Come visto nell’articolo pubblicato poco tempo fa, “Naturismo e ideale animale”, uscito sul “Roma” nell’aprile 1957, Evola si soffermava sulla parabola discendente dell’uomo materializzato, il quale, persa la propria dimensione spirituale, degrada a mera specie animale tra le tante, e come tale, in sostanza, finisce per auto-percepirsi. Da qui, tutti i passaggi successivi sono facili da intuire: gli ideali e l’orizzonti dell’uomo finiscono per limitarsi alla propria dimensione animale, biologica, senza pretese superiori.
Il mese successivo, nel maggio 1957, Evola pubblicò sul celebre quotidiano napoletano un altro articolo che rappresentava il seguito del precedente, con il titolo “Pudore e puritanesimo peggio che «corruzione»”, che noi abbiamo deciso di ripresentare come “Ideale animale e crisi del pudore”, proprio per dare maggiore risalto alla continuità nello sviluppo della tematica. Evola osservava, in particolare, in questo ulteriore scritto, come l’uomo-animale non potesse che arrivare, con relativa facilità, alla messa in crisi di ogni pudore: l’accettare l’impudicizia e la nudità del proprio corpo, anzi, il sentire la necessità di esibirla, al di là di ogni facile moralismo, è un segnale di un degradamento dell’essere umano al livello più basso; soprattutto nella donna, è la spia di una crisi profonda. E l’assuefazione alla vista del nudo e dell’impudico, genera asetticità, indifferenza, noia, apatia, anche magari se mascherati sotto facili eccitazioni compulsive, e conduce ad un primitivismo estremo dove la sessualità è concepita al livello più elementare ed animalesco, senza coinvolgimenti superiori, senza comprensione del significato reale dell’intensità e del desiderio nell’unione uomo-donna, che dovrebbe investire aspetti ben più complessi della mera fisicità in un tipo umano realmente centrato e “normale” in senso tradizionale. Il tutto, al netto peraltro da sentimentalismi, deliri di possessione, patologie da basso psichismo. Quanto abbiamo dinnanzi oggi, amplificato dagli usi più malati di Internet, ne è conferma di sconcertante chiarezza. E, si badi bene, il distacco e l’autocontrollo di fronte ad un nudo o alla sessualità esibita, frutto eventualmente di forme di sublimazione verso l’alto del singolo, sono evidentemente cosa ben diversa da quell’asetticità apatica e malata di cui parlava Evola, fenomeno di massa che non è certo sublimazione verso l’alto ma involuzione, che non sublima ma scarica le energie, incanalandole in direzioni sbagliate.
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di Julius Evola
(tratto dal Roma, 4 maggio 1957)
In occasione delle varie polemiche suscitate or non è molto da un’allocuzione pontificia abbiamo già rilevato che uno dei fatti da essa stigmatizzati, e cioè la diffusione endemica di forme spinte di esibizionismo feminile impudico, ai nostri giorni è un sintomo preoccupante da un punto di vista assai diverso e più serio di quello proprio ad uno scandalizzato virtuismo e puritanesimo. La crisi del pudore è un fenomeno generale nella civiltà contemporanea ed ha stretta relazione con l’avvento di quello che, in un precedente articolo, abbiamo chiamato l’ “ideale animale” dei nostri giorni, tipico dell’America ma ormai diffusosi un po’ dappertutto.
Visti sotto tale luce, i fatti deprecati sono un indice di qualcosa che, secondo noi, è perfino più preoccupante di ciò che si suol chiamare “corruzione”. Nell’uomo che, per regressione, ha finito col considerarsi come nulla più che una delle tante specie naturali, mettendo il resto a carico di una superata metafisica e teologia, e che quindi ha eletto un ideale tutto fisico della sanità, della forza e della personalità, lo stesso sentimento del pudore doveva necessariamente entrare in crisi. Questa è l’essenza della situazione.
Occorre appena ricordare, che in fatto di pudore bisogna distinguere. Vi è un pudore tutto convenzionale, derivato da norme sociali seguite senza veramente sentirle, che al massimo ha la forza atavica di un costume cristallizzato. E di questo pudore, poco interessante, qui non si parla. Ma vi è anche un altro pudore, con radici più profonde, perché la sua origine prima è il disagio che l’essere umano in quanto tale, e non quale ce lo ha descritto Darwin, prova nel mettersi nello stato proprio di un animale. È questo secondo pudore, personale e in un certo modo aristocratico, che oggi va sempre più mancando in solidarietà col generale orientamento “fisico” cui abbiamo accennato or ora.
