Il tema dell’Europa, e di come creare una vera unità europea che non abbia carattere unicamente burocratico-economico, ma salde basi politiche, culturali e soprattutto spirituali, è sempre attuale. Lo è ancor più in tempi come questi, in cui l’Unione Europea mostra sempre più il suo reale volto, quale artificiosa costruzione, a metà tra un Leviatano e un Golem, guidata ed orientata da oligarchie e poteri occulti (e spesso, ormai, neanche più tanto “occulti”, perché non c’è peggior cieco di chi non vuole vedere…) tramite i consueti burattini, gli utili idioti o gli astuti e fedeli servi di turno; un’Europa-colonia, sempre più convintamente parte del “Commonwealth a stelle e strisce” attraverso il vecchio ma sempre efficacissimo strumento della NATO, di cui l’UE sembra sempre di più essere solo un braccio operativo “locale”, un’efficace quanto solerte articolazione territoriale. E ciò sembra emergere sempre più nel coinvolgimento piatto e servile nella guerra in Ucraina, nella rottura dei rapporti economici e non solo con la Russia (onde scongiurare l’avverarsi dell’incubo americano della nascita di un blocco eurasiatico), nelle scelte economico-finanziarie autolesionistiche, nelle prese di posizione nella tragedia della guerra in Palestina, e così via. Un’Europa, inoltre, totalmente aperta ad influssi decadenti e sovversivi a livello sociale, etnico, sessuale, antropologico, religioso, culturale, provenienti ormai da tempo sia dal mondo anglo-americano che dalle proprie regressioni endogene.
L’ultimo numero della Rivista trimestrale “FUOCO – informazione che accende”, una delle più interessanti realtà dell’editoria alternativa, di cui abbiamo già avuto modo di parlare, edita da Cinabro Edizioni, anche in vista delle elezioni europee del 2024, presenta uno Speciale dedicato proprio ad un’analisi a trecentosessanta gradi sull’Europa, incentrato sul volto delle istituzioni dell’UE e sulla riscoperta dei veri temi al centro dell’identità europea, con contributi di Ilaria Bifarini, Marco Rossi, Mario Polia, Enzo Pennetta, Luigi Copertino.
Cogliamo pertanto l’occasione per proporre un ampio estratto da “Gli Uomini e le rovine” di Julius Evola, e precisamente il capitolo XVI, dedicato proprio alle forme ed ai presupposti di un’Unità Europea. Com’è noto, il libro del barone fu pubblicato in prima edizione nel 1953, dopo la tragedia della seconda guerra mondiale ed i tentativi del barone di elaborare dei progetti di salvezza e ricostruzione per la tradizione spirituale europea. Sull’argomento, nel 2017, in occasione delle celebrazioni per i 60 anni del Trattato istitutivo della Comunità Economica Europea (CEE), pubblicammo un articolo di Evola poco conosciuto ma molto importante, “Sui presupposti spirituali e strutturali dell’unità europea”, uscito nel gennaio 1951 sul primo numero della rivista mensile “Europa Nazione” diretta da Filippo Anfuso. L’articolo, di fatto, costituiva sostanzialmente un sunto, una prima stesura ridotta del capitolo di più ampio respiro che poi il barone avrebbe sviluppato e proposto due anni dopo proprio ne “Gli Uomini e le rovine”.
Cominciamo quindi con la prima parte di questo estratto, che suddivideremo in paragrafi per agevolarne la lettura.
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di Julius Evola
Tratto da “Gli Uomini e le rovine” (Capitolo XVI)
Prima parte
1. Premessa
In vari ambienti oggi si fa viva l’esigenza di una unità europea. Bisogna distinguere i casi in cui questa esigenza viene affermata su un piano soltanto materiale e pragmatico da quelli in cui il problema viene posto anche ad un livello più alto, facendo intervenire prima di tutto valori spirituali e tradizionali. Nel caso migliore esigenze nascono da una rivolta interiore contro la situazione esistente, per lo spettacolo di una Europa che, in seguito ad un giuoco di azioni e di reazioni concordati (nel quale si deve riconoscere anche la parte avuta da quella che abbiamo chiamato la “guerra occulta”), da quel soggetto della grande politica mondiale che era, è divenuta un oggetto condizionato da influenze e da interessi stranieri, tanto da doversi destreggiare fra le due maggiori potenze in lotta pel dominio del mondo, l’America e l’URSS, e da dover accettare alla fine la tutela americana e “atlantica” ad evitare il peggio, ossia il completo asservimento al comunismo. e evidente che lo stato di disunione delle nazioni europee non può che mantenere e rafforzare tale situazione.
