Con questo articolo iniziamo la pubblicazione di alcuni documenti che consentiranno di ricostruire la vicenda del coinvolgimento di Julius Evola al processo ai F.A.R. (Fasci di Azione Rivoluzionaria) del 1951. Si trattò di un vero e proprio tentativo di processare e condannare un uomo per un reato d’opinione, ipocritamente coperto dietro le ridicole maschere di facciata dell’apologia di fascismo e del tentativo di ricostituzione del partito fascista.
I documenti sono tratti dal quaderno “Autodifesa” edito dalla Fondazione Evola nel 1993, cui abbiamo aggiunto alcune note esplicative.
Come introduzione alla premessa che presentiamo oggi, abbiamo riportato le parole, tratte dal volume “Elogio e difesa di Julius Evola – il barone e i terroristi“ di G. De Turris (Edizioni Mediterranee), con cui Enzo Erra e Pino Rauti ricordarono la condotta distaccata ed impersonale con cui Evola affrontò quella triste vicenda giudiziaria.
***
“Non avemmo contatti con lui durante i mesi della detenzione, e lo vedemmo per la prima volta in Corte d’Assise, quando venne portato in barella nell’aula e deposto al lato del banco degli imputati. Qui ebbi modo finalmente di avvicinarlo e di esprimergli il mio rammarico per avergli provocato quella grave disavventura. Tra i ricordi più nitidi della mia vita, è il tono di estremo e superiore distacco con il quale Evola mi rispose, quasi che la vicenda avesse riguardato altri e non lui. Non pronunciò una sola parola di rimprovero, ed anzi si disse convinto – come poi il dibattimento dimostrò – come tutto fosse nato da una montatura politico-poliziesca. Anche in quella occasione, con le poche parole che poté rivolgermi, tenne tuttavia a ricordarmi come sempre, a voce e negli scritti, ci avesse insegnato a tenerci lontani da ogni forma di violenza, e a spostare le nostre energie sul superiore piano delle idee e dello spirito, su cui le sorti si decidono e le lotte si vincono” (Enzo Erra)
“Ricordo che Evola – riservandosi di dirci tutto del nostro ‘forsennato attivismo spicciolo’ alla prima occasione – prese la cosa con olimpico distacco ed anzi con una sorta di accentuato disdegno aristocratico. ln quell’aula della Corte d`Assise, guardava da dietro il monocolo, provocatoriamente inforcato, la folla di giornalisti, avvocati, la stessa Corte, come un granduca russo avrebbe potuto guardare una folla di straccioni piccolo-borghesi o di scatenati proletari. Noi, che ne temevamo le parole e le folgori, lo guardavamo più che mai affascinati, mentre Carnelutti lo difendeva gratuitamente e coraggiosamente, pronunciando la più bella arringa della sua favolosa carriera forense” (Pino Rauti)
PREMESSA
Nell’aprile del 1951 Julius Evola venne arrestato nella propria abitazione di Corso Vittorio Emanuele da uomini dell’Ufficio Politico della Questura di Roma [1]. L’accusa: essere stato il «maestro», l’«ispiratore», con le sua «nebulose teorie», di un gruppo di giovani, i quali a loro volta erano accusati d’aver dato via a degli organismi di lotta clandestina: il «F.A.R.» (Fasci d’Azione Rivoluzionaria) e la «Legione nera» di orientamento neofascista. Di qui l’imputazione, per tutti, di apologia di fascismo e di aver «tentato di ricostruire il disciolto partito fascista». Quale «padre spirituale di tutti gli imputati», come venne definito dagli inquirenti, rientrava nella logica, dell’intolleranza del sistema gettare in carcere uno studioso, uno scrittore, per di più grande invalido di guerra, il quale di null’altro poteva farsi carico se non dei suoi studi e dei suoi scritti! Ed è assai significativo che nel regime democratico post-bellico Evola sia stato forse il primo in Italia ad essere incarcerato per «reato ideologico». Evola per la verità accettò la inattesa disavventura con estrema indifferenza. Ben altre erano state le esperienze di vita dell’uomo perché la pur dura detenzione nel carcere di Regina Coeli [2] potesse intaccare il suo proprio olimpico distacco!
