Il caso di Filippo il Bello (seconda parte)

Seconda parte del saggio di Evola sulla figura sovversiva di Filippo IV di Francia, detto il Bello (1268-1314), archetipo di sovrano antitradizionale ed antiaristocratico che, con al sua azione, aprì la via ad una concezione sconsacrata, materializzata e laicizzata del potere politico, alla rivoluzione francese, all’avvento della società moderna. In questa seconda parte, Evola si sofferma sulla distruzione dell’Ordine templare ordita da Filippo il Bello, dietro la quale, oltre ad una bieca sete di potere e di ricchezza del re capetingio, si nascondeva l’operare di forze oscure che, tramite l’azione di quest’ultimo, andavano a colpire “gli eredi della migliore tradizione del precedente Medioevo“, un Ordine nel quale si era realizzata una prodigiosa “sintesi dell’elemento virile e guerriero e di quello spirituale e ascetico“.

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di Julius Evola

tratto da “Vita Italiana”, XXIX, 341, agosto 1941

segue dalla prima parte

Tuttavia una crisi si verificò anche a quel tempo, perchè allora la frode era più visibile. Non si potè dunque insistere oltre un certo punto su detto metodo e bisognò cercar altre vie per far danaro. La nuova vittima, dopo gli Ebrei spogliati e il popolo dissanguato, non poteva esser né la nobiltà in blocco, la quale aveva ancora mani capaci di impugnare le armi, né la Chiesa con gli ordini monastici veri e propri, che godevano ancora di troppo prestigio. Allora Filippo il Bello scopre nei Templari il soggetto adatto per un nuovo colpo di mano.

Jacques de Molay al rogo sull’isola della Senna, detta “Isola dei giudei”.

Bisognava impadronirsi delle ricchezze accumulate da quest’Ordine ascetico-guerriero, che tanti servigi già aveva reso alla Cristianità: e ciò, per mezzo di un pretesto decente, tale da doversi imporre alla stessa Chiesa. Questo pretesto o espediente che dir si voglia fu l’eresia. Filippo il Bello, sovrano brutalmente laico nel quale i problemi trascendenti della fede costituivano l’ultima preoccupazione, va a scoprire l’«eresia» dei Templari e ad indicare lo scandalo che essa rappresentava per la Cristianità. Il Papa, in un primo tempo, non nascose il suo sdegno per l’accusa mossa ad un tale Ordine: alla fine, non potè resistere alle pressioni del Re né ignorare alcuni aspetti enigmatici del Templarismo, cui si dette il dovuto risalto, naturalmente, presso ad una precisa tendenziosità di interpretazione. Si fece dunque il processo ai Templari. Particolarmente complesso e tragico, questo processo si concluse con la distruzione dell’Ordine e con l’incorporazione di tutte le ricchezze di cui esso disponeva nei territori francesi da parte del Re. Filippo il Bello, il giorno stesso dell’arresto dei Templari, del resto, era andato di persona a stabilirsi nella loro sede centrale di Parigi, detta appunto il Tempio, per inventariare il bottino. «Questo bel sequestro l’aveva fatto ricco di colpo» – commenta il Michelet.

Un’altra prova caratteristica dell’accennata mancanza di principî in coloro che oggi han ricordato la figura di Filippo il Bello, sta nel loro supporre che questa odiosa figura di Re falsario e spergiuro (è per mezzo di uno spergiuro che egli da giovane ottenne la libertà da Carlo d’Angiò), abbia, col processo dei Templari, anticipato la lotta contro la massoneria, i Templari essendo stati – si pretende – una specie di massoneria del tempo, fortemente ebraizzata, praticante riti misteriosi e sacrilegi. La cantonata che a tale riguardo si prende non è minore di quella di chi valorizza l’antigiudaismo, il totalitarismo e l’idea laica dello Stato di Filippo il Bello. Solo che per chiarire il problema dei Templari dovremmo svolgere una serie di considerazioni non adatte per questa sede.

