Pubblichiamo l’intervento di Claudio Mutti al 1° convegno organizzato da RigenerAzione Evola “Ripartire da Evola. La militanza contro l’accademia”.
L’intervento di Mutti tratta del rapporto di Julius Evola con il movimento legionario di C.Z. Codreanu ed altri rappresentanti della cultura legionaria di quel tempo, come Mircea Eliade.
Data la lunghezza del testo, abbiamo deciso di pubblicarlo in diverse puntate, fra loro collegate. Buona lettura!
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L’incontro di Evola con Codreanu
Nel 1992, due anni prima di morire, la vedova di Corneliu Zelea Codreanu, Elena Ilinoiu, mi raccontò un curioso episodio.
Poco prima dell’arresto definitivo di Codreanu (che ebbe luogo nella notte tra il 16 e il 17 aprile del 1938) due o tre italiani erano venuti a Bucarest e si erano presentati alla Casa Verde, la sede del Movimento legionario,
Era un mercoledì o un venerdì, uno dei due giorni della settimana in cui i legionari erano soliti osservare il cosiddetto “digiuno nero”, cioè la totale astinenza dal cibo, dalla bevanda e dal fumo dall’alba fino al tramonto; o forse era un martedì, altra giornata che Codreanu consacrava spesso al digiuno.
Il Capitano comunque stava digiunando e intrattenne nel proprio ufficio i visitatori giunti dall’Italia, finché, nell’imminenza del tramonto, disse a sua moglie di apparecchiare la tavola. Gli italiani avrebbero cenato alla sua mensa.
“Ma Corneliu, caro, io non sapevo che avremmo avuto ospiti a cena e ho soltanto il piatto di fagiolini con cui tu interromperai il digiuno!” – protestò lei spaventata.
“Non importa, – obiettò il Capitano – quello che mangio io lo mangeranno anche loro”.
E così i convitati cenarono spartendosi di buon grado i fagiolini cucinati dalla moglie di Codreanu.
“Quegli italiani – mi raccontava la vedova del Capitano rievocando divertita l’episodio – non cessavano di manifestare il loro entusiasmo per il cibo e di fare i complimenti alla cuoca!”
Incrociando tutta una serie di dati, sono giunto a ritenere che questo episodio dovrebbe risalire al marzo 1938, quando Julius Evola fu a Bucarest, e che tra gl’italiani che condivisero quella parca cena con Codreanu potesse esservi anche lui.
Mircea Eliade, che fu uno dei tramiti del contatto di Evola con Codreanu, trentasei anni più tardi, in occasione della morte di Evola, rievocò nelle pagine del suo Diario il colloquio che lo scrittore italiano ebbe col Capitano del Movimento legionario.
“Evola – leggiamo nel Diario di Eliade – aveva avuto l’occasione di intrattenersi con Codreanu, e questo incontro lo aveva colpito molto. Siccome Evola lo aveva interrogato circa la tattica politica che egli contava di porre in atto e circa le possibilità della Legione alle prossime elezioni, Codreanu gli aveva parlato degli effetti dell’incarcerazione sull’individuo, dell’ascesi che essa suscita, delle virtù contemplative che vi si possono manifestare, in una solitudine, un silenzio e un’oscurità che sono altrettanti mezzi con cui l’individuo si rivela a se stesso. Evola ne era ancora abbagliato. Mi ricordo vagamente delle considerazioni che egli allora fece sulla scomparsa delle discipline contemplative nella lotta politica in Occidente”1.
Questa testimonianza di Eliade fu anticipata da quella del militante legionario Vasile Posteucă. “Non posso qui trascrivere per esteso – scrive Posteucă – le cose che mi ha riferite Mircea Eliade (forse le scriverà lui da qualche parte), ma mi limiterò a sottolineare che, dopo un colloquio di dieci o dodici ore, Evola ritornò totalmente conquistato dalla forza spirituale del Capitano, dalla nobiltà della fede e delle idee che lo spingevano alla lotta (…) Si erano immersi negli argomenti della via interiore, della mistica, della dottrina cristiana. Col trascorrere delle ore, l’ospite dimenticò la voglia di fumare e la fame”2.
L’ascesi secondo Evola
Evola individuò l’aspetto fondamentale del Movimento legionario nel suo carattere ascetico. Legionarismo ascetico e Nazionalismo e ascesi sono i titoli eloquenti di due tra i molti articoli in cui egli fece il resoconto dell’esperienza vissuta in Romania nel marzo 1938.
