Evola e l’Islam (parte 3)

(segue dalla seconda parte)

di Claudio Mutti

Com’è noto, gran parte dell’opera di Evola si fonda su certi insegnamenti tradizionali divenuti per lo più accessibili in seguito all’esposizione fattane da René Guénon; Evola si è dunque basato in larga misura sull’opera di quest’ultimo, riprendendo concetti che ivi erano stati espressi e adattandoli spesso alla propria “equazione personale”. Ora, data l’appartenenza di Guénon all’Islam e data la derivazione islamica di alcuni fondamentali insegnamenti contenuti nell’opera di Guénon, non sarà fuor di luogo considerare ciò che Evola ha scritto circa l’integrazione di Guénon nella tradizione islamica:

guenon evola lettre correspondance

L’incontro con Renè Guènon fu decisivo nella maturazione del pensiero di Evola, pur rimanendo alcune differenze di vedute, legate però alla diversa funzione ed alla differente “equazione personale” dei due.

Il Guénon era convinto del sussistere, in Oriente, malgrado tutto, di gruppi tuttora depositari della Tradizione. Praticamente egli ebbe rapporti diretti propriamente col mondo islamico, dove vene iniziatiche (sufi e ismaelite) esistono tuttora accanto alla tradizione esoterica (cioè religiosa). Ed egli si “islamizzò” ad oltranza. Stabilitosi in Egitto, aveva ricevuto il nome di sheikh Abdel Wahîd Yasha (sic, n.d.r.) ed anche la cittadinanza egiziana. In seconde nozze, sposò un’araba. (45)
Nel caso del Guénon, quel collegamento (iniziatici, n.d.r.) deve essersi principalmente realizzato – come abbiamo detto – con “catene” islamiche. Ma a chi non se la sente di rimettersi a musulmani e ad Orientali, il Guénon offre assai poco. (46)

Il “caso di Guénon” ha dunque costretto Evola ad ammettere che anche oggi esistono, nonostante tutto, le possibilità per un ricollegamento iniziatici; solo, nelle condizioni attuali la scelta dell’Islam risulta praticamente obbligata.

Una tale conclusione riprende queste precedenti considerazioni:

Si potrebbe aggiungere una testimonianza islamica che è data dalla corrente iniziatica ismaelita e in particolare da quella dei cosiddetti Duodecimani. La corrispondente veduta è che l’Imam, il capo supremo dell’Ordine, manifestazione di un potere dall’alto e principio anche delle iniziazioni, si sia parimenti “ritirato”. Si attende bensì che egli si rimanifesti, ma l’epoca attuale sarebbe quella di una “assenza”.
Tuttavia ciò, a nostro parere, non implica che centri iniziatici in senso stretto siano ormai inesistenti. Senza dubbio, ne esistono ancora, anche se a tale riguardo l’Occidente entra scarsamente in questione e bisogna riferirsi ad altre aree, al mondo islamico e all’Oriente. (47)

Potremmo qui rilevare che Evola ha probabilmente scambiato la Scia duodecimana per una diramazione particolare del movimento ismaelita, e una svista del genere sarebbe veramente eccessiva, anche se commessa da una persona non “addetta ai lavori”; parimenti, Evola sembra credere che l’Imam sia “il capo supremo dell’Ordine” tanto nella prospettiva degli Ismaeliti quanto in quella dei “cosiddetti Duodecimani” – e anche questa sarebbe una inesattezza considerevole, perché per la Scia duodecimana l’Imam, in quanto successore del Profeta, è “capo supremo” non solo di un Ordine, ma di tutta quanta la comunità.

Ma non è questo che deve interessare. L’importante è, invece, che secondo Evola un ricollegamento iniziatici nell’epoca attuale è ancora possibile, purché ci si rivolga “al mondo islamico e all’Oriente”.
Un problema introdotto da Evola in questo contesto concerne il rapporto fra i centri iniziatici e il corso della storia umana e viene così formulato:

il corso della storia ultima (…) ha, in genere, un carattere assolutamenteinvolutivo e dissolutivo. Ora, di fronte alle forze che sono in opera in questi sviluppi, quale è la posizione dei centri iniziatici? (48)

Il problema ovviamente coinvolge anche l’Islam:

Ad esempio, nel caso dell’Islam sono certamente esistenti centri iniziatici (sufi), ma la loro presenza non ha affatto impedito l’”evolversi” dei paesi arabi nel senso antitradizionale, progressista e modernista, con tutte le inevitabili conseguenze. (49)

Titus Burckhardt (Ibrahim Izz al-Din dopo la conversione all'Islam)

Titus Burckhardt (Ibrahim Izz al-Din dopo la conversione all’Islam)