Anzi, a leggerne l’«autodifesa», si ha la sensazione di una sorta di sua «aria divertita», al cospetto di accusatori tanto faziosi ed in malafede quanto culturalmente sprovveduti. Si tratta comunque di un episodio della vita di Evola che va ricordato, perché contribuisce a darci la imponente figura dell’uomo, ed anche quella, davvero mediocre, dei suoi avversari, che imprigionando lui, hanno creduto di mettere in ceppi al suo pensiero. Il processo ebbe inizio ai primi di ottobre del ’51, dinanzi alla Corte d’Assise di Roma [3]. La difesa di Evola venne assunta dal prof. Francesco Carnelutti, avvocato insigne e uomo di grande carattere, anche se di formazione culturale ed ideologica assai distante da quella evoliana [4]. Nel corso della lettura dell’«autodifesa», quando Evola citò la casa editrice Laterza, Carnelutti esclamò: «Non si pubblica nulla da Laterza che non sia gradito a Croce». E quando Evola afferma che, stando ai termini dell’accusa, avrebbe avuto l’onore di vedere seduto al banco degli imputati persone come Aristotele, Platone, il Dante di «De Monarchia», fino ad un Metternich e ad un Bismarck, Carnelutti interruppe a voce alta: «La polizia è andata in cerca anche di costoro» (risate). «È doloroso che da sei mesi un grande invalido di guerra stia in prigione. In Italia la libertà personale è diventata uno straccio». A Carnelutti sfuggì all’atto dell’arringa, la precisazione di Evola, di non essere stato mai iscritto al Partito Nazionale Fascista. Questa precisazione, probabilmente, fece effetto sui giudici popolari, che dovevano giudicare quel particolare tipo di «reati». Nel corso dell’arringa Carnelutti fece omaggio al Presidente della Corte d’assise (dott. Sciaudone) del volume «Rivolta contro il mondo moderno», ripubblicato in nuova edizione da «Bocca» ed apparso nelle librerie mentre l’autore era in carcere.
Contrariamente a quanto scritto da taluno, il Pubblico Ministero dott. Sangiorgi chiese per Evola la condanna ad otto mesi di reclusione e non l’assoluzione per insufficienza di prove. Il processo si concluse il 20 novembre 1951. Evola fu assolto con formula piena [5].
Note
[1] Altre fonti parlano della fine del maggio 1951, in concomitanza con una sequenza di arresti relativi al processo ai F.A.R.: dapprima l’appartamento di Evola fu piantonato, poi seguì l’arresto (N.d.R.).
[2] Un breve ma incisivo ricordo della detenzione e del processo subito da Evola è contenuto nell’articolo da noi pubblicato “Dalle macerie di Vienna a Regina Coeli” della contessa Amanda Baccelli Rinaldi (N.d.R.).
[3] Pino Rauti (Evola: una guida per domani, in Civiltà, vol. 2, 8-9, 1974) ricordò che Evola venne portato dall’infermeria del carcere di Regina Coeli alla I sezione della Corte d’Assise di Roma su un telo retto da quattro detenuti, per l’occasione trasformati in infermieri, in quanto in tutta la Corte non fu trovata una sedia a rotelle (N.d.R.).
[4] Evola viene difeso gratuitamente, oltre che da Carnelutti, anche dall’ex ministro della Giustizia della R.S.I. Piero Pisenti, come ricordato da Evola stesso ne “Il Cammino del Cinabro” (N.d.R.).
[5] Evola fu effettivamente assolto in primo grado dal reato previsto dall’art 1 della legge 1546/47 (ricostituzione del disciolto partito fascista) per «non aver commesso il fatto» e dal reato di cui all’art 7 della stessa legge (apologia di fascismo, della quale era stato accusato per le sue collaborazioni ai periodici La sfida e Imperium di Enzo Erra e per il suo celebre opuscolo Orientamenti), «perché il fatto non costituisce reato». Tuttavia bisogna ricordare che la Procura di Roma fece ricorso in appello: il nuovo processo si concluse nell’estate del 1954 e la Corte d’appello stavolta condannò Evola per apologia del fascismo, accogliendo le richieste e le motivazioni del Pubblico Ministero Pietro Manca. Evola si salvò da quest’ignobile condanna ideologica grazie all’amnistia che era stata prevista nel D.P.R. 19 dicembre 1953, n. 922, approvato quindi pochi mesi prima della sentenza d’Appello (N.d.R.).
'Evola al processo ai F.A.R.: premessa' has no comments
Vuoi essere il primo a commentare questo articolo?