Riteniamo interessante dare conto agli amici di RigenerAzione Evola di un’importante scoperta che potrebbe aprire la strada a futuri studi sui rapporti intercorsi tra Martin Heidegger e Julius Evola.
Nel supplemento culturale della Frankfurter Allgemeine Zeitung del 30 dicembre 2015 è stato infatti pubblicato un inedito manoscritto di Heidegger, in cui si riporta una citazione tratta dall’edizione tedesca del 1935 di Rivolta contro il mondo moderno di Evola.
La citazione riportata è la seguente:
“Quando una razza ha perduto il contatto con quello che solo ha e può dare durevolezza – col mondo dell’Essere – allora gli organismi collettivi da essa formati, qualunque sia la loro grandezza e potenza, sprofondano fatalmente nel mondo della casualità”.
Angelo Bolaffi, noto professore di filosofia politica e germanista, in un articolo apparso il 4 gennaio scorso su La Repubblica, è stato il primo analista italiano, al di fuori dell’area “culturale” di “destra” (con tutte le virgolette del caso) a riprendere e commentare la scoperta.
Tuttavia, com’era facile aspettarsi, la sostanza dell’analisi, tanto di Bolaffi, quanto di Thomas Vasek, redattore capo della rivista filosofica Hohe Luft che ha commentato il ritrovamento sul noto quotidiano tedesco, riflette un’impostazione molto riduttiva, inesatta, parziale e profondamente carente dal punto di vista conoscitivo, che puntualmente viene in evidenza quando vengono affrontate certe tematiche.
Già i titoli dei rispettivi articoli sono eloquenti (“Un programma di sovvertimento spirituale”, nel caso di Vasek, e “Heidegger & Evola. Così il filosofo copiò l’antisemita” nel caso di Bolaffi). L’approfondimento, poi, riduce tutto al consueto tema del razzismo e dell’antisemitismo, da una parte comprimendo Evola nelle solite vesti dell’“antisemita”, ignorandone volutamente lo spessore, la complessità e la poliedricità del pensiero e come sempre accantonandone la raffinata dottrina elaborata in tema di razza; dall’altra parte, continuando a premere l’acceleratore sull’antisemitismo di Heidegger, come da tempo si sta artatamente facendo (si pensi alla recente pubblicazione da parte di Bompiani dei “Quaderni Neri”, con riflessioni “proibite” di Heidegger sull’ebraismo, o al saggio di Donatella Di Cesare, “Heidegger e gli Ebrei”, per Bollati Boringhieri).
Qualche spunto d’interesse, comunque c’è: Bolaffi riprende infatti il parere di Vasek, secondo cui sarebbe possibile ritrovare nella critica della modernità segnata dall’“oblio dell’Essere” di Heidegger un’eco di quella che viene definita “filosofia della cultura” di Evola (espressione evidentemente del tutto fuori luogo, a testimonianza di quanto si osservava poc’anzi) e quindi della sua visione in materia di Tradizione e di progressiva degenerescenza della civiltà occidentale. Si traccia un parallelo tra i due laddove, se per Heidegger «è il dominio della quantità, del numero che tutto livella e in tal modo sbarra l’accesso all’Essere che distrugge qualsiasi rango e qualsiasi elemento di spiritualità terrena», per Evola «il mondo moderno derubato di ogni spiritualità trascendente perde fatalmente ogni legge gerarchica e ogni durevolezza».

Martin Heidegger (1889-1976)
Si propone dunque un abbozzo di accostamento tra l’oblio dell’essere heideggeriano e l’analisi evoliana sul processo di graduale occultamento della Tradizione col regredire del dato spirituale. In fondo, come alcuni studiosi hanno notato, il pensiero heideggeriano potrebbe essere letto – perlomeno in alcuni suoi aspetti – come una sorta di manifestazione, in qualche modo “essoterica” in senso lato, delle dottrine tradizionali, in sé meta-filosofiche, entro la cornice della filosofia in senso stretto. Non può non tornare alla mente, in tal senso, ciò che tentò di fare lo stesso Evola in gioventù, dopo aver individuato nell’idealismo trascendentale post-kantiano la forma estrema e liminale cui era giunta la speculazione filosofica circa il problema della conoscenza: prima di abbandonare definitivamente il dominio filosofico, infatti, Evola tentò con una “rottura di livello” di “contaminarlo” con le dottrine sapienziali, e quindi in sostanza di inserire elementi di spiritualità tradizionale all’interno di una cornice filosofica. Da questo tentativo nacque, com’è noto, il cd. “idealismo magico” evoliano, poi definitivamente superato dal barone per approdare ai lidi della Tradizione meta-filosofica pura, non speculativa né analitica.
Tuttavia lo spunto d’analisi proposto da Vasek e Bolaffi s’interrompe a questo punto, poiché l’esigenza spesso inconsapevole di non spingersi troppo oltre in analisi che potrebbero riabilitare qualcuno o generare sani dubbi in chi legge, riemerge sempre prepotente e superba nel mondo dell’intellettualismo contemporaneo.

“Essere e tempo” (Sein und Zeit), una delle più importanti opere di Martin Heidegger (edizione Longanesi del 1990)
Quindi l’analisi viene ricondotta entro i tranquillizzanti schemi del razzismo antisemita, per cui, nella ricostruzione di Bolaffi, secondo Evola il processo di decadenza sarebbe tutto da addossare allo “spirito ebraico”, con la sua inclinazione al calcolo e all’astrazione, ed in corrispondenza si mettono in rilievo i commenti di Heidegger sul talento calcolatorio e sull’ascesa della razionalità moderna da ricondurre all’ebraismo, con i conseguenti effetti distruttivi. In tal modo, il cd. “antisemitismo metafisico” (!) di Heidegger viene addirittura ricollegato al pensiero (antisemita!) evoliano, fino a disegnare i tratti del “secondo Heidegger” (quello “degenerato”, per intendersi) come quelli di “un esoterico radicalmente fascista che ambisce al dominio spirituale delle élites” per consentire “il ritorno degli dèi”. Quindi, insomma, “si butta tutto in caciara” ed ogni spunto di riflessione viene fatto naufragare nel mare della parodia, del ridicolo e della ristrettezza visuale tipica di quest’epoca.
Al di là di questo, l’augurio è che questa scoperta consenta di avviare, da parte di qualche studioso serio, una ricerca approfondita ed uno studio documentato che possa rivelare quanto Heidegger conoscesse effettivamente Evola, e quanto poté esserne stato influenzato: sappiamo bene, infatti, che Evola era molto conosciuto ed apprezzato negli anni Trenta negli ambienti mitteleuropei più o meno ricollegati alle varie correnti della Konservative Revolution.
Sarebbe inoltre fondamentale approfondire i possibili punti di contatto tra le concezioni di questi due grandi giganti del pensiero anti-moderno del Novecento, sia pure operanti in campi divergenti: in molti hanno effettivamente rimproverato ad Evola il fatto di aver analizzato in forma un po’ troppo superficiale il pensiero heideggeriano, inquadrandolo nel ristretto contesto del mero esistenzialismo, senza approfondire le tematiche legate alla critica della modernità e della tecnica, o la complessa dottrina ontologica del filosofo tedesco, in particolare quell’“oblio dell’Essere” in cui, come si scriveva poc’anzi, potrebbe essere individuata una trasposizione filosofica del tramonto dell’occidente in senso tradizionale.
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