di Julius Evola
Discorso sui problemi di stile. Gerarchia e personalità
Tratto da “Il Popolo Italiano”, II, 15 maggio 1957
In quelle speciali ricerche, da noi poco note, che sono andate sotto il nome di psicologia dell’anima delle razze, si mettono di solito a carico dell’“uomo mediterraneo” caratteristiche non del tutto ineccepibili. Naturalmente, uomo mediterraneo e italiano non fanno tutt’uno, il primo, quale viene inteso in codeste ricerche, essendo rappresentato, oltrechè in Spagna, in Francia e via dicendo nella stesa Europa Centrale. Comunque non si può dire che il problema non interessi da presso anche noi.
Il tratto generalmente indicato nel tipo accennato è il personalismo e l’amore per il gesto, quindi un certo esteriorismo e quasi la disposizione dell’attore. Ciò, beninteso, riguarda le sole forme; non pregiudica il contenuto intrinseco. Anche doti innegabili, eroismo, spirito di sacrificio e così via possono manifestarsi, in questa specifica forma. Ma vi è sempre il pericolo di uno sfaldamento, ed esso va tenuto presente in fatto di problemi di stile, specie quando è il momento politico e l’ideale proprio ad una élite che si considerava.
L’accentuazione personalistica va sinceramente riconosciuta come un tratto poco favorevole abbastanza diffuso in Italia, e specie in chi ha viaggiato all’estero esso colpisce. Così da noi, ad esempio, non è frequente trovare un esercizio oggettivo, impersonale dell’autorità, perfino su piani molto profani. Dal doganiere fino alla guardia di città voi riscontrate spesso il poco simpatico comportamento di chi si fa importante e crede che la propria persona, e non la semplice funzione affidatagli, sia la base della sua autorità. Così mentre per un lato il tipo in questione è spesso tracotante ed eccessivo, dall’altro può essere accomodante quando lo si sappia prendere per il suo verso, rivolgendosi alla persona, appunto perché crede di avere come persona discrezionale e di “essere qualcuno”.
A considerare spregiudicatamente quel che fu proprio ad alcuni aspetti del precedente periodo, si deve riconoscere nel “gerarchismo” un tratto negativo che nel fascismo si è sviluppato partendo delle stesse disposizioni del tipo umano su accennato. Si tratta, a tale proposito, di una ostentazione della dignità politica e di partito, di una affermazione individualistica connessa all’esibizionismo del potere, allo amore per un certo apparato scenico, all’ambizione ad avere un certo “seguito”, un gruppo devoto unicamente alla persona, in mezzo a cui emergere. Questo fenomeno, naturalmente, ieri non ha avuto affatto la portata che gli antifascisti vorrebbero attribuirgli, e, d’altra parte, vi sono stati, casi di uomini, ai quali poteva essere attribuito un tale stile, che lo superarono e seppero affrontare freddamente la morte nell’ora della prova. Non per questo quel tratto è meno reale, ed è bene rilevarlo (ripetiamolo: senza esagerarlo) perché oggi in più di un caso esso, in tono minore, tende a ripullulare in alcuni nostri ambienti.

Il rito romano del Trionfo: il comandante vincitore, rivestito e dipinto di porpora, raggiungeva il Tempio di Giove Capitolino
Così dovrebbe riconoscersi la differenza netta esistente fra ciò che è gerarchismo e ciò che è vera gerarchia. In un vero sistema gerarchico vige l’impersonalità; si ha prestigio e autorità solo in base alla funzione assunta, come simboli di un principio e di una idea; mai si usa della funzione per mettere avanti la propria persona.
Passando ad un altro punto, anche dell’eroismo si dà una forma scenica, esibizionistico-romantica che non per questo lo menoma (anzi alcuni riescono ad essere eroi solo in questa forma), ma che non corrisponde al miglior stile. Nei suoi aspetti migliori, quella romana antica potè essere chiamata la “civiltà degli eroi anonimi”. E ciò si conferma in un esame perfino di alcuni aspetti “spettacolari” della romanità, che potrebbero dare la impressione del contrario. Nulla di più esibizionistico e “scenico” sembrerebbe esservi stato, ad esempio, dell’antica cerimonia romana del “trionfo”, perché il condottiero vincitore vi rivestiva perfino insegne divine. Ma proprio tale dettaglio, nel suo significato rigoroso ben attestato, ci dice il contrario: esso stava a esprimere che quel capo attribuiva la vittoria meno a sé, alla sua persona, che non ad una divinità, cioè ad una forza super individuale con cui si era identificato. Ciò si confermò nella stessa concezione della Fortuna Caesaris.
Del principe Eugenio vengono riferite queste parole, dette ai suoi ufficiali in un momento particolarmente difficile (fu in un’azione contro i Turchi, così audace che, per quanto risultasse vittoriosa, poco mancò che il principe dovesse essere chiamato a rispondere, a Vienna, per il rischio fatto correre alle sue truppe): “Signori, voi avete un diritto a vivere solo se di continuo, anche nei momenti di massimo pericolo, servirete da esempio: ma in un modo così naturale e calmo, che nessuno possa rimproverarvene”.

Statua equestre del Principe Eugenio di Savoia presso l’Hofburg di Vienna. La targa alla base della statua recita: “Prinz Eugen – der edle Ritter”, cioè “Principe Eugenio – il nobile cavaliere”
Non si potrebbe indicare in modo migliore lo stile di un vero capo, anche là dove può essere in giuoco la propria vita. Si riferisce che fra le ultime parole dette dal Duca d’Aosta, l’eroe dell’Amba Alagi, vi fossero queste: “Avrei preferito morire fra i miei, lassù, combattendo. Ma forse questa è vanità. Si deve saper morire anche in un letto d’ospedale”. Non c’è vera grandezza che nell’impersonalità priva di vanità, di sentimentalismi, di esibizionismi e di retorica. Quel che è personale in un senso vero, superiore, solo allora si libera e risplende. E là dove si è capi o si deve servire da esempio, in tal caso sarà tutto un diverso genere di vincoli a unire saldamente chi comanda e chi obbedisce: vincoli che non fanno più appello alla sola parte irrazionale, emozionale e aperta alla suggestione della anima umana.
Data la bassura in cui attualmente si vive, dato il clima di “democrazia”, di combutte di bassi interessi, di tortuosità e di politicantismo oggi predominante, questo sono delle considerazioni molto estemporanee. Ebbene, ognuno ne faccia il conto che crede. Malgrado tutto, non sarà mai male porre dei problemi di stile, fissare almeno teoricamente ciò che fu e che è proprio ad un superiore tipo umano: a quello che dovrebbe formare i quadri essenziali di un vero Stato, perché atto ad incarnare, ad assumere e ad esercitare adeguatamente il principio della pura autorità.
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