Gustav Jung e la trappola degli “archetipi”

Dopo l’analisi di Julius Evola sull’infezione psicanalitica, proponiamo oggi una breve ma precisa analisi del barone sul contributo di Carl Gustav Jung alla causa psicanalitica, apparso sulle colonne del “Roma” nel 1950, sotto il titolo: “Lo svizzero Jung sta aggiornando Freud”. Molto ci sarebbe da dire sulla figura dello psicologo, psichiatra e antropologo svizzero, sulla sua “psicologia analitica” o “del profondo”, sulla sua elaborazione dell’inconscio collettivo e dei cd. archetipi. Jung probabilmente arrivò a percepire i limiti di una visione che non fosse in grado di andare oltre la mera soglia psichica, ma non fu in grado di superare quella soglia, di arrivare a concepire ed accettare la realtà metafisica, la sfera spirituale. Visse anche in prima persona esperienze che per semplicità potremmo definire “paranormali” e studiò a lungo tali fenomeni, ebbe un’esperienza di premorte: intuì, forse, ma non fu in grado di capire. E il tentativo di ordinare e di definire realtà sovrarazionali e sovra-psichiche rimanendo al di sotto della soglia dello Spirito, significa generare aberrazioni ed interpretazioni totalmente fallaci e sovversive, per certi versi anche più pericolose di quelle stesse del “maestro” Freud, proprio perché vanno ad adulterare principi e realtà superiori, facendoli retrocedere a livelli inferi: proprio su questo Evola si sofferma, suggerendo delle chiavi di lettura. Ricordiamo che Jung è stato e rimane apprezzato anche in ambienti identitari che, non a caso, si rifanno a visioni panteistiche e immanentistiche: anche in tal caso occorre fare attenzione, perché il mondo psichico è il più pericoloso, anche rispetto a quello meramente grossolano. E’ proprio in quel contesto, infatti, che le forze demoniche (quelle vere, e non quelle archetipiche nell’interpretazione rovesciata di Jung) hanno libertà di agire e di colpire, di sovvertire e di ossessionare, di traviare e di deviare.

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di Julius Evola

tratto dal Roma, 7 settembre 1950

«Il mondo è pieno di demoni» aveva già scritto Talete di Mileto diversi secoli prima di Cristo. La stessa cosa ripete oggi il psicanalista e psichiatra svizzero C. G. Jung, a meno di una certa trasposizione di termini. I «dèmoni» prendono il nome di «archetipi». Il mondo che essi popolano e infestano non è quello fuori di noi, ma il mondo psichico. Il luogo della loro emergenza è l’inconscio.

Le cose starebbero propriamente così. L’uomo occidentale già da tempo è divenuto un essere scisso. Il suo Io cosciente e razionale si è costituito in una insolente e prepotente pretesa di sovranità e di esclusività che gli fa disconoscere e negare le forze più profonde della sua anima, quelle che vanno oltre la sua persona ed appartengono al cosiddetto «inconscio collettivo». Il risultato e però che queste forze si rendono autonome e, quasi come enti dotati di vita propria, traggono la loro vendetta imponendo all’Io forme di una vita più o meno patologica.

Gli «archetipi» di cui parla lo Jung corrispondono alle forze fondamentali dell’inconscio collettivo, che costituisce malgrado tutto la radice del nostro essere. Essi hanno una loro energia che tende a scaricarsi. Essi cercano soprattutto di «farsi valere», cioè di esser riconosciuti dalla coscienza, e quando ciò non può avvenire per via diretta, mediante improvvise irruzioni.
Ecco il nuovo mondo demonologico che lo Jung, fra l’altro, prende come base per una interpretazione, che vorrebbe essere scientifica, di quello delle religioni e delle mitologie antiche.

