Sempre in vista dell’iniziativa editoriale che RigenerAzione Evola si accinge a varare con riferimento all’esperienza del Diorama Filosofico, vi proponiamo oggi un capitolo estratto dall’introduzione-saggio di Marco Tarchi (“Evola e il fenomeno storico del fascismo“) tratta dalla più volte citata antologia da quest’ultimo curata per le Edizioni Europa e pubblicata nel 1973, in cui si selezionarono articoli del Diorama delle annate 1934-1935.
***
di Marco Tarchi
“Chi era con lui (Roberto Farinacci, N.d.R.), poteva essere sicuro di non essere tradito, di essere difeso sino all’ultimo, se la sua causa era giusta: Farinacci avendo acceso diretto a Mussolini, e ciò era di grande momento. Inoltre Farinacci conosceva i limiti della propria cultura, e in me vide chi poteva dare un contributo a quella rivoluzione intellettuale di Destra che era nelle aspirazioni di una certa corrente del fascismo.
Così egli accettò la proposta che gli feci di far uscire sul suo giornale, Regime Fascista, sotto la mia direzione, una pagina speciale col sopratitolo «Problemi dello spirito nell’etica fascista». In essa io ero assolutamente libero, essendone in egual misura responsabile personalmente”.
Ecco con le stesse parole di Evola la storia in sintesi della pagina che ebbe nome Diorama filosofico, e che, durando a sbalzi per dieci anni consecutivi – dal 1934 al 1943 – prima con periodicità quindicinale, poi mensile, ed interrompendosi in occasione di guerre e sanzioni, costituì la forma più impegnativa e continuata del lavoro politico di Evola nel periodo fascista.
Evola afferma che Farinacci gli concesse pieni poteri, e ciò nonostante che egli non fosse mai iscritto al PNF, né avesse intenzione di farlo. Non è possibile sapere con esattezza quale ampiezza raggiungessero tali poteri: certo è che, perlomeno sino agli ultimi tempi, in questa pagina Evola né fu mai agnostico (ed ovviamente non poteva esserlo, per sua stessa struttura mentale), né però affrontò direttamente il tema politico, preferendo trattarlo nei riflessi che esso produceva – essendo esso stesso prodotto da una idea trascendente il semplice piano umano – in tutti i campi dell’esperienza quotidiana.
Per dieci anni, Evola ed i suoi collaboratori difesero i valori Tradizionali in tutti i loro aspetti. Il direttore della pagina lamenterà in seguito la grande difficoltà di trovare materiale adatto per ogni numero, a causa della scarsa propensione di elementi qualificati alla collaborazione (peraltro retribuita). Egli attribuirà questo intralcio, nonché la «risposta negativa» all’appello che con Diorama si proponeva di lanciare al mondo della cultura fascista, al fatto di avere a disposizione un quotidiano politico. Ma ci si può onestamente chiedere se Farinacci avrebbe potuto caldeggiare un’operazione semplicemente culturale, dato il suo interesse alla costituzione di una base per una corrente politica «dura», ed un altro interrogativo può riguardare l’accoglienza che il pubblico del quotidiano avrebbe fatto ad una pagina che avesse trattato problemi di visione della vita sotto un profilo eminentemente politico.

Marco Tarchi
Ai lettori di questa antologia di Diorama non sfuggirà infatti il tono, indubbiamente specialistico e da iniziati, che caratterizza la maggior parte dei pezzi da noi riportati, nonché la quasi totalità di quelli apparsi in Diorama (1).
Ci pare che qui Evola, rinunciando a «calare nelle masse» il proprio discorso, giustamente temendo di volgarizzare – e non già di diffondere – postulati di non indifferente livello, abbia al contrario preteso troppo dalla intellettualità del tempo, che pur doveva aver avuto modo di conoscere a fondo, e che per le sue basi ben poco «ortodosse», non avrebbe potuto compromettersi in una collaborazione con uomini di tendenze tanto radicali. Il risultato, se da un lato fu un tentativo eccellente di riunione delle tendenze più in vista del pensiero Tradizionale di tutta l’Europa, ed una impresa unica di messa in luce dei più qualificati esponenti di una cultura di Destra, impresa che ancor oggi dovrebbe stimolare a ricerche ed approfondimenti più che attuali, dall’altro rappresentò una iniziativa in sé valida, ma non destinata ad un pubblico precisato, e dunque destinata ad essere apprezzata da molti, ma non fatta propria da cerchie particolari.
