Frammenti di una poetica evoliana delle vette (terza parte)

Dopo il lungo approfondimento sulla Russia (tema su cui torneremo comunque con altro materiale), che ci auguriamo abbia contribuito a dare ai lettori un quadro d’insieme su questa complessa vicenda in corso, ritorniamo con piacere a quella che abbiamo ribattezzato poetica evoliana delle vette, con la terza puntata. Nascosta tra la rigidità formale della prosa degli svariati articoli dedicati da Julius Evola alla montagna ed ai suoi significati superiori, questa poetica si presenta lontana dalla mera retorica letteraria, ma asciutta, rivelatrice, iperbolica ma composta, sorprendente ma non ridondante. Riemergendo dall’esperienza poetica giovanile del barone, riesce, talvolta anche con lampeggiamenti dell’anima in stile haiku giapponese, con pochi, efficaci colpi di penna, a trasportare il lettore in vetta, facendogli quasi vivere quelle esperienze trasfiguranti che solo la montagna riesce a trasmettere. Rinviamo all’ampia introduzione alla prima parte di questo filone per approfondire contenuti e finalità di questo piccolo ma originale progetto editoriale.

Oggi proponiamo altri due componimenti ricavati dal passaggio piano dal regime della prosa a quello della poesia, entrambi tratti dall’articolo “Ghiacci”, del 1933, in cui, come ricordato nella puntata precedente, Evola descrisse le sue esperienze su tre delle più famose montagne tirolesi: sul versante austriaco del Weisskugel, la “Palla Bianca”, la più alta cima delle Alpi Venoste (m. 3.736), dal cui resoconto abbiamo estratto nella scorsa occasione il componimento relativo all’avventura sul ghiacciaio che il barone ribattezzò la “Valle della Dannazione”; sull’Ortles, la cima più elevata del gruppo Ortles-Cevedale e dell’intero Trentino-Alto Adige (m. 3.905); infine sul celebre Grossglockner, il “grande campanaro”, la cima più alta dell’Austria, con i suoi 3.798 metri. Oggi appunto proponiamo i componimenti relativi alle esperienze sull’Ortles e sul Grossglockner. Nella prima avventura, durante la discesa dopo un  tentativo di scalata dell’Ortles fallito a causa del maltempo, Evola descrive una sorta di esperienza oltre la soglia delle normali percezioni umane, una trasfigurazione incredibile tra passaggi di luci, riverberi, forme sospese, corpi quasi resi spiritualizzati (Evola parla proprio di pneusomata). Nella seconda avventura, Evola descrive le straordinarie visioni e le profonde sensazioni provate durante una solitaria e suggestiva escursione notturna dal rifugio Oberwalder (m. 2972) verso il Großes Wiesbachhorn (3564 m), la seconda montagna più alta del Gruppo del Glockner (di cui appunto la più famosa è il Grossglockner), la terza cima dei Tauri occidentali nonché nona cima austriaca in assoluto. Per entrambi i componimenti abbiamo ripreso l’intitolazione dei paragrafi che lo stesso Evola inserì nell’articolo (Trasfigurazione – La traccia notturna). Con alcune immagini abbiamo cercato, come di consueto, di accompagnare, nei limiti del possibile e con la suggestione dell’anima, il racconto del barone. Buona lettura.

***

di Julius Evola

(estratti dall’articolo “Ghiacci”, tratto da “Il Corriere Padano”, 6.9.1933,
e successive ripubblicazioni)

Trasfigurazione sull’Ortles

La sera precedente era stata tempestosa
All’alba, squarci d’azzurro fra ondate di nubi veloci
si è partiti sul ghiaccio,
per raggiungere la cima massima dell’Ortler (1)
Ma alla cima Tabaretta,
– segnacolo scheletrico,
avanzi d’una baracca schiantata dal ghiaccio –
è ritornata nebbia, vento, tempesta
Si è andati oltre, malgrado tutto
così, lentamente verso l’alto,
arrestandoci quando la violenza della raffiche
[minaccia di strapparci da terra e di toglierci il respiro
abiti, guantoni e passamontagna
percossi da mille atomi turbinanti
infine la vetta
poi subito giù, perché si gela
le nostre tracce sono istantaneamente scomparse,
in qualche minuto le folate le hanno colmate e distrutte
ma ad un tratto una trasfigurazione, una visione,
che non saprebbe esser dimenticata né resa con le parole
dopo una raffica più violenta,
una chiarità s’è manifestata tutta d’intorno,
come uno stupore,
senza lasciar vedere cielo o sole,
creando solo qualcosa di diafano,
di aereo, di immateriale.
E in quest’ambiente correvano ondate di luce,
silenziosamente,
come brividi o respiri,
in un tramutar rapido di cosa animata
Le figure delle altre cordate, forme sospese vaganti,
prive di ombra, prive di peso.
Ricordo ellenico divenuto evidenza di sensazioni:
come nell’antica dottrina,
corpi incorporei, pneusomata,
vaganti sui campi di luci,
sulle terre materiali dei beati e degli eroi.
Visione di pochi istanti.
Poi nebbie e raffiche, di nuovo.
Ed infine ritorno alla terra,
all’elemento solido, l’«infero»,
alle cose fatte di durezza corruttibile
sotto la monotona luce quotidiana

Veduta del Großes Wiesbachhorn (3564 m) (2)

Traccia notturna sul Grossglockner

Riscende calma la sera sul ghiaccio
e su quest’isola-rupe ancorata nel suo mezzo,
ove sta il rifugio.
Risuonano canti, rilucono luci.
Io vado avanti solo, oltre la roccia,
sulla pista delle nevi verso il Wiesbachhorn.
Che ritmi di accoratezza, d’irriducibile nostalgia,
di evasioni verso l’indefinito ed il senza forma
per un’anima che non conoscesse difesa!
Un nuovo deserto, un nuovo silenzio.
Dietro, i vapori vespertini delle valli
[lasciano emergere solo le vette gelate che,
illuminate dall’estremo riverbero,
son le sole cose in cielo che trattengono la luce,
come nature disincarnate vicine e lontane ad un tempo
quali ricordi, quali lente apparizioni, quali miti.
Ed innanzi, un grigio-verde d’acqua forte o d’acqua marina,
in cui il cielo e le nevi appena si differenziano:
e la pista che sale in alto, appena visibile,
è l’unico ritmo, è come la traccia di un deserto dell’anima,
di una solitudine beata e smarrente ad un tempo.
Andare, andare.
Tutto è lontano, tutto è passato,
tutto è dimenticato.
Scende santa la notte.
Tenuità, impalpabile semplificazione dell’anima e delle cose.
Finché, in alto, in siderea fioritura, le prime stelle.

 

Note redazionali:

(1) Evola utilizza il nome tedesco della montagna, Ortler, anziché l’italiano Ortles.

(2) immagine tratta da wikimedia commons, author Wald1siedel, under  the Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported license, with no changes.



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