Qui basterà rilevare che nell’Ordine dei Templari si realizzò, più che in qualsiasi altra organizzazione similare del tempo, il più alto ideale della civiltà ghibellina, cioè quello di una stretta soldarietà fra l’elemento guerriero e l’elemento ascetico: a ciò si aggiungeva l’esigenza che in quest’Ordine i migliori partecipassero a forme superiori di sapienza, di luce e di forza per mezzo di riti speciali, da non rivelare al profano. Viveva, in genere, nell’Ordine templare, l’idea della Crociata come simbolo e realtà interiore. «Era una Crociata divenuta fissa e permanente – dice, a tale proposito, il Michelet – la nobile rappresentazione della Crociata spirituale che ogni Cristiano sostiene contro il nemico interno fino alla morte». In una élite, però, vi era qualcosa di più, vi era una specie di «iniziazione», cioè la trasformazione per la quale non si aspira più a qualcosa di superumano, ma lo si possiede effettivamente già da vivi.

Qui si pone però il problema fondamentale, cioè se questa vena più profonda della spiritualità templare, legata a simboli e riti speciali, la cui esistenza è provata da testimonianze varie, avesse proprio un carattere cristiano ed ortodosso. Noi crediamo che si possa rispondere negativamente: tuttavia non si può far certo nostro il punto di vista di coloro che ritengono che dovunque certe forme di spiritualità non siano più puramente cristiane si debba parlare di superstizione, di degenerazione e di … massoneria. Né ciò che non è più semplicemente cristiano deve esser, per questo, necessariamente, anticristiano, potendo essere anche, ad esempio, supercristiano. Lo stesso Michelet, pur non avendo una precisa competenza in questo campo, scrive: «Il candidato (all’iniziazione templare) poteva credere che al di là del Cristianesimo volgare l’Ordine dovesse rivelargli una religione più alta, aprirgli un santuario dietro il santuario. Il nome Tempio non era sacro solo ai Cristiani … L’idea di Tempio, più alta e più generale anche dell’idea di Chiesa, si librava in un certo modo al disopra di tutte le religioni. La Chiesa aveva una data, il Tempio non ne aveva, era contemporaneo di tutte le età, era come un simbolo della perpetuità della religione». Solo che la parola «religione» qui ci sembra usata poco a proposito e tale da generare un equivoco, le religioni sono qualcosa di positivo, sono legate ai tempi e alle razze, con loro frontiere che non si possono superare, in nome di un male inteso e davvero massonico o illuministico universalismo, senza incorrere in deviazioni e distruzioni. Ma su di un piano più alto di quello delle religioni, e riferentesi alla realtà effettivamente trascendente, può esistere una unità, per così dire, d’apice di contenuto unico ed essenziale di là dalle sue espressioni varie e condizionate. Ora, vi sono dei motivi positivi per supporre che le alte gerarchie templari avessero avuto connessione appunto con questa più alta tradizione.

E che qui si avessero talvolta dei simboli apparsi anche in certe correnti ebraiche, può significare così poco, come il fatto del frequente uso, negli scritti cristiani di quel tempo, di imagini e parabole tratte dall’Antico Testamento, cioè dalla tradizione ebraica. Assai più interessante e conclusivo sarebbe piuttosto esaminare le relazioni – alle quali, del resto, sia pur fugacemente, lo stesso Michelet accenna – esistenti fra il templarismo, cavalleria più che ecclesiastica e più che semplicemente cristiana, e il ciclo del Graal. Notiamo, p.es., che in uno dei testi più importanti (Wolfram von Eschenbach) i cavalieri del Graal sono chiamati Templeise, cioè templari, benchè non vi si parli di nessun «tempio». Del resto, J. Evola, ha trattato di questo argomento in una sua opera (2); egli ha cercato di precisare il senso che i Templari ebbero in quel periodo storico – essi furono, nel senso più alto, l’«Ordine» della civiltà ghibellina, così come il centro di questa civiltà, il Sacrum Imperium, fu in una certa misura l’incarnazione dell’ideale del «Regno del Graal».

