Seconda parte dell’estratto da “Gli Uomini e le rovine” di Julius Evola, e precisamente del capitolo XVI, dedicato alle forme ed ai presupposti di un’Unità Europea. Rimandiamo alla prima parte per ulteriori informazioni ed approfondimento sul tema e sui suoi sviluppi attuali, ricordando come nell’ultimo numero della Rivista trimestrale “FUOCO – informazione che accende”, una delle più interessanti realtà dell’editoria alternativa edita da Cinabro Edizioni, anche in vista delle elezioni europee del 2024, è presente uno Speciale dedicato proprio ad un’analisi a trecentosessanta gradi sull’Europa, incentrato sul volto delle istituzioni dell’UE e sulla riscoperta dei veri temi al centro dell’identità europea, con contributi di Ilaria Bifarini, Marco Rossi, Mario Polia, Enzo Pennetta, Luigi Copertino.
Anche la seconda parte di questo estratto è suddivisa in paragrafi per agevolarne la lettura. Particolarmente attuali e profetiche, in questa seconda parte, sono le considerazioni di Evola sull’assenza di una tradizione e di una “cultura” europea unitaria; sul fatto che le dottrine antitradizionali che hanno minato il vecchio continente siano di fatto endogene, anche laddove si presentino come forze ed ideologie solo apparentemente esogene, ma che sono in realtà effetti “di ritorno”; sull’inesorabilità di un destino passivo, servile, coloniale per l’Europa, in quanto entità non più portatrice di nessuna idea-guida, di fronte agli Stati Uniti d’America o ad altre realtà geopolitiche (all’epoca, quella sovietica). Molto puntuali sono poi le analisi evoliane sulle prospettive, inevitabilmente problematiche, di una rinascita spirituale unitaria dell’Europa.
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di Julius Evola
Tratto da “Gli Uomini e le rovine” (Capitolo XVI)
Segue dalla prima parte
5. Il problema di una Tradizione e di una “cultura” europea
Da questo piano, passiamo ad un piano più basso. Volentieri si parla di “tradizione europea” e di “cultura europea”. Purtroppo qui spesso ci si accontenta di semplici parole. Quanto a “tradizione”, già da tempo la Europa – e l’Occidente – non sa più ciò che essa sia nel suo senso più alto. Si potrebbe dire che la “tradizione” nel senso integrale, noto a chi ci ha seguiti fin qui, e che ben si distingue dal semplice “tradizionalismo”, è una categoria appartenente ad un mondo quasi scomparso, ad epoche in cui un’unica forza formatrice si manifestava sia nel costume che nella fede, sia nel diritto che nelle forme politiche e nella cultura, insomma in ogni dominio dell’esistenza. Nessuno vorrà sostenere che in Europa esista una “tradizione una” in questo senso, che su essa oggi si possa far leva per legittimare l’idea europea – mentre si deve constatare l’inesistenza del centro animatore che dovrebbe esserne l’imprescindibile presupposto. Della “tradizione” in questo senso profondo in Europa attualmente esiste soltanto qualche vestigia storica. Quanto alla “cultura europea”, il rifarsi ad essa attualmente è proprio soprattutto di europeisti da salotto, di intellettuali dilettanti a tendenza liberale e umanista, i quali si danno a disertare sulla “personalità”, la “libertà”, il “mondo libero” ecc. in un tono del tutto conforme al clima sfaldato democratico di dopo la seconda guerra mondiale, civettando con l’UNESCO e con altre squallide organizzazioni.
In genere, non crediamo che qualcosa di serio possa venire nemmeno dal fare incontrare e discutere esponenti della “cultura” di varie nazioni europee. Bisogna tener presente che ciò che oggi s’intende per “cultura” non è che una appendice della civiltà borghese del Terzo Stato, alla quale è stato proprio, altresì, il non scontato mito della cosidetta “aristocrazia del pensiero”, aristocrazia che più o meno è quella del parvenu a orientamento antitradizionale liberale e laico. Per questo, dal nostro punto di vista gli “intellettuali”, europeizzanti o meno, non dovrebbero venire tenuti in maggior conto di quanto il comunismo pur delle origini non lo facesse. L’autorità propria ai depositari e agli esponenti di una idea superiore, non la si può riconoscere in nessun modo agli esponenti della cosidetta “cultura”. Ad un Goethe, ad un von Humboldt e a tutti gli altri esponenti anche della grande cultura si deve tributare un alto riconoscimento, ma pensare che da questo mondo possa venire la forza suscitatrice e animatrice per forze e èlites rivoluzionarie in lotta per l’Europa una, sarebbe assurdo. Tutto ciò può rientrare nel solo dominio di una “rappresentanza” significata quasi da “salotto” europeo, a carattere essenzialmente storico.
