Il dovere dei giovani

Tempo fa proponemmo ai lettori il “Messaggio alla gioventù” che Evola scrisse per il numero unico de I nostalgici del marzo 1950 su invito di Roberto Melchionda. In vari altri casi abbiamo proposto scritti evoliani idealmente dedicati ai giovani, e non solo, tratti per lo più dall’intramontabile “Orientamenti”, pubblicato proprio nel 1950, con delle indicazioni ben precise su come rimanere in piedi fra le rovine di quest’epoca, su come orientare la propria azione in senso tradizionale, senza tentennamenti, senza compromessi, per forgiare carattere e anima, sviluppare uno spirito legionario ed una tenuta interiore permanente che consenta di combattere nel miglior modo la propria grande guerra santa, quella contro le debolezze ed i limiti personali, presupposto ineludibile per poi poter agire all’esterno.

Riproponiamo ora alcuni altri scritti di Evola in materia, alcuni dei quali, come questo odierno, ben poco noti. Qui, in poche efficacissime righe pubblicate nel 1952 (il periodo è sempre quello degli anni subito successivi alla catastrofe epocale dell’ultima guerra) sullo storico giornale “Asso di bastoni”, Evola ci fa comprendere magistralmente come per “gioventù” si debba considerare una predisposizione dell’animo, un modo di essere, che prescinde assolutamente dal mero dato anagrafico, che si caratterizza per una irriducibile, inarrestabile “volontà per l’incondizionato”.

Merita una speciale menzione il settimanale “Asso di bastoni”, su cui Evola scrisse appunto questo articolo. Settimanale satirico anticanagliesco“, come recitava l’irriverente sottotitolo, apparve nelle edicole italiane nel 1948, sotto la direzione di Pietro Caporilli. “Settimanale satirico, non umoristico” specificava la nota di presentazione, di cui merita di esser riportato il testo: “Noi ci dirigiamo ad un pubblico ben definito: a color che come noi hanno sofferto e soffrono angherie e soprusi innome d’una democrazia che intende la libertà come libertà di togliere la libertà a coloro che restano fedeli e coerenti con la lor coscienza“. Pubblicato fino al 1957, si avvalse della collaborazione di firme illustri, quali (oltre allo stesso Evola) quelle di Giorgio Almirante, Enrico De Boccard, Concetto Pettinato, Luciano Lucci Chiarissi, Pino Rauti, Giulio Caradonna, Fausto Gianfranceschi, Giorgio Pini, Ezio Maria Gray, Egidio Sterpa, Enzo Erra, Primo Siena.

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di Julius Evola

tratto da Asso di bastoni, n. 3, 20 luglio 1952

Tra le forze più giovani del MSI si riscontra talvolta una insofferenza che le conduce ad isolarsi da ogni esponente delle precedenti generazioni. L’ambizione “rivoluzionaria” si associa non di rado a questa insofferenza, determinando un atteggiamento caratteristico di cui è opportuno saggiare la legittimità. Il problema riguarda naturalmente il piano politico e spirituale, nel quale, a voler dare risalto alla gioventù, si impone una preliminare discriminazione. Infatti volgendoci d’intorno, vi è da chiedersi se si può chiamare gioventù, altrimenti nel senso più banalmente fisico e anagrafico una parte considerevole dei giovani d’oggi: intendiamo quelli indifferenti e agnostici, presi da un materialismo e da un edonismo spicciolo, incapaci di qualunque slancio, incapaci di qualunque linea, entusiasmatisi al massimo per delle partite di calcio per l’esito del Giro d’Italia.

Questa “gioventù” noi piuttosto la diremo morta ancor prima di essere nata. Chiunque oggi non si lascia andare, chiunque vive un’idea, chiunque sa tenersi in piedi respingendo tutto ciò che è fiacco, utilitario, ritorto, vile, qualunque sia la sua età fisica, è infinitamente più giovane di cotesta particolare gioventù. Riconosciuta che sia la necessità di tale discriminazione, risulta però evidente la parte che si deve dare ad un criterio che non sia quello soltanto biologico. Se dovessimo indicare il carattere fondamentale della gioventù intesa in senso superiore, noi lo indicheremo nella volontà per l’incondizionato. In realtà, a non altro può ricondursi, da un lato, ogni idealismo positivo, dall’altro ogni specie di coraggio, di slancio, di iniziativa creatrice, di disposizione a portarsi risolutamente su posizioni nuove, tenendo in poco conto la propria persona.