Diorama, giova ripeterlo, non fu forse un successo per gli scopi immediati che il suo creatore si era proposto, ma visto in prospettiva rivela caratteri distintivi che lo pongono come uno dei più completi e coerenti tentativi culturali di matrice fascista. Lo stesso autore, d’altronde, ne rivela uno sconcertante paradosso: esso rappresentò un tentativo di incredibile audacia nei riguardi delle tesi ufficiali (vi scrissero ebrei, antinazisti, non iscritti al partito), eppure non ebbe alcun richiamo, poiché appariva sulle pagine di uno dei quotidiani più ortodossi dell’epoca e sotto l’ala protettrice di un gerarca, mentre La Torre, che difendeva idee ben più «in linea», e si presentava come un foglio superfascista, era stata a suo tempo costretta al silenzio per il suo essere libera da qualsivoglia sudditanza personale.
Se moltissime, e molto diverse, furono (…) le personalità della cultura di Destra che vi collaborarono, univoco fu lo scopo che Diorama si propose. Chiarissime sono le parole dell’articolo di presentazione della pagina, comparso nel primo Diorama, in data 2 febbraio 1934: «Riconosciamo la necessità di una élite che nella sua superiorità costituisca la forza di un’idea in atto o si stabilisca come viva anima direttrice al centro dell’insieme gerarchico» (2).

Gottfried Benn
Obiettivo, dunque creare una élite dirigente in seno al fascismo, e fornire ad essa dei presupposti per l’azione. All’impresa – indubbiamente enorme – prenderanno parte nomi di ogni provenienza nell’ambito della Destra, ma di indubbia qualificazione. Esaminiamone rapidamente alcuni, a titolo di illustrazione della vastissima libertà concessa a quanti si muovevano nell’ambito del mondo culturale dell’epoca.
Politicamente, coesistevano, a livello di collaborazione, uomini come Heinrich Himmler, Reichsführer delle SS, uomo di fiducia di Hitler, comandante del corpo che ancora oggi costituisce col suo nome il simbolo dell’epoca nazionalsocialista, e Othmar Spann, esponente della Rivoluzione Conservatrice, celebre economista la cui opera fondamentale aveva oltrepassato le cento edizioni, o il poeta e saggista Gottfried Benn, simbolo come egli stesso si definirà, di una generazione che sta spegnendosi, che, già fautore del nazionalsocialismo, per il quale si impegnerà intellettualmente, se ne distaccherà poi avversandolo dopo averne avversato gli oppositori (nella sua Risposta ai “letterati emigrati” che grande pubblicità avrà in Germania), per finire ad una forma di esilio aristocratico – la milizia dell’esercito che preluderà alla condanna, fondata non su accuse di barbarie o tirannide, ma su una mancanza di haltung (portamento, atteggiamento, N.d.R.) prussiana e sull’abbandono di alcune istanze «restauratrici».
Giova a questo punto rilevare una particolarità di Diorama: l’uomo che gli avversari hanno dipinto come il «nazista» Evola, ben di rado, nel corso dei dieci anni di sua direzione e di apparizione della pagina, si serve, come collaboratori, di uomini in linea con i postulati più radicali del fascismo. In un primo momento, traspare anzi in Diorama il tentativo, originale ed ancor oggi mai completamente portato a compimento da altri, di prendere in esame tutte le possibili derivazioni da una matrice intellettuale di destra, per sottolineare in esse ciò che le unisce, pur non tacendo quanto, in forma più o meno marginale, le divide. E in questo senso, quanto ancora restava da scoprire erano appunto gli apporti di quanti, in regime fascista o nazionalsocialista, restavano nell’ombra, o di chi, vivendo in paese democratico, non poteva offrire un contributo diretto alla elaborazione di una cultura europea di destra.