Tuttavia finora, quanto a iniziative concrete per una unificazione, come è noto, tutto si è ridotto alla creazione del Mercato Comune, della Comunità del Carbone e dell’Acciaio, e simili: iniziative parziali ristrette al semplice piano economico e prive di una controparte politica vincolante. Altrimenti non esiste nulla, e la situazione è tale da non permettere troppe illusioni. Le disastrose conseguenze delle due guerre mondiali, esse stesse effetto, in gran parte, della disunione e dell’accecamento delle nazioni europee, non sono facilmente eliminabili. La misura della libertà concreta, dell’indipendenza e della autonomia è, innanzi tutto la potenza. L’Europa avrebbe potuto essere ancora la terza grande forza nel mondo qualora avesse fatto blocco, mantenendo tutte le immense fonti di materie prime e i vasti mercati extraeuropei, qualora un principio statuito di stretta solidarietà avesse fatto schierare immediatamente e assolutamente tutte le nazioni europee a fianco di quella che fosse stata comunque minacciata. Ma non è stata seguita questa linea che, del resto, ha avuto scarsi antecedenti anche nella storia più recente dell’Europa (prescindendo dunque dal periodo romano e, in parte, da quello del Medioevo ghibellino e dalla Santa Alleanza). E ad una capitolazione ne ha fatto seguito un’altra. Oggi vi è chi ha parlato dell’Europa come di un possibile impero di più di quattrocento milioni di uomini e come tale capaci di far fronte sia agli Stati Uniti, che attualmente ne hanno centosettantanovemila, sia alla URSS, che ne ha duecentoventicinquemila (1). Quella cifra comprende però i paesi, difficilmente recuperabili, di là dalla Cortina di Ferro. Ma anche a limitarsi alla Europa occidentale, essa coi suoi trecentosessantaquattro milioni costituirebbe un blocco sufficientemente forte se non si dovesse considerare anche il potenziale industriale, condizionante quello militare, col conseguente fabbisogno di materie prime per le quali i paesi non europei già in soggezione europea sono andati in gran parte perduti, mentre nelle semplici zone di influenze si esercitano le mene antieuropee americane, russe e ormai perfino cinesi.
Per avviarsi verso una Europa una il primo passo dovrebbe essere l’uscita in blocco di tutte le nazioni europee dall’ONU, da quest’associazione promiscua, bastarda e ipocrita. Imperativo altrettanto ovvio sarebbe l’emanciparsi sotto ogni riguardo e in egual misura dall’America e dall’URSS. Tuttavia ciò richiederebbe un’arte politica sottilissima e prudente per la quale non è per nulla certo che oggi esistono statisti europei qualificati. Infatti un intervallo notevole fra il rigetto della tutela americana e “atlantica”, e l’effettivo costituirsi dell’Europa come un blocco unitario capace di difendersi da solo (ove ciò sia possibile), potrebbe bastare a che una Europa ancora semi-inerme materialmente e spiritualmente cadesse preda del comunismo e dell’URSS, in seguito a rivolgimenti interni e ad aggressioni esterne. Così tutta un’opera di preparazione dovrebbe precedere iniziative del genere (…)
2. Forma e i presupposti spirituali e dottrinali di un’unità europea
Qui possiamo soltanto accennare a ciò che riguarda la forma e i presupposti spirituali e dottrinali di una Europa una. Le situazioni vagamente federalistiche e aggregative non possono che avere un carattere contingente, ed anche l’unità difensiva politica ed economica dovrebbe essere solo una conseguenza. L’unica vera soluzione dovrebbe avere un carattere organico, l’elemento primario dovrebbe essere la forza formatrice dall’interno e dall’altro propria ad una idea e ad una comune tradizione. In alcuni ambienti, è stato difeso invece un punto di vista attivistico e pragmatico, nel quale ci si è riferiti all’idea che le nazioni non sono scese belle e fatte dal cielo, che esse si sono formate in base ad un compito comune impostosi a forze sparse e anche di fronte ad una specie di sfida dell’ambiente ovvero storica. Si pensa che le cose potrebbero andare in egual modo nei riguardi dell’ “Europa nazione” da far nascere, che basti dunque riferirsi ad un mito e all’idea di un comune destino, difesa da uno schieramento europeo rivoluzionario. Questo punto di vista ci sembra insufficiente, ed anche nella interpretazione della genesi delle nazioni storiche non si deve dimenticare ciò che fu essenzialmente dovuto a dinastie rappresentanti una tradizione e al lealismo di un gruppo intorno ad esse (come nella nascita della Prussia). Per la Europa una, questi presupposti sono inesistenti. Ci si può solo riferire alla situazione di necessità, la quale dovrebbe dar luogo ad un impulso unitario, ad uno slancio che – bisogna riconoscerlo – nella storia europea corrispondenti alla guerra dei cento anni, alle guerre di religione, alle guerre di successione e via dicendo fino alle ultime due guerre mondiali.
