Video – Evola: dalla trincea a Dada (con un articolo di C.F. Carli “Evola pittore tra Futurismo e Dadaismo”)

Per approfondire meglio gli spunti offerti da questo video, riteniamo utile ripubblicare il seguente articolo a firma di Carlo Fabrizio Carli (ndr)

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Evola pittore tra Futurismo e Dadaismo

di Carlo Fabrizio Carli

Giulio Cesare Evola, che ha sempre dimostrato attitudine per il disegno e che si accinge ad iniziare presso l’Università di Roma gli studi di Ingegneria, che non porterà mai a termine, appena diciassettenne, si accosta al mondo dell’arte d’avanguardia, incuriosito dalle manifestazioni futuriste che, aldilà dei clamori e degli scandali sollevati tra i “benpensanti” di anguste vedute, si concretizzavano a Roma in mostre di respiro perfino internazionale, presso la Galleria Sprovieri. Si aggregò alla pattuglia di giovani artisti – Prampolini, Depero, Marchi, i due fratelli Ginanni Corradini – che s’incontravano nello studio di Giacomo Balla. Di quest’ultimo, figura centrale della vita artistica romana nel primo quarto del secolo, Evola fu, come ha scritto Crispolti, “praticamente allievo” [1].

Julius Evola- Five o' clock tea

Julius Evola- Five o’ clock tea

Quanti hanno letto l’autobiografia intellettuale evoliana, Il cammino del cinabro, sanno come il futuro autore di Rivolta contro il mondo moderno prendesse presto le distanze dal movimento marinettiano, da cui l’allontanavano lo stile comportamentale (“In esso mi infastidiva il sensualismo, la mancanza di interiorità, tutto il lato chiassoso ed esibizionistico, una grezza esaltazione della vita e dell’istinto curiosamente mescolata con quella del macchinismo e di una specie di americanismo, mentre, per un altro verso, ci si dava a forme sciovinistiche di nazionalismo”) [2],e soprattutto, appunto, l’acceso piglio interventista contro gli Imperi Centrali che, nonostante l’età giovanissima e la generalizzata infatuazione nazionalistica del tempo, Evola avvertiva come l’antemurale della vecchia Europa, delle sue tradizioni, del suo primato mondiale (Evola rammenta come Marinetti, avendo letto un articolo del giovane amico in cui erano esposte più o meno queste idee, gli replicasse: “Le tue idee sono lontane dalle mie più di quelle di un esquimese”). [3]

Eppure, in un primo periodo, circoscrivibile al quadriennio 1915-1918, Evola fu fortemente influenzato dal dinamismo plastico futurista e, in modo particolare, dalla ricerca di Balla, non senza suggestioni di spiritualismo orfico, destinate ad avere in lui successivamente una decantazione in chiave alchemico-magica. Appartengono a questo primo periodo futurista (da Evola stesso definito dell’“Idealismo sensoriale”) opere come il celebre, e splendido nella sua cromia vivacissima, Mazzo di fiori e, sempre stilisticamente assai coerenti, Feste, Fucina – studio di rumori, Five o’ clock tea, Sequenza dinamica, Truppe di rincalzo sotto la pioggia (davvero uno straordinario acquerello, quest’ultimo).

Se possibile, ancor più originale e significativa si configura la seconda fase della pittura evoliana, che lo stesso artista definì dell’“Astrattismo mistico”, e che copre il triennio 1918-1921. Scompare adesso ogni referente figurale e, si comprende meglio, a questo punto, l’importanza di Balla che, in pratica, aveva introdotto nel repertorio pittorico futurista, che era sostanzialmente figurale e che tale rimane anche nel dopoguerra – basti pensare all’aeropittura – la dimensione astratta, suscitando la diffidenza di Boccioni. È, per Evola, il tempo della partecipazione al Dadaismo, di cui egli può essere oggi considerato il maggior esponente italiano; periodo in cui si delineano affinità con l’impianto del costruttivismo purista e dove appare tutto un elaborato repertorio di forme astratte, dalla chiara allusività simbolica, restando sempre marcato il cromatismo, come nel periodo futurista. Ma non si possono altresì, negare neppure suggestioni della Secessione viennese, ravvisabili nell’uso di vernici metalliche, soprattutto argentate.

Julius Evola- Paesaggio interiore, apertura del diaframma

Julius Evola- Paesaggio interiore, apertura del diaframma

Occorre tener presente che la linea di discrimine tra i due momenti della pittura evoliana non è nettamente tracciabile: per l’artista dovette infatti trattarsi di un periodo di concitato apprendistato tecnico e intellettuale; ed anzi sorprendono il livello qualitativo (nei momenti di vertice, realmente eccezionale) e la rapidità di maturazione del giovanissimo artista, rivelati dai dipinti giunti fino a noi. Che sono – prescindendo dalle tarde repliche degli anni Sessanta e dai pochi dipinti di nuova ideazione, eseguiti negli anni Sessanta e Settanta – una quarantina. Molto dovette andar smarrito, specie tra prove e tentativi; e qualcosa deve, con ogni probabilità, essere ancora rintracciato. La fase dadaista si articola in un ristretto repertorio tematico, i Paesaggi interiori, le Astrazioni, le Composizioni e i Paesaggi dada, ed indica una sorprendente sintonia col più avanzato quadro internazionale, nonché l’assunzione di coordinate dell’Avanguardia mitteleuropea che rinviano alle ricerche coeve di Schad e di Arp, di Richter e di Itten. Sappiamo che Evola entrò in contatto con il gruppo dadaista zurighese già nel 1918, e che fu in corrispondenza almeno con Tzara, Arp, Schad. Purtroppo l’archivio evoliano è andato quasi completamente disperso; di sicuro esistono le importanti missive di Evola nell’archivio Tzara a Parigi, pubblicate qualche anno addietro da Elisabetta Valento, seppure nella sola traduzione italiana[4] .Altri documenti dadaisti evoliani erano conservati nell’archivio di Hans Richter, poi riversati in archivi pubblici tedeschi.