Tale questione era stata posta da Evola nel quadro di uno “scambio d’idee con Titus Burckhardt” (50), noto studioso svizzero ricollegato all’esoterismo islamico e residente in un paese musulmano, il quale, con conoscenza di causa, gli “aveva fatto rilevare il sussistere di possibilità del genere (cioè di un ricollegamento iniziatici, n.d.r.) in aree non europee” (51). Non sappiamo se e come lo studioso svizzero abbia replicato alle obiezioni di Evola; da parte nostra, comunque, potremmo far innanzitutto notare che “i paesi arabi” costituiscono sotto il profilo demografico soltanto la quinta parte di tutto il mondo musulmano, sicché non è corretto far coincidere il loro “evolversi” con lo sviluppo della situazione generale dell’ummah islamica; in secondo luogo – e ciò possiamo forse osservarlo meglio oggi che non al tempo di Evola – anche all’interno di alcuni paesi arabi è in atto un “risveglio dell’Islam” che sembrerebbe annunciare un’inversione di tendenza; infine, quand’anche i “centri iniziatici (sufi)” non ostacolassero, con la loro azione, il processo generale di involuzione, non sarebbe tuttavia lecito affermare che la loro funzione è illusoria (52).

Infatti il ricollegamento ai centri iniziatici – dai quali procede ogni trasmissione regolare delle influenze spirituali – costituisce l’unica soluzione possibile per coloro i quali intendano reagire alla tendenza discendente del mondo moderno: tendenza inesorabile, perché soggetta alle rigorose leggi cicliche che governano la manifestazione. È proprio il ricollegamento ad un centro iniziatico – e, mediante esso, al centro supremo – ad assicurare la continuità della trasmissione delle influenze spirituali per tutta la durata del presente ciclo d’umanità e quindi a consentire la partecipazione allo Spirito fino alla chiusura del ciclo. In questa prospettiva, è proprio il processo involutivo a rivelarsi illusorio: esso infatti concerne unicamente la manifestazione, la quale, dato il suo fondamentale carattere contingente, è rigorosamente nulla in rapporto all’Assoluto.

Alcuni esponenti di quella varietà umana che qualcuno ha chiamato “evolomane”, presi da una foga polemica degna di miglior causa, hanno citato, come rappresentative della posizione evoliana rispetto all’Islam, queste parole:
lo stesso cattolicesimo (…) è una dottrina inconsciamente tragica, una dottrina quasi diremmo da disperati (il protestantesimo e l’islamismo lo sono ancora di più). (53)

A onor del vero bisogna dire che questo brano, estratto dall’edizione del 1949 di Maschera e volto dello spiritualismo contemporaneo, venne eliminato dalla successiva edizione del 1971: evidentemente l’Autore si era reso conto che la frase non corrispondeva al suo pensiero. Sicuramente la frase non corrispondeva all’opinione evoliana dell’Islam.
Infatti, come si è potuto dedurre dai passi riportati più sopra, Evola traccia un quadro della tradizione islamica che, se è talvolta inesatto in qualche particolare ed è spesso condizionato da una prospettiva piuttosto personale, costituisce tuttavia una rappresentazione ispirata al riconoscimento di ciò che è essenzialmente l’Islam: una manifestazione dello spirito tradizionale da cui non può prescindere la “rivolta contro il mondo moderno”.

(segue nella quarta parte)

Note

(45)J. Evola, René Guénon e il “Tradizionalismo integrale”, “La Destra”, a. III, n. 4, aprile 1973, p. 22.

(46)J. Evola, Ricognizioni. Uomini e problemi, cit., p. 212.

(47)J. Evola, I centri iniziatici e la storia, “Vie della Tradizione”, a. I, n. 3, luglio-settembre 1971, p. 120; inserito come cap. XVII nella seconda edizione di L’arco e la clava, Milano 1971, pp. 227-228.

(48)J. Evola, L’arco e la clava, sec. ed., p. 228.

(49)Ibidem.

(50)J. Evola, Il cammino del cinabro, Milano 1963, p. 225. Lo “scambio d’idee” col Burckhardt risale dunque a una data anteriore al 1963.

(51)Ibidem.

(52)Evola infatti aveva esattamente scritto: “Il punto di vista realistico che ho creduto di dover assumere in Cavalcare la tigre mi ha portato, ultimamente, a qualche scontro polemico con ambienti che ancora nutrono delle illusioni (sottolineatura nostra, n.d.r.) sulle possibilità offerte dai ‘residui tradizionali’ esistenti nel mondo d’oggi” (J. Evola, Il cammino del cinabro, cit., ibidem).

(53)J. Evola, Maschera e volto dello spiritualismo contemporaneo, Bari 1949, p. 131.


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"In una civiltà tradizionale è quasi inconcepibile che un uomo pretenda di rivendicare la proprietà di una idea e, in ogni caso, in essa chi così facesse, con ciò stesso si priverebbe di ogni credito e di ogni autorità, poiché condannerebbe l’idea a non esser più che una specie di fantasia senza alcuna reale portata. Se una idea è vera, essa appartiene in egual modo a tutti coloro che sono capaci di comprenderla; se è falsa, non c’è da gloriarsi di averla inventata. Una idea vera non può essere «nuova», poiché la verità non è un prodotto dello spirito umano, essa esiste indipendentemente da noi, e noi abbiamo solo da conoscerla. Fuor da tale conoscenza, non può esservi che l’errore" (R. Guénon)

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