (Cap. II, La Fede Santa) e “Il Linguaggio segreto di Dante e dei Fedeli d’Amore” (“Le Voile d’Isis”, febbraio 1929 e marzo 1932)
Nel museo di Vienna si trovano due medaglie di cui l’una rappresenta Dante e l’altra il pittore Pietro da Pisa; entrambe portano sul rovescio le lettere F.S.K.I.P.F.T., che Aroux Interpreta nel modo seguente: Frater Sacrae Kodosh, Imperialis Principatus, Frater Templarius. Per le prime tre lettere, questa interpretazione è palesemente scorretta e non dà un senso intelligibile; pensiamo che bisogna leggere Fidei Sanctae Kadosch. L’associazione della Fede Santa, di cui Dante sembra sia stato uno dei capi, era un Terz’Ordine di filiazione templare, il che giustificava l’appellativo di Frater Templarius; ed i suoi dignitari portavano il titolo di Kadosch, termine ebraico che significa «santo» o «consacrato», e che si è conservato fino ai nostri giorni negli alti gradi della Massoneria. Si vede già per tal fatto come non sia senza ragione che Dante prende per guida, per la fine del suo viaggio celeste (1), San Bernardo, che stabilì la regola dell’Ordine del Tempio; e Dante sembra aver voluto indicare in tal modo come soltanto per mezzo di questo fosse reso possibile, nelle condizioni proprie alla sua epoca, l’accesso al supremo grado della gerarchia spirituale.
(…) La questione della «Terra Santa» potrebbe anche fornire la chiave per comprendere i rapporti fra Dante, i «Fedeli d’Amore» ed i Templari; è questo un altro degli argomenti che Valli ha trattato in modo incompleto. Egli considera giustamente che questi rapporti con i Templari (pp. 423-426), ed anche con gli alchimisti (p. 248), siano di una realtà incontestabile, e fornisce alcuni accostamenti interessanti, come, per esempio, quello dei nove anni di probazione dei Templari con l’età simbolica di nove anni nella Vita Nuova (p. 274); ma avrebbe potuto dire ben altre cose sull’argomento. Così, a proposito della residenza centrale dei Templari, stabilita a Cipro (pp. 261 e 425), sarebbe curioso studiare il significato del nome di quest’isola, i suoi rapporti con Venere ed il «terzo cielo», nonché il simbolismo del rame, da cui deriva lo stesso nome; tutte cose sulle quali, per il momento, non possiamo soffermarci e che ci limitiamo a segnalare.
(…) Valli, pur non avendo alcun dubbio sui rapporti fra Dante ed i Templari, su cui esistono diversi indizi, solleva una obiezione a proposito della medaglia del museo di Vienna, della quale abbiamo parlato ne L’Esoterismo di Dante; egli ha voluto esaminarla ed ha constatato che le sue due facce erano state riunite in un secondo momento e che prima erano dovute appartenere a due medaglie diverse; d’altronde, egli stesso riconosce che questa strana operazione non può essere stata eseguita senza un valido motivo. Quanto alle iniziali F.S.K.I.P.F.T., che figurano sul retro, secondo lui esse sono quelle delle sette virtù: Fides, Spes, Karitas, Iustitia, Prudentia, Fortitudo, Temperantia, benché vi sia un’anomalia nel fatto che sono disposte su due linee, per quattro e per tre, invece che per tre e per quattro, come avrebbe dovuto essere in base alla distinzione fra le tre virtù teologali e le quattro virtù cardinali; dal momento, però che esse sono accompagnate da rami d’alloro e d’ulivo, «che sono proprio le due piante sacre degli iniziati», egli ammette che la sua interpretazione non esclude necessariamente l’esistenza di un altro significato più nascosto; e noi aggiungiamo che l’anomala ortografia di Karitas, al posto di Charitas, potrebbe essere stata necessitata proprio da questo doppio significato. Del resto, noi abbiamo anche segnalato, nel nostro studio, il ruolo iniziatico assegnato alle tre virtù teologali, ruolo che è stato conservato nel 18’ grado della Massoneria scozzese (2); inoltre, il settenario delle virtù è formato da un ternario superiore e da un quaternario inferiore, e questo indica a sufficienza che esso è costituito in base a dei principi esoterici; ed infine, esso può corrispondere, esattamente come quello delle «arti liberali» (anch’esso diviso in trivium e quadrivium), ai sette gradini ai quali accennavamo prima, tanto più che, in effetti, la «Fede» (la Fede Santa) figura sempre sul gradino più alto della «scala misteriosa» dei Kadosch; tutto ciò forma dunque un insieme molto più coerente di quanto possano pensare gli osservatori superficiali.
Per altro verso, Valli ha scoperto, sempre nel museo di Vienna, la medaglia originale di Dante, il cui rovescio presenta ancora una figura molto strana ed enigmatica: un cuore posto al centro di un sistema di cerchi, che ha l’apparenza di una sfera celeste, ma che in realtà non lo è, e che non è accompagnato da alcuna iscrizione (3). Vi sono tre cerchi meridiani e quattro cerchi paralleli, che Valli riconduce ancora alle tre virtù teologali ed alle quattro virtù cardinali; quello che ci induce a pensare che questa interpretazione debba essere esatta, è soprattutto la giustezza dell’applicazione del senso verticale e del senso orizzontale; questi due sensi sono in rapporto con la via contemplativa e la via attiva, o con l’autorità spirituale ed il potere temporale, che l’una e l’altra reggono, e ad esse corrispondono i due gruppi di virtù; il cerchio obliquo che completa la figura (e che forma con gli altri il numero 8, che è quello dell’equilibrio), riunisce poi gli altri sette in una perfetta armonia, sotto l’irraggiamento della «dottrina d’amore», rappresentata dal cuore (4).
Note dell’autore
(1) Paradiso, XXXI. – Il termine contemplante, col quale Dante designa in seguito San Bernardo (id, XXXII, 1), sembra avere un doppio senso, a causa della sua parentela con la designazione stessa del Tempio;
(2) Nel 17° grado, «Cavaliere d’Oriente e d’Occidente», vi è anche una divisa formata da sette iniziali, che sono quelle di un settenario di attributi divini la cui enumerazione è tratta da un passo dell’Apocalisse (Vedi S. Farina – Rituali del Rito Scozzese Antico Accettato – Ed. Arktos 1984 – aggiunta dell’editore);
(3) Questo cuore, in questa posizione, ci ricorda la figura, altrettanto interessante e misteriosa, del cuore di Saint-Denis d’Orques, raffigurato al centro dei cerchi planetari e zodiacale; figura che è stata esaminata da L. Charbonneau-Lassay nella rivista Regnabit;
(4) Sull’argomento ci si potrà riferire a ciò che abbiamo detto del De Monarchia di Dante, in Autorità Spirituale e Potere temporale, cap. VIII.
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