Idee sulla Destra

(Tratto da Carattere, n. 2, Verona, marzo-aprile 1957)

Il testo che presentiamo, pubblicato sulla rivista bresciana “Carattere”, rappresenta l’unificazione di due articoli di Evola (“Destra rivoluzionaria” e “Rivoluzione dall’alto”) pubblicati sul quotidiano “Il popolo italiano”, diretto da Pino Romualdi, che uscì a Roma negli anni 1956-57 ed al quale Evola collaborò.

Su “Carattere”, l’articolo unico di Evola era preceduto dalla seguente nota editoriale:

“Pur non condividendo la visione tradizionale del pensiero di J. Evola perché non in carattere con la tradizione cattolica, pubblichiamo questo chiaro saggio politico del noto pensatore tradizionalista – già sviluppato in alcuni articoli recentemente apparsi su di un quotidiano romano d’estrema destra – in quanto le tesi in esso sostenute e l’architettura politica delineatavi possono inquadrarsi nella visione d’un ordine politico cattolico tradizionale quale noi propugniamo e raccolgono pertanto la nostra piena adesione” (N.d.R.) [1]

 

Destra rivoluzionaria

Un primo equivoco da rimuovere riguarda l’interpretazione parlamentare e partitica: la Destra come opposta ad una Sinistra, con un Centro moderatore nel mezzo, quali formazioni di uguale dignità. In realtà, nel parlare di una vera Destra il riferimento ultimo va di là da cotesto relativismo. Nella situazione propria all’anarchia parlamentare la vera Destra deve rappresentare tendenzialmente ciò che sta oltre ogni partito: più che un raggruppamento partitistico, esponente di una data fazione o classe o gruppo di interessi, sullo stesso piano di altri, essa dovrebbe presentarsi come una forza centrale organizzata in difesa della pura dello Stato.

La Camera dei Lord britannica

Di là del disordine politico causato dall’errore democratico sono in effetti distinguibili due orientamenti fondamentali antitetici: quello di coloro che affermano l`idea di Stato e quello di coloro che sostanzialmente negano tale idea, che tendono, cioè, all’anti-Stato, sia in nome dell’economia sovrana e dell’atomismo individualistico liberale, sia delle masse collettivizzate, sia infine di una mera idea «sociale». A tutte queste tendenze, varie e perfino antitetiche nei loro aspetti contingenti, ma concordanti nella loro direzione ultima di efficacia, si contrappone dunque la vera Destra. quale custode e affermatrice di una idea sopraelevata di autorità e di sovranità. Il fine ultimo di essa sarà pertanto meno l’accesso al governo, quanto la reintegrazione del vero Stato. Una tale ricostruzione non importa necessariamente né il «partito unico» (nozione in sé stessa contraddittoria), né l’eliminazione di qualsiasi opposizione: una opposizione potrà anche essere ammessa, ma in termini «funzionali», allo stesso titolo di quella che fu propria al Parlamento inglese prima del laburismo, come una opposizione all’interno del sistema, e non contro il sistema, cioè tale da mettere comunque in discussione i principii fondamentali di esso, come ne è il caso per le forze di sinistra, irresponsabilmente tollerate dalla democrazia assoluta e parlamentare.

In un quadro europeo, la Destra si è sempre associata al conservatorismo. Ma proprio qui s’incontrano le difficoltà precipue dovute ai precedenti storici dell’Italia. Per l’Italia sarebbe infatti da chiedersi che cosa si sia da «conservare», su di un piano superiore. Da noi non è esistita una grande tradizione politica formatrice, centrata nel principio della sovranità: una tradizione, come quelle che in altre nazioni dettero vita e figura ad una nobiltà quale classe politica, ad una classe militare, ad una diplomazia, ad un’alta burocrazia e perfino a particolari «dinastie» lealistiche di grandi imprenditori – corpi articolati che si presentavano attraverso le generazioni come diretti e fedeli custodi dell’idea di Stato. La stessa monarchia in Italia è stata qualcosa di marginale; nel periodo dell’unificazione risorgimentale, fu suo destino staccarsi dall’Europa tradizionale e conservatrice; successivamente essa non visse che nell’orbita della democrazia e del parlamentarismo, dove la cosidetta Destra storica, cioè il liberalismo di destra, quasi in nulla corrispose all’idea di una vera, assoluta Destra, quale noi l’abbiamo or ora tratteggiata. Cosi in fatto di «valori tradizionali della Destra» in Italia il bilancio è quasi per intero negativo. Più che di una Destra conservatrice sarà il casa di parlare di una Destra rivoluzionaria.