Vi è poi da rilevare, fra gli europeisti, l’oscillazione fra il concetto d’impero, sia pure preso in un senso approssimativo – espressione usata dal Thiriart e già dal Varange (2) e quello di “Europa Nazione” (titolo, fra l’altro, di una rivista europeista tedesca). Ciò impone una precisazione. Il concetto di nazione non lo si può in nessun modo applicare ad un tipo organico supernazionale di unità. Quando si respinge la formula di una “Europa delle patrie” e di una semplice federazione delle nazioni europee, non si deve cadere in un equivoco. Come in altro capitolo abbiamo indicato, i concetti di patria e nazione (o etnia) appartengono ad un piano essenzialmente naturalistico, “fisico”. In una Europa patrie e nazioni possono sussistere (le comunità etniche sono state rispettate, in parte, perfino nel totalitarismo dell’URSS). Ciò che dovrebbe essere escluso è piuttosto il nazionalismo (con la sua appendice teratologica, l’imperialismo) e lo sciovinismo, ossia ogni assolutizzazione fanatica di una unità particolare. Impero, dunque, e non “Europa Nazione” o “Patria Europea” sarebbe dottrinalmente, il termine giusto.
Si dovrebbe fare appello, negli Europei, ad un sentimento d’ordine superiore, qualitativamente assai diverso da quello a carattere “nazionale” e avente radici in altri strati dell’essere umano. Non ci si può dire “europei” in base ad un sentimento di tipo analogo a quello per cui si sente italiani, prussiani, baschi, finlandesi, scozzesi, ungheresi e via dicendo, e pensare che un unico sentimento di egual natura possa stabilirsi, cancellando e livellando queste differenze e sostituendosi ad esse, in una “nazione Europa”. Ma ove dal semplice termine “impero” non si sia subito portati a pensare ad una fantasia anacronistica e inattuabile, anche a considerare un adattamento del principio ai tempi, con ciò sorgono gravi problemi.
Lo schema di un impero in senso vero e organico (da distinguere nettamente da ogni imperialismo, nel quale, come si è detto, è da vedersi una deprecabile esasperazione del nazionalismo) è quello che, ad esempio, già presentò l’ecumene europeo medievale. Esso riprende l’unità e la molteplicità. I singoli Stati vi hanno il carattere di unità organiche parziali, gravitanti su di un unum quod non est pars (per usare ‘espressione dantesca) cioè su un principio d’unità di autorità e di sovranità di natura diversa da quello che ciascun particolare Stato ha in proprio e può rivendicare. Ma una tale dignità il principio dell’Impero può averla solo trascendendo la sfera politica in senso stretto, fondandosi e legittimandosi con una idea, con una tradizione, con un potere anche spirituale. Le limitazioni della sovranità delle singole unità nazionali di fronte ad un “diritto eminente” dell’Impero hanno per condizione univoca siffatta dignità trascendente dell’Impero stesso, e quanto a struttura, l’insieme si presenterà come un “organismo fatto di organismi” o, se si preferisce, come un federalismo, federalismo organico però, in una certa misura simile a quello realizzato ancor da Bismarck nel secondo Reich tedesco, e non acefalo. I tratti essenziali dell’Impero nel senso vero sono questi.
3. Quali prospettive nell’Europa odierna? Il duplice processo di integrazione ed il problema della base spirituale
Quali sono ora le possibilità, quali le condizioni per la realizzazione di una simile idea nell’Europa di oggi? Evidentemente, occorrerebbe volere e potere andare assolutamente contro corrente. Come si è detto, va messa da parte, l’idea di una “Europa nazione”, quasi che il fine fosse l’amalgamarsi delle singole nazioni europee in una nazione unica, in una specie di promiscua sostanza comunitaria europea cancellando differenze linguistiche, etniche e storiche. Dovendo trattarsi di una unità organica, la premessa sarebbe anzi l’integrazione e il consolidamento di ogni singola nazione come un tutto gerarchicamente le singole nazioni nella salda forma di unità singole, spezzata che sia la hybris nazionalistica, la vichiana “boria delle nazioni”, quasi sempre parallela ad un fatto demagogico e collettivizzante, sarebbe data una direzione virtuale suscettibile a continuarsi di là delle singole aree nazionali ed a condurre verso la superiore unità. Questa, dunque, per la sua natura sopraelevata sarà tale da lasciar ampio spazio alle nazionalità secondo la loro individualità naturale e storica. E’ un ben noto principio della concezione organica che quanto più l’unità superiore è salda e perfetta, tanto più le singole parti sono differenziate e godono di un’autonomia. L’importante è la sinergia, la precisa disponibilità per ogni azione comune.