Il concetto di ascesi, che nel 1943 verrà più ampiamente trattato nel capitolo iniziale della Dottrina del Risveglio, intitolato appunto Sulle varietà dell’’ascesi’, ricorre già nella parte della produzione evoliana che precede l’incontro con Codreanu. Ma che cosa significava ascesi per Julius Evola?
Nella Tradizione ermetica (che è del 1931) Evola aveva intitolato L’ascesi ermetica il paragrafo in cui vengono indicate le condizioni che l’alchimista deve realizzare attraverso un’azione preliminare condotta su se stesso: “la purità sia del cuore che del corpo, la drittura, il disinteresse, l’assenza di avidità, di invidia e di egoismo”3. Secondo l’interpretazione evoliana dei testi alchemici, l’ascesi ermetica consiste nell’eliminazione delle parti combustibili e terrose. “Si tratta – scrive Evola – degli elementi istintivi ed impulsivi della personalità: dell’animosità, dell’irascibilità, del fuoco passionale – tutte forme di Solfo volgare e impuro determinatesi in relazione alla natura corporea”4.
In Rivolta contro il mondo moderno (apparso nel 1934), riferendosi all’ordinamento tradizionale della società indiana, Evola aveva definito l’asceta come colui che si indirizza verso il principio sciogliendosi dalle forme, ma in un senso diametralmente opposto al paria, ossia percorrendo una via che sta al di sopra delle caste, non al di sotto di esse. L’ascesi, aveva scritto Evola, si presenta secondo le due distinte modalità della contemplazione e dell’azione: “Azione e conoscenza sono due facoltà fondamentali dell’uomo: e nell’ordine sia dell’una che dell’altra è possibile una integrazione, la quale vi rimuova il limite umano”5.
Come esempi di ascesi contemplativa, Evola aveva citato il buddhismo delle origini, il neoplatonismo e la cosiddetta mistica tedesca. Per quanto invece concerne l’ascesi dell’azione, Evola l’aveva definita come un processo “volto a destare le forze più profonde dell’entità umana e a portarle a superare sé stesse, a far sì che, in una intensità-limite, dalla vita stessa si liberi l’àpice della supervita”6.
Questo tipo di ascesi lo troviamo illustrato nel capitolo di Rivolta intitolato La grande e la piccola guerra santa, il cui argomento trova un ulteriore sviluppo nella conferenza tenuta da Evola in lingua tedesca il 7 dicembre 1940 nella sezione di Scienza della Civiltà del Kaiser Wilhelm Institut, a Palazzo Zuccari in Roma. Qui Evola dice: “Es soll nicht erstaunen, wenn wir uns vor allem auf die islamische Tradition beziehen. Die islamische Tradition steht hier am Platze der arisch-iranischen. Die Idee des ‘heiligen Kampfes’ (…) hatte also gleichsam die Bedeutung der späteren Renaissance eines altarischen Erbgutes und kann unter diesem Gesichtpunkt ohne weiteres verwendet werden”7. Ossia: “Non deve meravigliare se noi faremo riferimento soprattutto alla tradizione islamica. La tradizione islamica sta qui al posto della ario-iranica. L’idea di ‘guerra santa’ (…) aveva, quindi, allo stesso tempo, il significato di tardo rinascimento di una eredità aria primordiale e, da questo punto di vista, essa può essere senz’altro utilizzata”8.
La dualità di grande e piccola guerra santa, che Evola desume dichiaratamente dalla tradizione islamica (attraverso la mediazione guénoniana costituita dal capitolo del Symbolisme de la Croix intitolato La guerre et la paix), acquista nel discorso evoliano un valore paradigmatico.
A questa dottrina, infatti, Evola affida il compito di rappresentare la concezione tradizionale attinente all’esperienza guerriera e, in senso più ampio, all’azione intesa come via di realizzazione spirituale. Gl’insegnamenti riguardanti l’azione guerriera che si ritrovano in ambiti tradizionali diversi vengono dunque considerati da Evola alla luce della loro convergenza con la dottrina della “guerra santa” e vengono esposti mediante il ricorso ad una nozione che è, pure essa, di derivazione islamica: la nozione della “Via di Dio” (sabîl Allâh è la corrispondente espressione coranica).