L’Evola riconosce, come lo stesso Michelet, il sussistere del Tempio, per lo meno come tradizione, negli insegnamenti di molte organizzazioni segrete anche dopo la tragedia dei Templari: ma in quel suo libro ha anche fornito gli elementi per distinguere i casi, in cui si può parlare di una filiazione spirituale legittima o, almeno, del manifestarsi di influenze consimili, da altri casi, nei quali si tratta invece di contraffazioni o di usurpazioni di nomi e di simboli da parte di sette di tutt’altra natura: e tale è appunto il caso della massoneria, nella quale, fra i tanti, figurano abusivamente anche elementi già proprî a quella antica tradizione ghibellina.

Tornando a Filippo il Bello, proprio in relazione ai Templari si rende ben visibile la finalità distruttrice perseguita dalle forze oscure che attraverso di lui hanno operato. Infatti l’attacco contro i Templari non si deve concepire solo alla stregua dell’accennato espediente per procurarsi del danaro, dopo la spogliazione degli Ebrei e la falsificazione della moneta. Da un punto di vista superiore, di cui forse Filippo il Bello era il primo ad essere ignaro, l’attacco fu mosso piuttosto contro gli uomini che incarnavano la più alta tradizione del Medioevo, che avevano in proprio, come si è detto, un ideale il quale, a parte i suoi aspetti trascendenti e supercristiani, si fondava su di una sintesi dell’elemento virile e guerriero e di quello spirituale e ascetico. Con un tale ideale tramonta anche la più alta vocazione del ghibellinismo. Come conseguenza, si ha un dualismo che si acutizzò nei secoli successivi e che si è protratto fino ai nostri giorni – è il dualismo di uno spirito astrattamente religioso, al massimo mistico e contemplativo nel senso più pallido, che di fronte a sé ha una realtà politica sconsacrata, uno Stato laico e forme puramente materiali di virilità e di affermazione guerriera. Nell’ideale templare, così come in quello della cavalleria del Graal, l’una e l’altra limitazione erano superate. Oltre ai motivi materiali, volgari, legati alla persona e alle situazioni, esiste dunque una intima logica nelle varie azioni di Filippo il Bello: colui che aveva dato il primo serio colpo al sistema feudale e che aveva iniziato la laicizzazione dello Stato accentratore e antiaristocratico doveva anche colpire gli eredi della migliore tradizione del precedente Medioevo.

Ecco in quali termini si deve intendere il vero significao di Filippo il Bello nella storia medievale. Filippo il Bello è stato effettivamente un originale anticipatore del mondo moderno: ma di quel mondo moderno, che noi combattiamo, perchè, malgrado ogni apparenza, esso ha semplicemente il significato di una sovversione, di una caduta o di una rinuncia. In tutt’altra direzione si debbon cercare le figure rappresentative e i simboli che possono confermare la nostra volontà di ricostruzione e di sviluppo delle forze ancora intatte della nostra stirpe.

Nota

(2) J.Evola; Il mistero del Graal e la tradizione ghibellina dell’Impero, Laterza, Bari, 1938-XVI. [N.d.R. – Da notare che Evola, in questo paragrafo e nel successivo, si cita parlando di sé in terza persona. Questo era un vezzo del barone che ritroviamo negli articoli che egli firmava con degli pseudonimi, come in questo caso (quest’articolo apparve, infatti, a firma “Arthos”). Negli articoli firmati col proprio nome, invece, per citarsi Evola ricorreva generalmente alla prima persona plurale (“noi abbiamo già trattato dell’argomento …”, ecc.) ].



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"In una civiltà tradizionale è quasi inconcepibile che un uomo pretenda di rivendicare la proprietà di una idea e, in ogni caso, in essa chi così facesse, con ciò stesso si priverebbe di ogni credito e di ogni autorità, poiché condannerebbe l’idea a non esser più che una specie di fantasia senza alcuna reale portata. Se una idea è vera, essa appartiene in egual modo a tutti coloro che sono capaci di comprenderla; se è falsa, non c’è da gloriarsi di averla inventata. Una idea vera non può essere «nuova», poiché la verità non è un prodotto dello spirito umano, essa esiste indipendentemente da noi, e noi abbiamo solo da conoscerla. Fuor da tale conoscenza, non può esservi che l’errore" (R. Guénon)

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