D’altronde ogni volta che si esce dalle generalità e si cerca di dare un contenuto concreto e precipuo al concetto di “comune cultura europea”, ci si trova di fronte ad un’ardua impresa. Già il Convegno Volta conosciuto nel periodo precedente dall’Accademia d’Italia proprio sul tema “Europa” invitando noti rappresentanti di diverse nazioni ha mostrato questa difficoltà perché non si giunse a nulla di conclusivo, non si ebbero che tante interpretazioni personali più o meno divergenti. Ma il punto più importante non è questo. Si è che si passa a cuor leggero sul complesso di colpevolezza che dovrebbe gravare sull’Europa, proprio per quel che riguarda la sua “cultura”. A parte quella cultura che ha solamente un carattere periferico letterario e umanistico, privo di relazione con le forze storiche più profonde (in ordine alle quali abbiamo dovuto ricordare che la storia europea ci presenta lo spettacolo assai più frequente di fenomeni di disunione logoratrice che non di unione e di sinergia), come si può ignorare che proprio cultura e civiltà occidentali (il che in gran parte equivale a dire europee) e spirito antitradizionale hanno fatto tutt’uno quasi fin dall’epoca della Rinascenza, che proprio ciò che quasi tutti i difensori liberali e progressisti della cultura, della civiltà e della tradizione europea mettono avanti come titolo di gloria europea, a partire da quel periodo e nell’epoca moderna, ha costituito alla fine il massimo fattore della crisi spirituale della stessa Europa e che l’europeizzazione del mondo ha equivalso alla diffusione di un fermento di decomposizione e di sovvertimento, di suscitamento di forze che poi dovevano rimbalzare contro la Europa?
L’Europa è stato il focolare d’origine dell’illuminismo, del liberalismo, della democrazia (il precedente democratico americano avendo avuto scarsa incidenza pel continente europeo), infine del marxismo e del comunismo. Malauguratamente, nella storia moderna questo è stato il più rilevante apporto della “cultura europea”: quella degli intellettuali, degli umanisti, degli “spiriti elevati”, delle arti e delle lettere non essendo, nel confronto, che cosa pallida e laterale. Purtroppo è in questi termini – quasi nei termini di ciò che gli Orientali chiamerebbero un karma – che vi è pericolo di dover concepire la “comunità di destino” invocata da alcuni europeisti. Nel già menzionato Congresso Volta uno dei contributi validi è stato quello dell’accademico Francesco Coppola il quale parlò appunto del complesso di colpevolezza e della “cattiva coscienza” dell’Europa.
Come pensare ad una base per la difesa dell’Europa contro forze e ideologie da considerarsi a buon diritto barbariche e antieuropee, quando in esse si debbono vedere gli sviluppi estremi e maturati di tendenze e di mali che ebbero il loro focolare d’origine proprio in Europa? Questa è la ragione della scarsa immunità del mondo europeo di fronte alle cosidette attuali “civiltà-guida”, quella americana e quella sovietico-comunista.
6. Quali prospettive per una rinascita europea?
Così il problema del fondamento spirituale per una Europa, organicamente una, resta insoluto e lo slancio eventuale di forze attivistiche e rivoluzionarie nel segno di tale Europa sarebbe privo, per così dire, di sicure retrovie spirituali, lascerebbe dietro di sé un terreno labile e minato, quando non si cominciasse a combattere all’interno, in tutte le loro forme, acute o diluite, i mali che oggi ci appaiono in una grandezza macroscopica, e quasi in una Nemesi, nelle potenze non europee e antieuropee. L’esigenza imprescindibile sarebbe dunque una disintossicazione interna portata avanti il più possibile, quando anche essa fosse da pagare a caro prezzo. Ad esempio, a parte il settore politico ed economico, come disconoscere la misura in cui l’americanizzazione pratica si è diffusa nel costume, nei gusti, nelle infatuazioni delle masse europee? Ciò equivale a dire che il problema dell’atteggiamento europeo dinanzi a quel che, in genere, si può chiamare il mondo moderno va affrontato, affrontato nei termini “reazionari” e rivoluzionario-conservatori, da noi già indicati soprattutto nel primo capitolo. Affermare invece che non si deve chiede ai militanti quale sia “il loro orizzonte ideologico”, che basterà che essi non collaborino con le potenze non europee, che si uniscono per lottare per l’Europa in un “partito comunitario”, accantonando il problema di un’unica precisa visione del mondo, significherebbe mettersi sul piano di un attivismo irrazionale privo di bandiera e di spina dorsale, tale che quand’anche si realizzasse lo scopo pratico, successivamente nel blocco europeo potrebbero riscaturire scismi e antitesi.