Arthur Moeller van den Bruck-rivoluzione conservatrice

Arthur Moeller van den Bruck: «Essere conservatori non significa restare attaccati a ciò che è stato ma vivere partendo da ciò che sempre vale».

Sembrerebbe perciò naturale che l’apporto principale alla nuova Destra dovesse venire dalle forze che in un certo modo si considerano eredi della corrente che ieri cercò di dare all’Italia un nuovo volto: qualora esse siano capaci di discriminare adeguatamente nell’ordine dei principii e di non cadere in equivoci quanto alla loro vocazione rivoluzionaria. Tale vocazione dovrebbe infatti esercitarsi in un superamento della concezione borghese, conformistica e vagamente nazionalista della Destra, in nome di una più severa, dura, virile idea politica: nei termini di una «rivoluzione dall’alto» e in netto distacco dallo spirito che  anima il mondo sorto a vita attraverso la rivoluzione francese, fino al marxismo e comunismo. Nel nostro caso, di «conservatorismo» dovrà dunque parlarsi in un senso quasi esclusivamente ideale, come secondo queste parole di Moeller van den Bruck: «Essere conservatori non significa restare attaccati a ciò che è stato ma vivere partendo da ciò che sempre vale». Così, la parte fondamentale dovrebbe averla una visione generale del mondo e uno stile di vita: l’azione politica in senso stretto dovrebbe esserne solo una conseguenza.

Agendo in questa senso, sarebbe facile dissipare le confusioni oggi esistenti nei riguardi della Destra e, per primo, quella che fra tutte è la più paralizzante: una Destra che non è rivoluzionaria, ma borghese, un rivoluzionarismo che non é di destra, ma sinistreggiante. La possibilità di agire come «centro cristallizzatore» in un più vasto, auspicabile schieramento nazionale si lega sicuramente a quella di tenersi saldamente ad un terzo termine, superiore a tale antitesi.

Rivoluzione dall’alto

Al concetto di una vera Destra, si connette strettamente quello di «rivoluzione dall’alto». L’espressione risale a Bismarck, il quale una volta ebbe a dire: «L’unica rivoluzione che conosciamo è quella dall’alto».

A tale proposito, vi è da riferirsi all’azione degli uomini di Destra non nel periodo – quasi di interregno – in cui essi si trovano impegnati nella lotta partitica, ma in quello nel quale si realizzerà la loro vocazione ed il loro fine ultimo, che è l’affermarsi come i custodi della pura idea politica dello Stato. Dalle posizioni negative di una polemica opposizione e da un programma militante di partito si passerà allora alle posizioni positive di una severa dottrina politica; non si tratterà più di studiare riforme e accorgimenti varii onde arginare il disordine e provvedere ai problemi più urgenti con mezzi – per così dire – di fortuna, bensì di formulare direttamente i principii normativi di un diverso sistema politico.

Il cancelliere tedesco Otto von Bismarck, maestro della Destra

Il cancelliere tedesco Otto von Bismarck, maestro della Destra: «L’unica rivoluzione che conosciamo è quella dall’alto»

Come primo punto, si presenterà allora la reintegrazione dell’idea stessa dello Stato. Occorre infatti riconoscere che tutte quelle che sono state spesso considerate come «conquiste irreversibili» del pensiero sociale o della cosidetta moderna «civiltà del lavoro» ad altro non corrispondono che ad altrettante lesioni e menomazioni del principio di sovranità e delle funzioni legittime e normali di ogni vero Stato. È evidente che il socialismo e lo stesso sindacalismo di sinistra possono unicamente giustificarsi come reazioni compensatrici provocate dagli abusi, dalle insufficienze, dalle sperequazioni di un sistema in crisi; sistema, che è quello derivato dal liberismo e che per correlativo ha la democrazia parlamentare. Ciò vale quanto dire che essi si giustificano solo per l’inesistenza di un vero Stato, di uno Stato avente per basi incrollabili i prìncipii di un’autorità efficiente, dell’ordine e della gerarchia e, naturalmente, disponente anche di uomini capaci di fare valere adeguatamente tali idee.

Ove un tale Stato esistesse, che cosa potrebbero mai significare il socialismo e il sindacalismo di sinistra? Solo l’equivalente di una specie di giustizia privata; come chi si organizzasse per farsi giustizia da sé, non rifuggendo, se necessario, dalla violenza, dal sabotaggio, dal ricatto, quasi che non esistessero poteri legittimi preposti alla tutela dell’ordine giusto e del bene generale. Giustificabili in condizioni di disordine e di abuso, le tendenze ora accennate diverrebbero assurde quando al centro dello Stato fosse intronata una autorità vera e agisse una forza moderatrice e, eventualmente, ordinatrice dell’economia.