Ad ogni archetipo corrisponde una immagine simbolica. Sono immagini universali che si ritroverebbero uguali nelle creazioni della fantasia popolare, nelle tradizioni delle popolazioni selvagge, nelle religioni, nell’arte, ma altresì nei sogni, nei deliri e nelle allucinazioni di isterici e di nevropatici. Lo Jung mette più o meno nello stesso sacco tutto ciò. In forme così varie si avrebbero sempre emergenze irruzioni nel mondo della coscienza di forze e figure dell’inconscio collettivo disconosciute e divenute autonome. E che cosa vogliono, alla fine, queste forze? Lo Jung si distingue dal Freud in quanto non mette a loro base la sessualità, la libido. Col che le sue vedute si fanno più confuse e spesso misticheggianti. Come si è detto, gli archetipi vogliono farsi valere malgrado tutto, vogliono esser «vissuti».

Prendiamo un esempio. Uno degli archetipi è la «Donna». La «Donna» come archetipo corrisponde a tutta la parte irrazionale, affettiva, sensitiva dell’anima, che l’Io maschile reprime in sé. Come si fa valere questo archetipo malgrado l’inibizione esterna e circondando con un alone fascinoso l’una o l’altra donna reale, che, come amata, sorella, madre, o anche in forme affatto idealizzate o mitiche (dalle Vergini celesti alla «Madre Patria») ci muovono, trasportano, ottengono il nostro omaggio. In casi critici, corrispondenti ai nevropratici, l’archetipo «Donna» si proietta in femminili ossessive dei sogni e delle allucinazioni.

Ma, anche se in grado diverso, v’è ossessione anche negli altri casi e nei riguardi di tutta una serie di «archetipi». Del che nella vita ordinaria non ci si rende conto. Per liberarsi da siffatta demonìa degli archetipi bisognerebbe rinunciare alla dittatura dell’Io cosciente e razionale, bisognerebbe aprirsi allo strato sotterraneo dell’anima e ristabilire l’unità originaria del conscio con l’inconscio. Ciò si renderebbe possibile attraverso un curioso, spiritato processo, che lo Jung chiama di «individuazione», nel quale emergono, sono riconosciuti, assorbiti e via via superati i vari archetipi nascosti negli strati arcaici ed inconsci della psiche.

Tutto questo non si restringerebbe al trattamento terapeutico di certi malati, ma sarebbe importantissimo per ognuno, anzi per la civiltà nostra in genere, ove gli archetipi condurrebbero una vita sfrenata, causa di ogni sorta di crisi e di disastri. Non solo: questa stessa sarebbe la via per raggiungere quella perfezione della persona, che è stata prefigurata dagli ideali delle religioni e del misticismo, in Oriente come in Occidente.

Coppo di Marcovaldo, particolare del Giudizio universale, 1260-1270. Firenze, Battistero di S. Giovanni

Qui non è possibile indicare nemmeno di sfuggita tutte le aberrazioni in cui, battendo tale via, finisce lo Jung nelle sue interpretazioni, che mettono mano su ogni specie di materiale sacro e profano, accomunando isterici e santi, Capi e selvaggi. Un segno preoccupante dei tempi è che questa corrente prende piede. Anche in Italia due editori, Einaudi e Astrolabio, si sono specializzati in una importazione massiccia di opere tradotte dello Jung. E già molti prendono tutto ciò per moneta buona, a causa della etichetta con la scritta «psicologia» e «psicanalisi», mentre ostentano arie di superiorità critica rispetto ad ogni autentico documento della spiritualità antica e tradizionale…

Ma in una civiltà normale lo Jung, che dirige una clinica psichiatrica a Zurigo, con riguardo, benevolenza e comprensione lo si sarebbe fatto passare in uno dei reparti dei suoi ricoverati, a che «smaltisse» le sue fissazioni psicanalitiche e a poco poco giungesse ad idee sensate sulla reale natura umana e l’essenza della spiritualità: il resto potendo solo servire in qualche sporadica applicazione a casi davvero patologici. È vero che qualcuno ha detto che i pazzi sono coloro che il resto dell’umanità isola per potersi credere savia. Specie al giorno d’oggi le persone che come carattere, «linea» e coerenza interna sono davvero in ordine con sé stesse si riducono ad una minoranza sempre più esigua. Ma proprio per questo non sono forse particolarmente deleterie teorie, come quella accennata, le quali si concentrano allucinativamente su di una umanità scissa e alle prese con nuovi «dèmoni», invece di rifarsi al naturale potere animatore e rettificatore che sempre promanerà da un superiore tipo umano?



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