In genere, sempre ad ammettere che per questa via si realizzasse l’Europa una, a parte il fatto che la premessa già indicata per una struttura organica e non “comunitaria” sarebbe insistente, questa Europa non sarebbe la portatrice di nessuna idea particolare, si presenterebbe come un altro blocco di potenza a fianco di quelli americano, russo, cinese e eventualmente perfino afro-asiatico: a fianco o in antagonismo con essi, senza nessun fattore differenziatore qualitativo perché nel clima della civiltà “moderna” – sulla responsabilità europea per l’avvento della quale, si è già detto – nessun fattore del genere può essere determinante.
Naturalmente sarebbe utopia pura volersi contrapporre praticamente a tutto quel che è materialmente civiltà moderna; fra l’altro, ciò comporterebbe la rinuncia ai mezzi fattuali necessari oggi per ogni difesa e per ogni attacco. Però si possono sempre fissare una distanza e un limite. Si può circoscrivere ciò che è “moderno” in un dominio materiale e “fisico” ben controllato, nel piano dei semplici mezzi, per sovrapporgli un ordine più alto adeguatamente difeso dove i valori rivoluzionario-conservatori dovrebbero avere un incondizionato riconoscimento; già il Giappone di ieri aveva dimostrato la possibilità e la fecondità di una soluzione del genere. Solo allora l’Europa potrebbe rappresentare qualcosa di diverso, potrebbe distinguersi, rivestire una nuova dignità nell’insieme delle potenze mondiali. Quando si afferma che i popoli europei oggi hanno una cultura comune e che con ciò una delle condizioni per fare di essi una sola nazione sarebbe presente, vi è da rispondere che, a prescindere dal passato e da quanto abbiamo detto poc’anzi, questa cultura ormai è sempre più comune non solo agli Europei ma anche a gran parte del mondo “civilizzato” in genere. Essa non ha frontiere. Contributi europei – con libri, scrittori, artisti, studi, ecc. – sono stati assorbiti dai paesi non-europei, e quelli di paesi non-europei dai paesi europei, e un simile livellamento generale fattuale (che va estendendosi ai modi di vivere e ai gusti) associato a quello propiziato da scienza e tecnica, è stato avanzato come un argomento da coloro che non vogliono una Europa una ma un mondo unificato, in una organizzazione o Stato mondiale supernazionale.
È evidente che solo affrontando il problema anzidetto e dopo avergli dato una seria soluzione l’Europa una potrebbe differenziarsi spiritualmente, essere qualcosa di non mutabile e di diverso, e perfino una guida se tutto il mondo moderno dovesse nel futuro entrare in crisi.
7. Oltre fascismo e antifascismo. Il “reclutamento” di un nuova élite dello spirito
Tornando a problemi meno generali, al principio del presente libro si è detto della necessità di superare il falso dilemma fascismo-antifascismo, binomio nel quale come fascismo viene stupidamente definito tutto ciò che non è democrazia, marxismo e comunismo. Ciò può essere ripetuto anche per quel che riguarda l’idea europea. Non occorre dire che con tutto quel che si riassume nella formula “antifascismo” non possono esservi compromessi o “colloqui”, in nessuna forma. La prima disintossicazione europea dovrebbe aver per oggetto proprio questo “antifascismo”, idea-fissa e già parola d’ordine della “crociata” che ha ridotto l’Europa ad un campo di rovine.