I casi interessanti sono quelli in cui la gioventù spirituale e quella biologica si incontrano, il che però non avviene sempre ma necessariamente. Inoltre è opportuno distinguere tra una fase più elementare, in cui le qualità ora indicate si manifestano solo in forma spontanea e transitoria, quasi come un fuoco di paglia, e la fase in cui esse sono convalidate e stabilizzate. Della prima forma è il caso di quei giovani che a poco a poco si “normalizzano”, “mettono la testa a posto”, convincendosi che l’ “idealismo” è una cosa, la vita è un’altra, tanto da abdicare a quella volontà per l’incondizionato, la quale così appare aver avuto, in essi, una base prevalentemente fisica e nessuna radice profonda. Il secondo caso si verifica invece quando si abbiano dovute affrontare delle prove, dure prove, e queste le si siano superate senza venir meno all’attitudine originaria.

Tutto ciò vale sia nel dominio della vita interiore che in quello politico. E vedendo così le cose, è data possibilità di superare  delle antitesi artificiali. Rispetto alle generazioni di ieri bisogna tenere presente che anche essa conobbe una “generazione del fronte” e una “generazione bruciata” (questa espressione del resto fu coniata già nel precedente dopoguerra); anche ieri si presentarono condizioni politiche, sociali e morali insopportabili, che destarono appunto una “volontà dell’incondizionato”. E non è detto che tutti coloro che poi vennero al potere rinunciarono a questa volontà e a questa giovinezza, quasi cedendo alla loro primogenitura per un piatto di lenticchie. Ove non è di uomini siffatti che si tratta, ogni insofferenza da parte della nuova generazione “rivoluzionaria” è priva di base, anzi e sospetta. Una comprensione reciproca è possibile. Anzi appare necessaria, a che non si abbiano a ripercorrere strade già battute e ripetere esperienze, per le quali potrebbe bastare la lezione del passato.

Un ultimo rilievo riguarda la vocazione rivoluzionaria di quei giovani, nei quali essa equivale a difendere idee nuove solo perché son nuove, a contrapporsi ed annegare solo perché si ha bisogno del contrasto per sentirsi, per crearsi un valore. Ciò, naturalmente, non è che indice di inferiorità, e si lega, in fondo, ad un malcompreso individualismo, assai diffuso nella nostra nazione. I giovani dovrebbero sentire che vocazione più alta di quella di essere degli innovatori ad ogni costo è l’ambizione e la fierezza di essere gli esponenti di una tradizione, i portatori di una forza trasmessa che va accresciuta e potenziata con tutto ciò che può assicurarle una direzione inflessibile e priva di compromessi in questo mondo di confusione e di rovina. E a tal riguardo, la prova della freschezza interiore non è data dall’attivismo caotico e istintivo, ma piuttosto dalla capacità di intendere e sposare delle idee che sovrastano ogni contingenza per farle valere in uno schieramento che non conosca incrinatura. In un tal schieramento il giovane e non-giovane possono trovarsi fianco a fianco: elemento decisivo e comun denominatore sarà appunto la giovinezza nel suo senso superiore, qui brevemente esposto.



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"In una civiltà tradizionale è quasi inconcepibile che un uomo pretenda di rivendicare la proprietà di una idea e, in ogni caso, in essa chi così facesse, con ciò stesso si priverebbe di ogni credito e di ogni autorità, poiché condannerebbe l’idea a non esser più che una specie di fantasia senza alcuna reale portata. Se una idea è vera, essa appartiene in egual modo a tutti coloro che sono capaci di comprenderla; se è falsa, non c’è da gloriarsi di averla inventata. Una idea vera non può essere «nuova», poiché la verità non è un prodotto dello spirito umano, essa esiste indipendentemente da noi, e noi abbiamo solo da conoscerla. Fuor da tale conoscenza, non può esservi che l’errore" (R. Guénon)

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