Va mancando, sia negli uomini che nelle donne. Negli uomini, a cui, in linea di principio, spetterebbe soprattutto mantenere una linea, la cosa presenta un semplice carattere di volgarità e di cattivo gusto. Ma quando si tratta delle donne e si considerano poi le relazioni fra i due sessi, vi è di peggio.
Si sa che nella donna il pudore ha un carattere meno etico in senso rigoroso che non “funzionale”; esso è un ingrediente sessuale e fa parte del suo fascino. Infatti solo un essere molto primitivo può sentirsi eccitato da una donna del tutto priva di pudore. Nel vestire, nel comportarsi e via dicendo le donne conducono una sapiente amministrazione (istintiva e innocente, o meno) della pudicizia e dell’impudicizia. Rinunciano del tutto al pudore in via privata, intenzionalmente, in situazioni rese interessanti solo per il loro carattere di eccezione o di infrazione.
Ma oggi le cose stanno diversamente. La mancanza di pudore tende ad assumere i tratti di una cosa “naturale” e quasi casta, afunzionale, abituale e pressoché pubblica. Così va a testimoniare – o a propiziare – una diminuita tensione e, per l’appunto, l’ottusità propria dell’ “ideale animale”. Ecco perché dicevamo che qui il moralismo non c’entra; anzi, a rigore, i punti di vista si invertono. Chi volesse combattere il potere elementare del sesso dovrebbe perfino augurarsi che il fenomeno accennato prenda sempre più piede. L’esibizionismo impudico delle grandi spiagge estive è, in effetti, la migliore delle scuole di castità. Ma anche nell’esibizionismo ancora tendenzioso dello strip tease, degli spogliarelli o semi-spogliarelli al cinema e altrove vi sarebbe solo da andare un po’ più oltre a che l’effetto s’inverta, specie se a tali spettacoli ci si assuefacesse fin dalla primissima gioventù. Si sa infatti che basta frequentare a Parigi per un certo tempo i locali notturni e altresì semplici varietà, visitati anche da un buon pubblico borghese, ove le ragazze si mostrano interamente nude a parte un triangoletto spesso di colore appena diverso di ciò che dovrebbe celare, per trovarsi talvolta a considerare con distaccata calma tutto ciò che la rinuncia al pudore di una donna può offrire di interessante in altre occasioni. Giù a Sparta, dove molte erano le occasioni in cui le ragazze si mostravano nude con naturalezza, le cose andavano così: come oggi, quando si passa addirittura al nudismo, nel segno di uno stupido “ritorno alla natura”.
Lungo codesta linea, più che maggiore corruzione, può attendersi dunque il formarsi di uno sguardo dal quale, alla fine, una giovane donna nuda può essere osservata come si osserva un pesce o un gatto siamese, con naturalezza, curiosità e estetico disinteresse. E si potrà trovar, questo, “sano”. La controparte è un certo cameratismo, lo stare insieme di ragazzi e ragazze senza arrière-pensées, “in natura”, come rape e cavoli possono stare in un orto; è il carattere “spregiudicato”, banale e standardizzato che assumono sempre più le relazioni fra i sessi seguendo l’esempio dato per primo dall’America e da alcuni paesi nordici.
Ci si fa avanti, davvero, una gioventù “libera” – libera di far proprio il modo d’essere di una qualunque specie animale, senza avere, degli animali superiori, né la “razza”, né lo slancio, né la sicurezza di istinto.
Giacché, in questo contesto, il primitivismo sessuale è un fenomeno tutt’altro che raro. Non solo per scherzo si mette in bocca alla ragazza tipicamente americana la domanda al suo compagno, dopo che è stata a letto con lui: Do you feel better now? – ossia: «Ora vi sentite meglio?». Il fatto desiderio viene cioè sentito quasi come una condizione spiacevole, come un disturbo o una agitazione da calmare. Così tutto ciò potrebbe andar perfino incontro a quanto desidera un certo moralismo profilattico, dato che ogni cosa si sdrammatizza, si rende semplice e “naturale” restando solo un nucleo di impulsi fisici elementari. E se per giunta si desse risalto al semplice fine procreativo coniugale, le cose non potrebbero perfino soddisfare una certa morale cattolica, secondo la quale il sesso sarebbe da comprimere e da condannare al di fuori di questo fine biologico, triste necessità imposta dalla “natura”?
Così qui non è questione né di “virtù”, né di “corruzione”, né di piccola morale borghese. Abbiamo invece dinanzi a noi dei fatti, il lato interno dei quali, oltre ogni apparenza, è una caduta di livello, l’incapacità a coltivare una vita intensa e completa, anzi ad aver per essa un vero interesse. Sono fenomeni di un mondo che s’imbastardisce malgrado il miraggio di tutte le sue conquiste tecniche, fisiche e sociali.
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