È qui che si delinea il principio fondamentale di una «rivoluzione dall’alto». Si tratta di prendere l’iniziativa attiva di tutte quelle misure, di cui si riconosca la legittimità, al fine di prevenire ogni «rivoluzione dal basso», di togliere ad ogni rivendicazione economico-sociale quello che noi chiameremmo il suo «plus valore politico», plus-valore al quale nelle correnti di sinistra inseparabilmente si lega, perché di tali correnti il vero fine è la scalata dello Stato, perché il loro significato ultimo è l’emergenza prevaricatrice di strati inferiori che tendono ad impadronirsi del potere usando la cortina fumogena di miti varii, la maschera economica e l’abusata parola d’ ordine della «giustizia sociale».

È a quel che è un vero, potenziale «Stato nello Stato» che bisogna spezzare la spinta dorsale, riportando su di un piano rigorosamente tecnico, neutro, apolitico tutto ciò che ha attinenza coi problemi economico-sociali imposti dalle circostanze e non facendo nessuna concessione allo sfondo ideologico di derivazione marxista. Le misure correttive vanno prese in modo pronto, risoluto e tempestivo. Già Machiavelli mise in evidenza che mentre il prendere l’iniziativa per delle giuste riforme prima del determinarsi di particolari pressioni rafforza il prestigio e la popolarità di uno Stato, il prenderle di necessità, dopo una vana resistenza, costituisce una pericolosissima, irrimediabile lesione del principio di autorità.

Gli uomini e le rovine-evolaMa la «rivoluzione dall’alto» deve parimenti esercitarsi nell’opposto settore, in quello capitalistico. È qui che bisogna far risultare ben chiaro che la vera Destra, la Destra politica, non ha nulla da spartire con la destra economica, che essa in nulla e per nulla è lo strumento politico del capitalismo, che il principio della sua autorità è autonomo, basato su valori superiori. Chi detiene veramente, con ferme mani il potere, non ha bisogno di essere al servizio del capitale e di interessi plutocratici. Una tale autonomia deve essere riaffermata di fronte alle prevaricazioni delle forze organizzative della finanza e dei consorzi non meno che di fronte a quelle del lavoro, per reintegrare in un ordine superiore tutto ciò che si è automatizzato per scissione, per la carenza di una forza centrale. E l’ordine nuovo non ha bisogno di essere quello di un totalitarismo, come statalismo livellatore. Nel punto in cui prendano di nuovo vita forme organiche, «corporative» in un senso tradizionale e non statalistico, dove si annunci una sinergia delle varie forze materiali, intellettuali e umane, sarà invece desiderabile un vasto margine di decentralizzazione perché esso varrà a mettere ancor più in risalto il carattere distaccato, per così dire «trascendente», del puro principio politico. Il quale interverrà bensì quando occorre, con estrema decisione e secondo giustizia, ma senza costringere, intromettersi e controllare dappertutto per principio: tanto poco, quanto la mente interviene nelle varie funzioni organiche finché l’organismo è sano o non è chiamato ad eccezionali prestazioni, suo compito essendo piuttosto di dare un fine ed un senso superiore alla vita complessiva del corpo.

Crediamo che più o meno in tali termini possono essere tratteggiati in sintesi gli orizzonti propri a quella che abbiamo chiamato una «Destra rivoluzionaria».

Note

[1] Nota liberamente tratta da “Idee per una Destra”, Quaderno di testi evoliani, a cura di Alessandro Barbera, Fondazione Julius Evola, 1997.



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"In una civiltà tradizionale è quasi inconcepibile che un uomo pretenda di rivendicare la proprietà di una idea e, in ogni caso, in essa chi così facesse, con ciò stesso si priverebbe di ogni credito e di ogni autorità, poiché condannerebbe l’idea a non esser più che una specie di fantasia senza alcuna reale portata. Se una idea è vera, essa appartiene in egual modo a tutti coloro che sono capaci di comprenderla; se è falsa, non c’è da gloriarsi di averla inventata. Una idea vera non può essere «nuova», poiché la verità non è un prodotto dello spirito umano, essa esiste indipendentemente da noi, e noi abbiamo solo da conoscerla. Fuor da tale conoscenza, non può esservi che l’errore" (R. Guénon)

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