Fascismo e Tradizione, il contributo del Diorama – Intervista ad A. Calabrese (prima parte)

Sempre con riferimento all’esperienza del Diorama Filosofico di Evola, vi presentiamo a partire da oggi, divisa in tre parti, un’intervista esclusiva con il dottor Antonio Calabrese, autore del libro Fascismo e Tradizione tra cultura e potere – il contributo di «Diorama Filosofico»(1934-1943)” (Aracne Editrice, Roma, 2012). Si tratta di un saggio sull’esperienza del Diorama evoliano estremamente interessante, serio ed argomentato, che rappresenta l’unico studio monografico pubblicato al momento in materia, di agile lettura ed assolutamente asettico e neutrale. Il lavoro di ricostruzione e di commento del contributo culturale offerto dal Diorama nell’Italia fascista degli anni Trenta è, infatti, svolto dall’autore con molta cura e competenza secondo delle chiavi di lettura ben precise, da lui stesso illustrate nel corso dell’intervista, senza i consueti pregiudizi ideologici da “dogmatica antifascista militante” che soffoca e sopprime ogni tentativo storiografico-culturale serio e rigoroso, che abbia l’ardire di uscire fuori dai confini tracciati dall’insopportabile cerchia dei salotti e dei think tank laico-materialisti odierni, espressione di quell’intellettualismo di regime che, dalla seconda guerra mondiale, ha monopolizzato ogni ambito della moderna società.

In testa all’intervista, come brevissimo cappello introduttivo, abbiamo inserito i primi capoversi dell’introduzione al libro, a cura dello stesso autore.

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Antonio Calabrese è dottore di ricerca in Ermeneutica della storia. Ha collaborato con l’università del Salento in qualità di cultore della materia. Si occupa dei rapporti fra storia e politica e i suoi studi si sono concentrati su nazionalsocialismo, fascismo e destra radicale, sul revisionismo storico e, in generale, sull’uso politico della storia.

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Estratto dall’introduzione di Fascismo e Tradizione tra cultura e potere – il contributo di «Diorama Filosofico»(1934-1943)” di Antonio Calabrese

Il complesso dei rapporti tra «fascismo» e «tradizione», dei riferimenti fatti dal fascismo, movimento prima, partito e regime poi, a tutto ciò che si richiama alla tradizione, in aperto contrasto con la modernità e con tutto quello che afferisce alla «civiltà della materia», costituisce una mole sterminata di relazioni, di concetti, di contributi di diversi pensatori e di riferimenti a varie scuole di pensiero che rende arduo ogni tentativo di fornirne un quadro esauriente.

L’entità degli studi in proposito, considerevole se si tiene conto della totalità di questi, notevolmente esigua e limitata a pochi autori se si escludono i contributi degli studiosi dell’area della destra e della destra radicale, rende estremamente complicato ogni tentativo di sintesi e, maggiormente, ogni possibilità di approccio sistematico.

Un percorso possibile può essere quello di individuare un riferimento nella ricerca, una determinata esperienza che, mossasi nel magma della critica tradizionalista al fascismo, possa funzionare da indicatore per fornire delle utili chiavi per la ricerca stessa.

Antonio Calabrese

La critica della civiltà occidentale, le posizioni antagoniste dell’evoluzione e del progresso, che contestavano il contributo progressivo della Rivoluzione Francese e delle conquiste sociali dei secoli successivi, lamentando la fine delle gerarchie e la perdita dei valori della Tradizione e di ogni riferimento ad una dimensione trascendente, con il conseguente prevalere del «divenire» sull’«essere», patrimonio dei pensatori della Decadenza, Spengler su tutti, ha avuto in prossimità del periodo del fascismo italiano e delle dittature reazionarie degli anni Trenta in Europa un certo rigurgito, una risollevazione.

