Recensione a cura di azionetradizionale.com
Dopo un lungo periodo di assenza dalle librerie, ma soprattutto dalle biblioteche di chi, come noi, ha scelto di votarsi alla Tradizione, giunge alla sua terza edizione, per i tipi delle “Edizioni Mediterranee”, Il Cammino del Cinabro. Un libro a lungo atteso che abbiamo atteso tanto, decisamente troppo.
Non è una semplice biografia né una summa dell’esposizione evoliana della Dottrina tradizionali, ma è molto di più: è rivivere in tutte le sue tappe un percorso la cui conoscenza diviene imprescindibile per cogliere a pieno la portata – tutta rivoluzionaria – ed il senso – tutto verso l’alto – della visione del mondo di Evola. Lo stesso cammino, questo, che, seppur in più piccola scala, stiamo vivendo noi stessi, come ogni altro che sia pronto a schierarsi contro questo mondo, dalla parte della Tradizione. Un cammino che ci ha visti intraprenderlo spinti, inizialmente, più da un confuso rifiuto per il mondo moderno, con i suoi demoni di cartapesta, i suoi chimerici alibi, le sue sirene celebranti la mediocrità che imperterrita avanza, che da una lucida consapevolezza. Sapevamo inizialmente cosa rifiutavamo, ma non sapevamo a cosa saremmo andati incontro, sicuri solo che la meta fosse più grande della partenza, incuranti delle insidie che, sul nostro percorso, ogni giorno ci attendono e per sempre tenteranno di giocarci agguati sinistri. Un percorso che ogni giorno di più si delinea alle nostre coscienze in tutta la sua grandezza, in tutta la sua pericolosità. Perché è giusto che non sia per tutti.
Questo cammino prima di essere nostro è stato quello di Evola, che ci ha così aperto la strada. Lui, personalità del tutto straordinaria che, grazie alla sua innata disposizione kshatriya, ossia guerriera, ha saputo trasmutare una giovanile volontà di potenza in un eroico e lucido impulso verso la trascendenza. Dal confuso rifiuto della società borghese che, all’interno del dadaismo, ne fece uno dei maggiori esponenti di questa corrente artistica, fino al suo incontro con Guénon e De Giorgio – che ha reso Evola testimone della Tradizione – passando per le sue fasi filosofica e “magica”, che lo vide, quest’ultima, animatore del Gruppo di Ur/Krur.
Con quest’opera cade il “Veli di Maya” di chi, anche nel nostro ambiente, per mascherare la propria impotenza, ha costruito ragionamenti (leggasi “alibi”) sull’azione pura, ha affibiato l’etichetta di “incapacitante” a ciò che egli stesso era incapace non solo di vivere (si sarebbe ottimisti), ma semplicemente di cogliere. Non esiste più, col Cammino del Cinabro, l’intellettualistica contrapposizione Evola-Guénon; in quanto c’è solo complementarietà tra azione e contemplazione, tra un’esposizione paradigmatica e quasi ipostatica, quella di Guénon, e quella calata nel presente di chi, come Evola, perchè consacrato all’azione, ha cercato di lasciarci in eredità la Tradizione come realtà vivibile nel quotidiano e attualizzabile nella nostra lotta politica.
Questo è il valore della testimonianza di chi, uomo d’azione per indole, dalle trincee dell’Asiago, di fronte ai pericoli, di fronte ad un fascismo ormai troppo burocratizzato, di fronte ad una paralisi agli arti inferiori, ha sempre, in maniera guerriera, cercato di affermare una visione aristocratica e spirituale dell’esistenza, dando ordine a sé ed al mondo che lo circondava.
Il Cammino del Cinabro diviene così la chiave di volta per cogliere l’opera ed il messaggio di Evola nella loro totalità, collocando e contestualizzando ogni suo scritto nel periodo della sua vita che ne ha dettato la produzione. Si coglie così la sua “sconfessione” per le idee estremiste e poco meditate (come lui stesso le definì) di Imperialismo pagano, si collocano al giusto posto le sue considerazione filosofiche contenute in Teoria dell’Individuo Assoluto, Fenomenologia dell’Individuo Assoluto e Saggi sull’Idealismo Magico o ancora si assume come severo ammonimento e non come comodo alibi (come già qualcuno fece in passato, finendo male) il “fai si che ciò su cui nulla puoi, nulla possa su di te” del “pericoloso”Cavalcare la tigre.
Con questa opera Evola ci ha dato un ulteriore strumento per farsi cogliere a pieno, per evitare gli alibi e le megalomanie a cui una lettura imprudente della sua testimonianza potrebbe far approdare. Ci ha regalato, insomma, un’ultima e potente arma per la nostra rivolta contro il mondo moderno.
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