Si spiega così la collaborazione di uomini della destra aristocratica e monarchica, che d’altronde per primi avevano sottolineato l’uscita, nel 1935, dell’edizione tedesca di Rivolta contro il mondo moderno. Uomini come gli stessi Spann, e Benn, come Wilhelm Stapel, direttore della rivista Deutsches Volkstum, che aveva parlato di «luoghi di una forza magica» nelle pagine del libro, come Friedrich Everling, già deputato monarchico al Reichstag, vicino a Guglielmo II e poi al nazionalsocialismo, come il principe Karl Anton Rohan, cui facevano capo circoli della destra viennese, e che esercitava un’azione in tutto il continente grazie alla sua Europäische Revue, alcuni articoli della quale, ad esempio uno di Paul Valéry, saranno pubblicati in italiano su Diorama.

Ludwig Ferdinand Clauss
Ed ancora uomini che mai, nel corso della loro esistenza, scesero a lottare sul piano della semplice politica, quali René Guénon (che collaborava anche sotto lo pseudonimo di Ignitus), o discendenti di famiglie reali britanniche, come Edmondo Dodsworth.
Il giro dei collaboratori era indubbiamente vastissimo e qualificato: da un Friedrich Schreyvogl, personalità cattolico-nazionale, ad un Ludwig-Ferdinand Clauss, teorico del razzismo interiore, studiatissimo dalle cerchie intellettuali naziste, per alcuni rivale di Rosenberg. Dal deputato monarchico A.E. Günther (che Diorama presenterà curiosamente come «da non confondersi col razzista H.F.K. Günther», la cui figura non sembra particolarmente apprezzata dall’estensore dei cenni biografici) a sir Charles Petrie, inglese, autore di un saggio intitolato Monarchy, rappresentante dell’Inghilterra al Convegno Volta sull’Europa; da nazionalisti come Francesco Coppola, accademico d’Italia, all’ebreo esule Karl Wolfskehl, già del gruppo di Stephan George; da Gonzague de Reynold a Franz Altheim, studioso di fama mondiale delle religioni, da Giovanni Preziosi ad ex-collaboratori de La Torre quali Guido de Giorgio, sino ad esponenti della cultura fascista come G.A. Fanelli, o ad esperti in materia di razzismo, sul tipo di Guido Landra. Neppure autori russi di tendenza fascista, quali Grigol Robadiske, sono assenti in questo contesto.
Il compito che Diorama si propone, dunque, rivela la sua inaudita difficoltà: eppure per dieci anni, in uno sforzo pressoché unico nell’ambito intellettuale del tempo, Evola lavorerà a fondere in un unico blocco tutte le componenti, per dar vita ad una nuova cultura, creatrice di un nuovo individuo simbolo di un regime che, come quello fascista, nuovo vuole essere, ed inedito, di fronte al crollo dei sistemi nati dalle ideologie ottocentesche.
Abbiamo già accennato agli scopi che la pagina dichiarava di proporsi sin dal suo primo numero: resta ora da vedere se gli scopi furono raggiunti, e in che misura, e di quali metodi ci si servì in questo tentativo.

Con l’importante articolo “Ripresa” del17 novembre 1936, Evola sancisce il ritorno alla pubblicazione del Diorama dopo una lunga pausa per la guerra in Etiopia e le sanzioni economiche inflitte all’Italia
Il concetto di cultura che si formò nel corso della esperienza sulle colonne di Regime Fascista, ove Evola ebbe modo di collaborare anche al di fuori dei limiti della pagina da lui curata, come scrittore di terza pagina, critico, inviato speciale e persino come autore di editoriali politici – quello comparso sul giornale in occasione dello scoppio della guerra d’Africa, sotto il titolo Mare Nostrum, è a sua firma – è ricavabile dagli scritti comparsi proprio in quel foglio, ed in particolare da Ripresa, apparso il 17 novembre 1936, dopo l’interruzione subìta da Diorama per i primi eventi bellici in Etiopia.
Scopo dell’articolo in questione è infatti la spiegazione della ragion d’essere di una cultura solidamente ancorata alla Tradizione, o in altre parole del valore dell’idea per la lotta fascista, in un momento in cui «una guerra occulta si sta svolgendo dietro alla guerra visibile, guerra che forse presto entrerà nella sua fase risolutiva».