Però non si possono seguire quei gruppi europeizzati i quali sanno solo riferirsi a quanto era stato tentato ieri in Germania e in Italia per la creazione di un ordine nuovo senza tener conto che si trattò di movimenti e di regimi nei quali erano presenti tendenzialità diverse e perfino contrastanti, una loro definizione nel senso giusto, positivo, rivoluzionario-conservatore avendosi potuto avere solamente se le circostanze avessero reso possibile un adeguato, ulteriore sviluppo, stroncato invece dalla poco mediata guerra e dalla successiva disfatta. Così, per lo meno, si dovrebbe procedere ad una precisa discriminazione, quando si volesse trarre punti di riferimento da quei movimenti. A parte le difficoltà dottrinali da noi passate in rassegna, praticamente un’azione europea nel senso integrale trova il maggior ostacolo nella mancanza di qualcosa di esistente da servire da punto di partenza, da saldo appoggio e da centro di cristallizzazione. Ieri si era avuto lo spettacolo mirabile del principio di un esercito europeo supernazionale, col legionarismo di elementi volontari appartenenti a molteplici nazioni consistenti le divisioni che si batterono sul fronte orientale contro i sovietici, ma allora vi era come base il Terzo Reich.
Oggi le uniche iniziative europeistiche concrete, peraltro parziali, dei governi vengono prese sul mero piano economico, senza una qualche controparte ideologica, e ideale impegnativa. Coloro che invece possono essere sensibili alla idea dell’Europa una in un senso superiore sono solamente elementi sparsi, non pure non sostenuti ma spesso combattuti dai regimi dei paesi a cui appartengono – e ancor più essi verrebbero duramente avversati se la loro necessaria professione antidemocratica e antimarxista di fede venisse apertamente dichiarata. In effetti, come si è detto, l’azione europea non può non andar di pari passo con la rinascita e la riorganizzazione conservativo-rivoluzionaria dei singoli paesi europei: ma riconoscere questo, significa anche riconoscere la sconcertante portata del compito che si imporrebbe. Ciò malgrado si potrebbe prospettare l’idea di un Ordine i cui membri agissero nelle singole nazioni facendo quel che è possibile fare, anche in condizioni così sfavorevoli, per l’eventuale unità europea. L’entusiasmo di giovani militanti coi loro sforzi propagandistici è degno di riconoscimento, ma ciò non può bastare. Bisognerebbe disporre di elementi con una particolare qualificazione che, in più, in un modo o nell’altro, occupassero o avessero la prospettiva di occupare posizioni-chiave nelle varie nazioni.
Quali uomini potrebbero entrare in linea di conto? Prendendo la società e la civiltà borghese come punto di riferimento, riteniamo che dovrebbero venire guadagnate alla causa e arruolate persone che spiritualmente si trovano o ancora al di qua di esse, non toccate da esse, o ormai di là da esse.
a) Per spiegarci, un primo gruppo dovrebbe essere formato da appartenenti ad antiche famiglie europee che sono ancora in piedi e che valgono non soltanto pel nome che portano ma anche per quel che sono, per la loro personalità. Riconosciamo che è assai difficile trovare uomini del genere: ma delle eccezioni esistono, e anche nelle ultime vicende nella seconda guerra mondiale e dopo, alcune di queste figure, sono apparse. Talvolta può trattarsi di risvegliare qualcosa che nel sangue non è ancora andato perduto del tutto ma che è soltanto divenuto latente. In questi elementi ci si aspetterebbe particolarmente la presenza di disposizioni congenite, di “razza” (nel senso elitistico e non biologico-razzista del termine) che permettono un agire e un reagire secondo uno stile preciso e sicuro, fuor da teorie e da principi astratti, in aderenza spontanea e completa a quei valori che ogni uomo ben nato considerava ovvi prima delle evasioni e delle prevaricazioni della rivoluzione del Terzo Stato e di quanto ad essa ha fatto sèguito.
b) Per quel che riguarda una seconda e più numerosa schiera per l’Ordine, noi avremmo in vista uomini corrispondenti ad un tipo umano formatosi qua e là attraverso selezioni ed esperienze a carattere soprattutto guerriero, presso a speciali discipline. Essenzialmente a questo tipo è propria la “smitizzazione”: esso sa riconoscere come illusione e ipocrita menzogna tutto il tenace retaggio delle ideologie già usate senza scrupoli come strumenti per abbattere non l’una o l’altra nazione europea ma per dare, attraverso processi concatenati, un colpo mortale alla Europa stessa come un tutto. Da costoro ci si deve attendere l’insofferenza per ogni retorica, l’indifferenza per ogni intellettualismo e per la politica dei politicanti e delle partitocrazie, un realismo di carattere superiore, la propensione ad una impersonalità attiva, la capacità di un impegno preciso e risoluto. Ieri in certe formazioni speciali di èlite di combattenti, oggi fra i paracadutisti e reparti analoghi (paras e simili) certe discipline e certe esperienze propiziano la formazione del tipo in quistione, il quale presenta tratti comuni nelle diverse nazioni. Un ugual modo d’essere fa, dunque, da elemento potenzialmente connettivo, di là dalle nazionalità.
