Evola e la costruzione dello Stato nuovo del Fascismo. Intervista esclusiva a Rodolfo Sideri

Pubblichiamo una intervista esclusiva a Rodolfo Sideri, realizzata a margine del suo intervento al convegno “Ripartire da Evola”, sulla visione dello Stato evoliana e sui rapporti del Barone con la cultura fascista. Quello che ne esce, è un Evola ben lontano dall’ “impoliticità” affibiatagli dalle grigie accademie, al contrario: Evola svolse la funzione di “intellettuale militante”, che tentò in tutti i modi una rettificazione dall’interno del Fascismo.

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Domanda. Al di là degli spunti che emergono dai suoi scritti giovanili ed in “Imperialismo pagano” del 1928, è sicuramente a partire dalla feconda collaborazione con la rivista “Lo Stato” di Carlo Costamagna, e quindi dal 1934 in poi, che Evola comincia a delineare ed a sviluppare compiutamente la propria visione organica ed aristocratica di Stato. Quale fu l’influsso che Costamagna esercitò sul pensiero evoliano?

Il libro, di recente pubblicazione, di Rodolfo Sideri sul pensiero di Carlo Costamagna. Al suo interno, un capitolo sui rapporti del giurista con Evola e con Gentile.

Il libro, di recente pubblicazione, di Rodolfo Sideri sul pensiero di Carlo Costamagna. Al suo interno, un capitolo sui rapporti del giurista con Evola e con Gentile.

Risposta. Non penso si possa parlare di un’influenza di Costamagna su Evola, così come, allo stesso modo, non si può parlare di un’influenza di Evola su Costamagna. Si è trattato, per così dire, di un incontro all’intersezione di coordinate comuni. In primo luogo, l’antigentilianesimo che entrambi consideravano necessario per uscire dall’equivoco di un fascismo posto in continuità con la precedente storia d’Italia (il fascismo come inveramento e completamento del Risorgimento); prospettiva che depotenziava la portata rivoluzionaria della rivoluzione fascista, impedendo l’effettiva fascistizzazione della società e dello Stato. In secondo luogo, la comune sentita esigenza di condurre lo Stato del Nuovo Ordine verso una direzione spiritualistica, di netto e definito rifiuto dell’eredità del 1789 che, nonostante dichiarazioni contrarie, ha agito all’interno del regime; si trattava cioè di indurre lo Stato fascista a rifiutare la sua stessa “modernità”, con le annesse scorie materialistiche e meccanicistiche. Insomma, la battaglia su molti fronti era comune, ma Costamagna non accoglieva la Tradizione nel senso in cui la intendeva Evola, perché collocava l’ideologia italiana nel solco del pensiero vichiano e quindi pensava allo Stato e alla civiltà in generale nella loro storicità. La prospettiva dell’Idea disincarnata dalla dimensione nazionale e quindi storica è del tutto estranea alla visione del mondo di Costamagna, che non a caso è cattolico e monarchico e quindi molto distante dalle posizioni “pagane” e ghibelline di Evola, per il quale una monarchia “accettabile” non era certo quella costituzionale dei Savoia.

 

D. Evola ebbe modo di precisare la netta differenza tra la struttura dello Stato organico tradizionale e le degenerazioni di esso, quali lo Stato totalitario ed il cesarismo o bonapartismo, il che lo portò anche a criticare gli aspetti più negativi dello Stato fascista. Può spiegarci meglio i termini di questa differenza e, di conseguenza, i punti critici essenziali, a giudizio di Evola, del sistema statale fascista per come si manifestò concretamente?

R. L’idea tradizionale di Stato è quella di uno Stato organico e non totalitario. Il totalitarismo, per Evola, costituisce «l’immagine contraffatta dell’ideale organico» perché è un’unità imposta dall’esterno, da un potere materialmente politico, nel quale prevale la tendenza livellatrice, burocratizzante, l’insofferenza per ogni autonomia. La statolatria rientra, per lui, nello stesso quadro del totalitarismo perché è una sorta di mistica dello Stato onnipotente e onnipervadente, «avente per sfondo la nuova religione terrestre dell’uomo materializzato». Lo Stato della Tradizione è omnia potens e non omnia facens: è uno Stato che certo detiene un potere assoluto, non vincolato dai lacci dello Stato giusnaturalisticamente inteso come garante di supposti diritti di natura, ma non si intromette in tutto, non tende a creare uno spirito livellatore e uniformante. È un centro che attrae senza sforzare e che ricorre il meno possibile alla forza perché la sua autorità ha centro nel prestigio.

Lo Stato tradizionale è differenziato e articolato, ammette zone di parziale autonomia; coordina e rende partecipi di una superiore unità forze di cui può riconoscere la libertà. Evola rimproverò al fascismo proprio questa pervasività, testimoniata dalla formula mussoliniana “Tutto nello Stato, niente fuori dello Stato e niente contro lo Stato” che lasciava ambiguamente aperta la possibilità che dentro lo Stato dovessero finire aspetti che attengono alla sfera privata dell’individuo e in cui uno Stato tradizionale si guarda bene dall’intromettersi perché non sono rilevanti. Su tutti, la politica demografica, il moralismo, la pedagogia di Stato, il partito, il pansidacalismo corporativo, lo Stato del lavoro e anche altri aspetti che, per un motivo e per un altro, si allontanavano da una retta considerazione di quello Stato”in ordine” che l’instaurarsi del regime rendeva possibile. Evola evidenziò come punto critico soprattutto il nazionalismo, in specie quello di fondo naturalistico e razziale che, anche per la fusione con l’Associazione nazionalista italiana, prendeva il posto della selezione delle élites al fine della creazione di un Ordine aristocratico e qualitativo, connotato da precise caratteristiche spirituali e non certo naturali.