«Solo l’osservatore superficiale – sottolinea Evola – non si rende conto che oggi quanto mai dietro alle tensioni e agli sconvolgimenti più drammatici, come pure nel lavorio sotterraneo esercitantesi nel campo diplomatico e nella manovra dell’opinione internazionale, si cela l’efficienza di alcune idee fondamentali e l’effetto della lotta implacabile, nella quale esse ormai sono scese per l’impadronirsi della direzione della civiltà europea».
È chiaro dunque che in simili circostanze la lotta non può restringersi al piano della semplice azione politica: lo ha ben compreso lo stesso Mussolini, anteponendo, nel quadro dei compiti del fascismo, la difesa dello «Spirito» a quella della materia, ed indicandocome obiettivo da colpire la civiltà meccanicistica, relizzata da americanismo e bolscevismo, con tutti i suoi derivati, in specie in fatto di mentalità.
Necessita dunque una cultura fascista «contro ogni forma della decadenza moderna». È una enunciazione precisa, ma insufficiente a risolvere il problema della alternativa che il movimento deve fornire all’odierna civiltà. Diviene in tal modo evidente l‘obiettivo ultimo di Diorama: fornire in ogni campo della civiltà l’alternativa alla Weltanschauung democratica.
Così, di volta in volta, i collaboratori della pagina quindicinale mettono alla berlina i miti del loro tempo: il progresso, che assai spesso non è altro che una fuga in avanti; il culto del «genio» proprio alle società liberali, cui viene opposto un concetto di cultura come superamento di posizioni «umanistico-narcisistiche» e di vedute individuali a vantaggio di schemi generali di inquadramento dei caratteri proprio ad ogni ciclo storico; le storture della corrente storiografica (il Medioevo età oscura, il Risorgimento come «fatto di popolo» e via dicendo).
In questo sforzo di ricerca, quasi nessun campo è tralasciato: la simbologia, la storia antica e recente (in particolare l’epoca romana, assunta dal fascismo più volte come ideale classico da imitare), la filosofia, la religione, la critica di costume, la letteratura, la politica intesa in senso limitato sono, insieme a moltissime altre discipline, materia di studio ed esame. Non sfuggono all’analisi i romanzi di Proust, Joyce, Mann, la psicanalisi freudiana o junghiana, i limiti e le intuizioni di Nietzsche, le ricerche di Bachofen, il pensiero di Bergson o il valore storico della figura del Savonarola.
Il panorama, smentendo il mito dello «scrittore col manganello», vale a caratterizzare positivamente lo sforzo intellettuale dell’ambiente fascista. È in fondo da esperienze come questa che, sia pur differenziandosene, trarranno spunto le stesse riviste giovanili di avanguardia, che della cultura fascista costituiranno uno degli aspetti più inediti ed originali.
Poco alla volta, Diorama evolve da una ricerca specialistica su temi disparati, spesso difficilmente comprensibile ai suoi lettori, ad un esame dei temi più legati all’esperienza politica fascista. Corporazione, Stato etico, concezione fascista dell’arte o dell’architettura, Impero, dittatura, saranno tra i motivi trattati sulla pagina speciale del quotidiano di Farinacci.
Un rilievo particolare assume, in questo contesto, la discussione sugli intellettuali. Evola ed i suoi collaboratori (in particolare Guido Cavallucci) negano infatti a costoro una funzione specifica, quando, come è il caso di ogni società democratica o borghese, essi non intendano fornire ad essa principi trascendenti di sviluppo, ma aspirino solo a considerarsene i «depositari di verità», sull’esempio liberale del letterato nella torre d’avorio. Di contro ad essi, la figura dell’intellettuale fascista, per il quale la cultura è sforzo creativo di interpretazione della realtà alla luce di principi superiori, è strumento di creazione di quei valori-base destinati ad influenzare tutti gli aspetti derivati di ogni singola civiltà.
Note
(1) Marco Tarchi si riferisce, ovviamente, all’antologia da lui curata, dalla cui introduzione è estratto lo scritto (N.d.R.).
(2) “Formare l’italiano nuovo”, (Diorama, 2 febbraio 1934).
'Diorama filosofico o la ricerca dell’ortodossia' has no comments
Vuoi essere il primo a commentare questo articolo?