Guadagnando alla causa europea questi elementi si potrebbero costituire, con una “forza a disposizione”, i quadri dell’Ordine nei suoi aspetti più attivi. Se fra questo gruppo e l’altro si stabilissero contatti diretti e integrativi – cosa meno difficile di quanto si potrebbe pensare – sarebbe posta la base fondamentale. Per costoro, in prima linea dovrebbe dunque venire l’idea europea in termini di valori e di visione del mondo, poi l’Ordine, poi la propria nazione, in questa successione.
Naturalmente la figura di un vero capo al centro e al vertice dell’Ordine avrebbe una importanza capitale. Purtroppo una tale figura oggi non esiste: sarebbe pericoloso e inconsiderato riconoscerla nell’uno o nell’altro di coloro che, sia pure con la migliore volontà, con disinteresse e con impegno, si sforzano qua e là di organizzare gruppi europeistici. Vi è chi, circa questo punto, ha fatto notare che agli inizi nessuno avrebbe saputo riconoscere nell’uno o nell’altro uomo che successivamente doveva divenire il capo di grandi movimenti questa sua potenziale qualità. Tuttavia sono evidenti i grandi vantaggi che presenterebbe la presenza fin da principio di un uomo in cui fossero già palesi i titoli di un’autorità e di un prestigio. Non occorre ripetere quale è però la condizione preliminare e generale perché un’azione europea nei termini indicati abbia un qualche risultato: occorrerebbe scalzare la classe politica che nel presente periodo di interregno e di servaggio europeo detiene il potere in quasi tutti i paesi europei; ciò, grazie ad un ridestarsi di strati sufficienti dei loro popoli dallo stato di narcosi e di inebetimento creato metodicamente dalle ideologie politico sociali predominanti.
La difficoltà più grave che incontra la vera idea europea è la crisi profonda del principio di autorità e dell’idea dello Stato. Ad alcuni ciò potrà sembrare un paradosso: perché si pensa che il rafforzamento di quel principio e di quell’idea comporterebbe un particolarismo scismatico, un rigido pluralismo antieuropeo. Abbiamo già detto a quale stregua ciò non sia affatto vero, nel parlare delle “società di uomini” e nel definire il piano sopraelevato rispetto a tutto ciò che è semplice “popolo” e “nazione”, proprio all’idea del vero Stato e della sua autorità. Il puro lealismo politico implica, nel singolo, un certo grado di trascendenza, qualcosa di non naturalistico, una certa disposizione eroica. Non vi è discontinuità ma continuità quando dal piano nazionale si passa a quello supernazionale: la qualità della disposizione necessaria è la stessa – come nelle origini indoeuropee, come nel migliore regime feudale, il pronto unirsi di forze libere, fiere di far parte di un ordine superiore che non le sminuisce ma le integra. Solo il nazionalismo fanatico e lo spappolamento societario e comunitario sono i veri ostacoli.
8) Conclusioni
Riassumendo, nelle menti più consapevoli si fa largo l’idea che, data la situazione attuale, per l’Europa costituire blocco, divenire una, è la condizione imprescindibile per il suo sussistere altrimenti che come una vuota designazione geografica sullo stesso piano materiale fra le potenze che tendono il controllo del mondo. A causa di tutte le ragioni in precedenza indicate questa situazione di necessità fa sorgere, però, un duplice problema interno, se, partendo da essa, si vuol dare all’eventuale Europa una base salda, un senso profondo, un carattere organico: da un lato, si tratta di prendere posizione di fronte a ciò che, in genere, è “civiltà moderna”, con corrispondenti iniziative nel senso di un’opera di disintossicazione spirituale e mentale; dall’altro lato, si tratta del problema di quella specie di “metafisica” con cui può fondarsi oggi un principio sia nazionale, sia supernazionale, europeo, di vera autorità e di legittimità. Il duplice problema può venire tradotto in un duplice imperativo. Resta da vedere quali e quanti uomini sono ancora in piedi, malgrado tutto, fra tante rovine, per intenderlo.
Nell’immagine in evidenza, icona russa raffigurante i Santi Cirillo e Metodio, compatroni d’Europa
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