La formula di cui Evola si serve per riferirsi a questa dottrina trae origine, come è noto, da un hadîth del Profeta Muhammad, il quale, al ritorno da una campagna militare, disse: “Raja’nâ min al-jihâd al-açghar ilâ ‘l-jihâd al-akbar” Cioè: “Siamo tornati dallo sforzo minore allo sforzo maggiore”. (“Sforzo” è il significato letterale del termine jihâd, che viene comunemente reso con “guerra santa”).
Evola commenta questo hadîth nel modo seguente: “Nella tradizione islamica vengono distinte due guerre sante: l’una è la ‘grande guerra santa’ – al-jihâdul akbar – l’altra la ‘piccola guerra santa’ – al-jihâdul açghar (…) La grande guerra è di ordine interno e spirituale; l’altra è la guerra materiale, quella che si combatte all’esterno contro un popolo nemico (…) Tuttavia la ‘grande guerra santa’ sta alla ‘piccola guerra santa’ come l’anima sta al corpo; ed è fondamentale per la comprensione della ascesi eroica o ‘via dell’azione’ intendere la situazione nella quale le due cose divengono una sola, la ‘piccola guerra santa’ facendosi il mezzo grazie al quale si attua una ‘grande guerra santa’ e viceversa: la ‘piccola guerra santa’ – quella esteriore – divenendo quasi un’azione rituale che esprime e testimonia la realtà della prima. In effetti, in origine l’Islam ortodosso concepì un’unica forma di ascesi: quella legantesi appunto al jihâd, alla ‘guerra santa’. La ‘grande guerra santa’ è la lotta dell’uomo contro i nemici che egli porta in sé. Più esattamente, è la lotta del principio più alto dell’uomo contro tutto quel che in lui vi è di soltanto umano, contro la sua natura inferiore e ciò che è impulso disordinato e attaccamento materiale”9.
Questa visione trova perfetto riscontro nell’affermazione di Codreanu secondo cui la condizione imprescindibile di un’etica eroica consiste nel combattere il male che è dentro di noi. Un legionario, Dumitru Leontieş, mi disse che in una certa occasione il Capitano aveva dichiarato che la lotta contro l’ebraismo quale forza sovversiva doveva essere accompagnata dalla lotta contro un nemico più temibile: “l’ebreo che si trova dentro di noi” (jidanul din noi). Lo stesso Leontieş, che fu uno dei più significativi esponenti della poesia legionaria, traspose questo concetto in un suo verso: “Affronterem le belve entro di noi” (“Ne-om bate cu jivinele din noi”)9bis. Un concetto analogo viene espresso da Codreanu nella pagina del Diario dal carcere in cui egli fa un’esplicita distinzione fra “le vittorie sugli uomini” e “le vittorie sul diavolo e sui peccati”10.
Sono concetti che illustrano in maniera inequivocabile quella che potremmo chiamare, usando i termini evoliani, la dottrina legionaria di lotta e vittoria. D’altronde è lo stesso Evola a scrivere, nell’articolo Legionarismo ascetico: “Vi sono da un lato coloro che conoscono solo la ‘vita’ e che quindi non cercano che la prosperità, il benessere, l’opulenza; dall’altro lato vi sono coloro che aspirano a qualcosa più che la vita, alla gloria e alla vittoria in una lotta interiore quanto esteriore”11.
(segue nella seconda parte)
Note
- M. Eliade, Fragments d’un journal II. 1970-1978, Paris 1981, p. 193.
- V. Posteucă, Desgroparea Căpitanului, Madrid 1977, pp. 35-36.
- J. Evola, La tradizione ermetica, Roma 1996, p. 126.
- J. Evola, La tradizione ermetica, cit., p. 128.
- J. Evola, Rivolta contro il mondo moderno, Roma 1998, p.156.
- J. Evola, Rivolta contro il mondo moderno, cit., p. 160.
- J. Evola, Die arische Lehre von Kampf und Sieg, Wien 1941, p. 14.
- J. Evola, La dottrina aria di lotta e vittoria, Padova s. d. [ma: 1968], p. 15.
- J. Evola, Rivolta contro il mondo moderno, cit., pp. 162-163.
9bis. D. Leontieş, La răscrucea neamului, München 1974, p.18.
- C. Codreanu, Diario dal carcere, Padova 1982, p. 54.
- J. Evola, Legionarismo ascetico. Colloquio col capo delle “Guardie di Ferro”, “Il Regime Fascista”, 22 marzo 1938.
'[Interventi convegno “Ripartire da Evola”] C. Mutti “Evola e l’ascetismo eroico” – parte 1' 1 Commento
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