Ogni unità organica ha in proprio un principio di stabilità. Non può però pensarsi ad una stabilità del tutto ove questa non sia garantita nelle sue stesse parti. Anche da questo punto di vista il presupposto elementare dell’eventuale unità europea appare essere l’integrazione politica delle singole nazioni. L’unità europea sarebbe sempre precaria ove essa da un lato poggiasse su qualche cosa, come un parlamento internazionale privo di una unica superiore autorità, con rappresentanze di singoli regimi politici di tipo democratico, regimi i quali, per esser costantemente e mutevolmente condizionati dal basso, non possono in alcun modo assicurare una continuità di volontà e l’indirizzo politico.
In regime democratico la sovranità dello Stato è effimera, una nazione non presenta una vera unità, è dal mero numero accaparrato ora dall’uno e ora dall’altro partito con le sue manovre nel sistema assurdo del suffragio universale purificato che la volontà politica viene da un giorno all’altro condizionata; i caratteri di un “tutto parziale” organico mancano. Non si tratterebbe di certo di imporre un regime-tipo ad ogni nazione europea; tuttavia, anche se in forme varie adeguate alle condizioni locali, un principio organico e gerarchico, anti-individualistico e antidemocratico dovrebbe esser fatto adeguatamente valere.
Da qui, la condizione preliminare di un lavaggio generale antidemocratico dei cervelli, impresa però che allo stato attuale appare quasi utopistica. Democrazia da un lato, dall’altro un parlamento europeo che riproducesse in grande lo spettacolo desolante e pietoso presentato dai parlamenti democratici europei: tutto ciò coprirebbe di ridicolo l’idea dell’Europa una. In genere, si dovrebbe pensare ad una unità organica che si realizzi attraverso dei vertici, non attraverso le basi. Solo élites delle singole nazioni europee potrebbero intendersi e coordinarsi superando il particolarismo e lo spirito di scisma, facendo valere, con la loro autorità, interessi e motivi più alti. E’ così che in altri tempi erano i Sovrani, i Capi, a fare la grande politica europea ed essi si consideravano quasi come di una stessa famiglia) in parte lo erano di fatto, per via degli apparentamenti dinastici) anche quando gravi contrasti sorgevano momentaneamente fra l’uno e l’altro dei loro popoli.
Un “centro” dovrebbe dunque esistere, ben saldo, in ogni nazione, e per effetto di una sintonia e di una sinergia di tali centri dovrebbe organizzarsi e operare la superiore unità europea. Nel complesso, dovrebbe venire dunque promosso un duplice processo di integrazione: integrazione nazionale, attraverso il riconoscimento di un principio sostanziale di autorità, base per la formazione organica, anti-individualistica e corporativa delle singole forze politiche e sociali nazionali; integrazione supernazionale, europea, attraverso il riconoscimento di un principio di autorità così sopraelevato rispetto a quello proprio alle singole unità, cioè ai singoli Stati, quanto questo lo è rispetto agli individui compresi in ognuna di tali unità. Senza di ciò, di una Europa organicamente una non sarà il caso di parlare.
Ma impostato in tali termini il problema si presentano gravi difficoltà riguardanti la base non semplicemente politica ma spirituale richiesta per questa unità europea. Dove trovare tale base? Sul piano più alto e adeguato, che sarebbe quello religioso, vi è poco da fare. Non ci si può riferire al cattolicesimo, chiedendogli la sanzione e un crisma preciso per un principio sopraelevato di autorità, in primo luogo perché il cattolicesimo è solamente la fede di alcune delle nazioni europee, in secondo luogo per via dello sfaldamento democratico e modernizzante della Chiesa attuale, e di tutto ciò che abbiamo detto nel capitolo X, infine perché bisogna tener presente gli effetti di processi generali e spinti di desacralizzazione e di laicizzazione svoltisi in Europa. Ancor meno si può fare appello ad un cristianesimo generico: ciò sarebbe troppo poco, una cosa troppo svigorita, incorporea e uniforme, del resto non specificamente europea, non monopolizzabile per la sola civiltà europea: cristiani sono gli stessi negri delle due Americhe. In più, vi è da rimandare a quanto abbiamo detto, sempre nel capitolo X, circa la scarsa conciliabilità fra il cristianesimo puro e una “metafisica dello Stato”.
Segue nella seconda parte
Note dell’autore
(1) J.THIRIART, Un Empire de 400 millions d’hommes: l’Europe, Bruxelles 1964. Il libro è anche uscito in una traduzione italiana presso l’editore Volpe.
(2) U. VARANGE, Imperium, Westropa Press, London 1948. Del resto, in questo libro l’“impero” viene scambiato con quei blocchi di potenza a carattere “cesaristico” che lo Spengler aveva preconizzato come fenomeno finale di un periodo di Zivilisation, cioè di un periodo crepuscolare.
Nell’immagine in evidenza, “Il Ratto di Europa” di Carlo Maratta (1680-85)
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