L’esperienza del fascismo italiano e del nazionalsocialismo tedesco sono viste dai pensatori di tali correnti come dei momenti di rallentamento del processo generale di decadenza. Infatti, anche laddove non ci sia stata una totale adesione di tali pensatori ai regimi in questione, si è verificata generalmente una convergenza, una collaborazione, alcuni momenti di confronto e di elaborazione di alcune questioni, che hanno più o meno inciso nella formazione del patrimonio ideologico e culturale di questi.

Nell’Italia del Ventennio, uno degli attori di questo «dibattito», uno degli elementi che hanno contribuito ad un’orientazione in senso tradizionale del regime fascista al potere è stato il foglio politico-culturale «Diorama Filosofico», terza pagina del quotidiano Il Regime Fascista, diretto da Roberto Farinacci e stampato a Cremona, curato da Julius Evola, reduce dalla recente esperienza «superfascista» de La Torre.

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L’influsso del “Diorama” sul Fascismo

Il progetto del Diorama filosofico di Evola si rifaceva, sostanzialmente, sia in termini di collaborazioni che di finalità (recuperare e divulgare quei contenuti tradizionali che “soli avrebbero potuto corrispondere alle possibilità superiori di un movimento ‘fascista’ ”, come disse lo stesso Evola), alla precedente sfortunata esperienza della rivista La Torre, che durò soltanto pochi mesi. Farinacci, direttore de Il Regime Fascista, il giornale che ospitava la pagina del Diorama, diede ad Evola piena libertà d’azione, e stavolta il nuovo progetto, sia pure con uscite irregolari e periodi di sospensione per contingenze storiche, ebbe ben più lunga vita, dal 1934 al 1943.

Dottor Calabrese, quanto, concretamente, a fronte di questa maggiore permanenza temporale, l’opera svolta dal Diorama incise, direttamente o indirettamente, sulla politica e sull’impostazione culturale del Regime?

Il contributo più apprezzabile è sicuramente percepibile indirettamente. Infatti, più che di un’influenza diretta, almeno nell’immediato inizio, si può parlare di un cosciente progetto di formazione e trasformazione della coscienza degli italiani, dell’uomo medio fascista dell’Italia di quegli anni.

Lo stesso sottotitolo della pagina culturale del foglio cremonese, Problemi dello spirito nell’etica fascista, lasciava trasparire l’intento della costruzione di una sorta di laboratorio “morale” che operasse nel senso di una definizione tradizionale della coscienza degli italiani. A parte infatti periodi particolari, che hanno visto impennate interessanti nel senso di concreti contributi alla politica del regime, in concomitanza con la nomina nel ’41 di Alberto Luchini alla direzione dell’Ufficio Studi e Propaganda sulla Razza al Ministero della Cultura Popolare, la gran parte della vita del quindicinale, poi mensile, curato da Julius Evola ha privilegiato i piccoli passi di questo grande progetto. Il 1941 fu l’anno in cui uscì, in gennaio, il libro di Evola Sintesi di dottrina della razza che suscitò l’entusiasmo di Mussolini.

La specificità di Diorama consiste nell’estrema eterogeneità dei contributi proposti che andavano dagli interventi dei tradizionalisti italiani come Carlo Rossi di Lauriano, Guido Cavallucci, Massimo Scaligero, a quelli di studiosi stranieri come René Guenon, Edmund Dodsworth, Karl Anton Rohan, di esponenti della Konservative Revolution come Othmar Spann e Wilhelm Stapel e di esponenti che animavano l’allora acceso dibattito sulla questione razziale, da Aniceto Del Massa a Guido De Giorgio, da Domenico Rudatis a Guido Landra e altri ancora.

Dal 1938 il Diorama, divenuto mensile, assunse un nuovo sottotitolo: “Problemi dello spirito e della razza nell’etica fascista”. Fu dunque inserito il riferimento esplicito alla razza, e non si trattò ovviamente di un caso, dato che questa tematica, dopo l’uscita del Manifesto della Razza e delle Leggi Razziali in Italia, necessitava di un’opera di approfondimento e di rettificazione. Ciò, soprattutto, considerando l’impostazione evoliana in materia, che teneva conto delle tre componenti dell’essere umano secondo le dottrine tradizionali (corpo, anima, spirito) e non solo del mero dato biologico.