 

D. Nell’elaborare la propria visione di Stato, Evola intendeva chiaramente incidere sulle visioni ufficiali del regime fascista, in modo da indirizzarle e rettificarle nel senso da lui indicato, dando così concreta forma alla concezione mussoliana dello Stato come vera e propria entelechia, come forza organizzatrice e differenziatrice di tipo spirituale. Quanto effettivamente Evola riuscì nel suo proposito? Quali ostacoli e resistenze incontrò?

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La rivista La Torre nasceva per radicalizzare il Fascismo, portandolo ad esprimere una visione più autentica e originaria del mondo.

R. È noto come Evola abbia cercato di indirizzare la politica razziale del fascismo, con l’appoggio dello stesso Mussolini alla ricerca di una differenziazione dal razzismo tedesco che del resto aveva duramente stigmatizzato negli anni precedenti all’alleanza. Allo stesso modo, gli interventi – numerosissimi – sulle riviste del regime avevano lo scopo di fornire indirizzi, di suscitare riflessioni, di rettificare gli aspetti “moderni” i cui cascami erano ancora avvertibili. La sua stessa rivista mensile, “La Torre”, nasceva – lo afferma lo stesso Evola – dal tentativo di esercitare un’influenza sulle correnti culturali e politiche del regime in vista di una rivolta radicale contro il mondo moderno, proponendo al fascismo dimensioni superiori di realizzazione. Le posizioni intransigenti e i toni provocatori non lo aiutarono certo nello scopo, visto che Starace inviterà le tipografie a non stampare la rivista. Ne Il cammino del cinabro, Evola ricorda che la cultura del tempo non diede alle sue iniziative alcuna eco e che fu all’estero, cioè in Germania, che si riconobbe la portata rivoluzionaria delle sue idee.

Quanto al fascismo, la rettificazione pensata, e tentata, da Evola non si può dire riuscita, ma non – è sempre Evola a ricordarlo nella sua autobiografia intellettuale – per colpa del fascismo, quanto degli italiani, i quali non seppero fornire la materia umana «adatta e degna affinché le eventuali possibilità superiori del fascismo», e non solo quelle culturali, «potessero venire adeguatamente sviluppate, e quelle negative neutralizzate». È da dire, tuttavia, che posizioni radicali, se pure vennero accolte con interesse da Mussolini, non furono mai sposate integralmente e soprattutto non furono mai realizzate, perché sarebbe venuta meno quella sintesi politica che il Duce considerava necessaria per mantenere unita la straordinaria varietà delle posizioni che animavano il regime.

 

D. Quanto le due visioni di Stato propugnate da Evola e da Gentile si scontrarono effettivamente sul panorama culturale fascista degli anni Trenta? E quanto l’una o l’altra realmente influenzarono gli orientamenti ufficiali del regime?

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L’intervento di Rodolfo Sideri al convegno RigenerAzione Evola del 2014

R. Se l’orizzonte temporale è quello degli anni Trenta, non si può negare che l’azione esercitata da Gentile fu incomparabilmente superiore. Mentre Evola faceva nascere la sua rivista per doverla chiudere molto presto per l’ostilità di non pochi gerarchi toccati dagli attacchi della redazione, Gentile cominciava la costruzione di quel monumento della cultura nazionale che è l’Enciclopedia Italiana, nel 1932 è nominato direttore della Scuola Normale Superiore di Pisa e presidente dell’Istituto Italiano di Studi Germanici, nel 1933 fondava e dirigeva l’Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente, per tacere di molto altro. Certo si trattava di un’azione culturale di cui però non bisogna trascurare la visibilità e l’impatto metapolitico che avevano istituzioni che sono probabilmente tra le ultime che la cultura italiana ha saputo produrre. Del resto, Gentile aveva svolto un ruolo politico diretto all’interno del regime, mentre Evola era sempre rimasto ai margini, pur vantando amicizie importanti.

Gli anni Trenta sono invece per Evola quelli della collaborazione al “Regime Fascista”di Farinacci con l’inserto ”Diorama filosofico”, al quale chiamò a collaborare Guénon, Heinrich, Spann, Benn e altri che valsero a sprovincializzare la cultura italiana. Sono gli anni delle traduzioni che solo grazie alla sua opera cominciarono a circolare nell’asfittico panorama nazionale. Sono soprattutto gli anni dei rapporti con il regime nazionalsocialista in Germania, presso il quale ottenne un ‘attenzione che generalmente non veniva riservata a stranieri,specie se portatori di idee abbastanza eterodosse e comunque non sempre in linea con il regime hitleriano. Un’attenzione che anche in questo caso, tuttavia, non si tradusse in orientamenti di pratiche realizzazioni.


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"In una civiltà tradizionale è quasi inconcepibile che un uomo pretenda di rivendicare la proprietà di una idea e, in ogni caso, in essa chi così facesse, con ciò stesso si priverebbe di ogni credito e di ogni autorità, poiché condannerebbe l’idea a non esser più che una specie di fantasia senza alcuna reale portata. Se una idea è vera, essa appartiene in egual modo a tutti coloro che sono capaci di comprenderla; se è falsa, non c’è da gloriarsi di averla inventata. Una idea vera non può essere «nuova», poiché la verità non è un prodotto dello spirito umano, essa esiste indipendentemente da noi, e noi abbiamo solo da conoscerla. Fuor da tale conoscenza, non può esservi che l’errore" (R. Guénon)

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