Cronache giornalistiche del tempo e qualche catalogo, divenuto nel tempo prezioso cimelio, c’informano dell’attività espositiva di Evola che, nei pochi anni in cui questi si dedicò alla pittura, fu tutt’altro che clandestina e marginale: una personale da Bragaglia, a Roma, nel 1920: un’altra a Berlino, l’anno seguente, nella celeberrima galleria “Der Sturm” di Erwart Walden; sempre nel 1921, un “trittico” dadaista, con Fiozzi e Cantarelli, da Bragaglia; nonché la partecipazione alle tre grandi collettive, quella futurista del 1919 a Palazzo Cova a Milano, la mostra internazionale d’arte d’avanguardia a Ginevra (1920-1921), e il “Salon Dada” a Parigi (1922). Senza, d’altronde, dimenticare il grande murale di cinque metri per tre, con cui Evola aveva collaborato alla decorazione del cabaret “Grotte dell’ Augusteo” (1921). L’attività pittorica non esaurì l’impegno evoliano in campo dadaista e, in senso più lato dell’avanguardia. La collaborazione alle riviste “Bleu” e “Noi“, le plaquettes poetiche Raâga-Blanda e La parole obscure du paysage interieur, il lucidissimo saggio Arte astratta, articoli e conferenze integrano ed introducono i quadri. [5]

Julius Evola- Nudo di donna afroditica

Julius Evola- Nudo di donna afroditica

Benché Evola si collocasse in un ideale filone “costruttivo” del Dadaismo, evitandone quindi il versante eversivo e nichilista, egli aveva però chiarissimo il significato ultimativo del movimento fondato da Tzara. Al punto da rendere di ardua comprensione la conciliabilità in una sola persona, seppure sulla base di un complesso itinerario intellettuale, di colui che teorizza l’azzeramento dell’espressione estetica, e del celebre interprete dei valori della Tradizione. Fatto sta che, nel 1921, Evola decise di dare irrevocabilmente l’addio a pennelli e tavolozza; alla pittura sarebbe tornato episodicamente nel corso degli anni Sessanta, eseguendo delle repliche, anche teoricamente stanche, delle antiche opere: l’ interruzione dell’ attività pittorica riuscì, in effetti, sostanziale. Probabilmente fu questo l’esito coerente dello stesso Dadaismo, votato all’autodissoluzione: “le vrai dada est contre dada“. Resta il fatto che Julius Evola abbandonò, per intraprendere studi diversi e diverse esperienze esistenziali, ricerche ed approdi su cui altri di meno adamantina ed esigente attitudine intellettuale avrebbe tranquillamente vissuto di rendita per vent’anni. Non è forse inutile rammentare come l’abbandono evoliano precedesse di quattro anni la defezione da Dada – essa pure carica di significati programmatici – attuata nel 1925 da Marcel Duchamp. Da parte sua, Evola non ha incertezze a separarsi in modo reciso, ed anzi a contrapporvisi frontalmente, dalla maggioranza del gruppo dadaista (Breton, Aragon, più tardi lo stesso Tzara), trasbordata all’avventura surrealista, con l’esaltazione dell’inconscio freudiano, dell’istintualità subrazionale, perfino della dissociazione schizofrenica, cui farà riscontro – sul versante politico – una dichiarata militanza comunista.

Completamente diversa la posizione di Evola, che guardava con interesse alla radicalità dell’azzeramento dadaista, non come ad un approdo nichilista, ma come ad uno strumento con cui combattere il materialismo sazio e soddisfatto della mentalità borghese, per poter incidere in qualche modo sulla decadenza spirituale insita nei percorsi della modernità.

 

[1]  Enrico Crispolti, Giulio Evola, cit

[2] Julius Evola, Il cammino del cinabro, Scheiwiller, Milano 1972², pag. 17

[3] Julius Evola, Il cammino del cinabro, cit, p. 18

[4] Lettere di Julius Evola a Tristan Tzara (1919-1923), a cura di E. Valento, “Quaderni di testi evoliani”, n. 25, Fondazione Julius Evola, Roma 1991

[5] Julius Evola, Scritti sull’arte d’avanguardia, a cura di E. Valento, Fondazione Julius Evola, Roma 1994. Il volume raccoglie gran parte degli scritti evoliani sul tema.


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"In una civiltà tradizionale è quasi inconcepibile che un uomo pretenda di rivendicare la proprietà di una idea e, in ogni caso, in essa chi così facesse, con ciò stesso si priverebbe di ogni credito e di ogni autorità, poiché condannerebbe l’idea a non esser più che una specie di fantasia senza alcuna reale portata. Se una idea è vera, essa appartiene in egual modo a tutti coloro che sono capaci di comprenderla; se è falsa, non c’è da gloriarsi di averla inventata. Una idea vera non può essere «nuova», poiché la verità non è un prodotto dello spirito umano, essa esiste indipendentemente da noi, e noi abbiamo solo da conoscerla. Fuor da tale conoscenza, non può esservi che l’errore" (R. Guénon)

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