Dal 18 dicembre 1938 il Diorama, divenuto mensile, assunse il nuovo sottotitolo “Problemi dello spirito e della razza nell’etica fascista”, cominciando ad occuparsi in modo sistematico del tema della Razza

Quale fu l’influsso effettivo che il Diorama, su questa tematica, esercitò sulle posizioni ufficiali del Regime? Quali furono i rapporti con le altre correnti di studi razziali esistenti in Italia? E quale fu in particolare il ruolo rivestito da Alberto Luchini, collaboratore del Diorama e nominato nel 1941 direttore dell’Ufficio Studi e Propaganda sulla Razza?

Fu proprio in corrispondenza degli incontri tra Evola e Mussolini che maturò la decisione di una collaborazione più stretta. A ormai tre anni dall’uscita del Manifesto della Razza il dibattito sulla questione si fece più serrato e cominciarono a farsi strada, fra le varie posizioni sul razzismo, le tesi dei redattori di Diorama. Si tende spesso, quando si parla di razzismo nella vulgata storiografica, a marcare l’accento sulla Germania nazista, considerando le posizioni italiane unicamente come supporto a quelle tedesche, come scelta obbligata dettata da fedeltà di alleanza, eludendo totalmente l’originalità e la specificità che il dibattito sul razzismo aveva nell’Italia fascista in quegli anni.

Nell’estate del 1941 Mussolini convocò Julius Evola a Palazzo Venezia alla presenza del segretario del partito Alessandro Pavolini per congratularsi con lui ed esprimergli la sua personale approvazione per il libro Sintesi di dottrina della razza. Durante i colloqui che seguirono tra i due prese corpo un’iniziativa di consolidamento dei rapporti italo-tedeschi in materia di razzismo che doveva sfociare nel progetto di costituzione di una nuova rivista bilingue dal titolo di Sangue e Spirito. Il progetto ottenne l’approvazione della commissione tedesca e si tennero anche delle riunioni tra i futuri collaboratori della rivista. Quando il progetto sembrava prossimo a realizzarsi arrivò all’improvviso l’ordine di sospendere tutto. L’interruzione fu causata da un’offensiva congiunta di padre Tacchi Venturi e di Telesio Interlandi che vedevano in Julius Evola, ciascuno per diversi motivi, un temibile avversario. A poco più di dodici anni dal Concordato, Mussolini avrà probabilmente considerato troppo rischioso aderire al progetto evoliano, gesto che gli avrebbe comportato la contemporanea inimicizia degli ambienti cattolici e dei “razzisti della prima ora”.

La nomina di Alberti Luchini ha preceduto questo periodo febbrile, essendo avvenuta nel maggio di quell’anno e ha coerentemente coinciso con il culmine dello sforzo teorico e organizzativo del gruppo che si richiamava al razzismo “esoterico-tradizionalistico”. Tuttavia tale esperienza, al di là della capacità di incidere concretamente sui meccanismi istituzionali del regime, va analizzata come contributo alla definizione di una particolare corrente del razzismo all’interno del composito panorama politico dei primi anni Quaranta nell’Italia fascista e, in tal senso, il contributo risulta evidente.

Segue nella seconda parte



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"In una civiltà tradizionale è quasi inconcepibile che un uomo pretenda di rivendicare la proprietà di una idea e, in ogni caso, in essa chi così facesse, con ciò stesso si priverebbe di ogni credito e di ogni autorità, poiché condannerebbe l’idea a non esser più che una specie di fantasia senza alcuna reale portata. Se una idea è vera, essa appartiene in egual modo a tutti coloro che sono capaci di comprenderla; se è falsa, non c’è da gloriarsi di averla inventata. Una idea vera non può essere «nuova», poiché la verità non è un prodotto dello spirito umano, essa esiste indipendentemente da noi, e noi abbiamo solo da conoscerla. Fuor da tale conoscenza, non può esservi che l’errore" (R. Guénon)

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