di Luca Valentini
Per comprendere a pieno le motivazioni che spingono ciò che comunemente si intende per “il Fronte della Tradizione” a contrastare in ogni modo la concretizzazione fattuale della globalizzazione, è necessario mettere a fuoco quelle che sono le fondamenta o le direttrici principali di questa egemonica operazione di massificazione mondiale. Essa rappresenta l’esplicitazione massima delle logiche mondialiste, la realizzazione piena di quegli obbiettivi socio-politici, che, da decenni, con le più oscure ed astute operazioni di politica internazionale ed economica, il direttorio dei poteri forti, delle multinazionali, dell’usura, cerca di imporre all’intera popolazione mondiale. Ma quali sono questi obbiettivi socio-politici e con quali mezzi vengono perseguiti? La risposta a tali interrogativi è facile e difficile allo stesso tempo: facile, perché è sufficiente fare un’analisi, anche non troppo approfondita, di ciò che ci circonda, di come è strutturata la società di cui facciamo parte, per accorgersi che non viviamo più in un mondo di uomini liberi, caratterizzati dalle proprie specificità, dalle proprie differenze, dalle proprie origini, ma in un’abnorme accozzaglia di atomi non-differenziabili; difficile, perché i centri di potere che gestiscono tale operazione, grazie alla diffusa corruzione e lottizzazione dei media, della cultura e del mondo scientifico ed artistico, pongono in essere le condizioni, affinchè le menti delle moltitudini rimangano ad un livello di comprensione sociale e di conoscenza culturale non superiore agli standard del Grande Fratello o di una telenovela sudamericana.
L’imposizione di un unico modello socio-economico su scala planetaria, basato sul consumismo sfrenato e sulla logica del profitto, tendente sempre più all’omologazione totale di tutti i popoli verso stili di vita unificati, conduce verso un’inevitabile distruzione di tutto ciò che rende un uomo orgoglioso di appartenere ad un Popolo, ad una Patria, ad una Terra, con delle proprie origini, con la propria storia, con la propria Tradizione culturale e religiosa. La creazione di un enorme massa informe senza identità, schiava del profitto e dei disvalori più animaleschi: ecco il fine ultimo della Globalizzazione sotto il profilo economico-finanziario, del Mondialismo, come radice sottile e perversa della prima. I mezzi, poi, con i quali questo fine viene perseguito sono noti. Questi i motivi della lotta contro codesto cancro mondiale: la difesa dell’Uomo, della sua sacra ed inviolabile personalità, la tutela della Tradizione della sua Famiglia, della sua Stirpe.
Ecco i cardini irriducibili, che ci sono stati indicati da Julius Evola nelle sue opere, da difendere e da cui partire per combattere con speranza per contrastare con efficacia la piena di fango che rischia di travolgere l’intera umanità. Altro che le false battaglie di Seattle, dell’ambientalismo “pacifista” dell’antagonismo di sinistra, false opposizioni, precostituite dal sistema stesso, affinché il processo di massificazione sia ancor più veloce: queste frange di pseudo-opposizione non si battono per la difesa di un vivere tradizionale, ma, ancor peggio della globalizzazione, per l’avvento di un internazionalismo proletario, una giungla ove non vi siano più regole, né valori, né autorità…il regno del Caos! L’opposizione alla globalizzazione rappresenta un sostegno culturale e sociale alla stessa: l’omologazione mondialista non si concretizza solo con la liberalizzazione sfrenata del neocapitalismo, ma anche e soprattutto con la lotta spietata alle identità ed alle tradizioni dei popoli, portando avanti una cultura internazionalista, illuminista e in molti casi persino atea, contraria ad una Weltanschauung Tradizionale che abbia valori spirituali ed etici al centro delle proprie civiltà, e favorevole alla società multirazziale ed alle nuove libertà…tra un po’ ci saranno libertà e diritti anche per i pedofili!
Ecco smascherata la falsa contrapposizione: ciò che nel campo economico ed istituzionale propugnano le grandi lobbies del petroldollaro, a cui tutti i governi e le organizzazioni mondiali sono allineati, in campo sociale e soprattutto culturale viene portato avanti dalla fantomatica opposizione del “popolo di Seattle”, un falso antagonismo a protezione e a sostegno della globalizzazione. Si realizza un mondo in cui le entità etnoculturali e nazionali sono minacciate di estinzione, i popoli poco a poco svuotati della loro sostanza da una macrostruttura sovracontinentale, senza territorio, ma installata ovunque. Questa piovra gigante si fonda innanzitutto sull’organizzazione della tecnica e dell’economia: culture, nazioni, religioni, tutti i raggruppamenti e le manifestazioni umane forgiate dalla storia sono le sue prede preferite. Una nuova società governata da pochi magnati e furbi tecnocrati, dove tutti credano di vivere meglio, non riuscendo a capire di essere schiavi senz’anima, e dove riecheggiano le parole di Zarathustra: ”Allora la terra si sarà rimpicciolita e su di essa andrà salticchiando l’ultimo uomo, colui che tutto rimpicciolisce. La sua schiatta è inestirpabile, come la pulce di terra; l’ultimo uomo è il più longevo. <<Abbiamo scoperto la felicità>>…” [2].
La posizione da assumere è radicalmente diversa e va in direzione di una riscoperta delle proprie radici, della propria Terra, della tutela delle identità di ogni popolo, perché l’atomizzazione economica e socio-culturale rende uguali un cittadino di Madrid e un cittadino di Tokyo, uccidendone le caratteristiche, le unicità, le differenze, la personalità. La creazione di un enorme proletariato è la riduzione dei popoli ad una poltiglia di esseri senza tradizione e senza forza interiore, ed è questo pericolo che bisogna scongiurare e contro cui è necessario combattere. E’ assolutamente necessario, a tal punto, delineare quali debbano essere le caratteristiche del combattente tradizionale che si espliciti in un’appartenenza che, diversamente dal passato, non sia più partitica o astrattamente intellettualistica, ma esigente dall’individuo tutte le proprie qualità più intime, in termini di coraggio, di forza interiore, di volontà di potenza. Ci si convinca del fatto essenziale che ogni lotta potrà essere intrapresa, ogni studio tradizionale potrà risultare interessante, ogni adesione spirituale alla vita potrà apparire ed essere “conforme”, solo con l’acquisizione sincera, viva, intimamente radicata di un modus essendi, che sappia rappresentare l’axis verticale del nostro agire manifestato: una verticalità che presuppone una centralità, un aristotelico motore immobile, una fonte inesauribile di saggezza, che possa e sappia rappresentare il fine ultimo delle nostre attività, una corrispondenza organica, una forza, un’Idea che unisca ciò che solo il fenomenico rende differente e molteplice.
La forza evocatrice a cui facciamo riferimento non può che essere assunta che per estrema identità simbolica e trascendente, per la sua natura essenzialmente eroica e solare, per l’inspirarsi a quella concezione di Imperium, di Pax Deorum, che pochi esempi, nell’arco della storia dell’umanità, hanno saputo riproporre come la Romanità. Punto centrale di tale riflessione è la tutela delle differenze come principio fondante di una cultura che abbia come elemento fondante la coesistenza civile: nessuno può far a meno dell’alterità, ma conservando e sviluppando la propria identità, rimanendo semper fidelis all’ammonimento dell’Oracolo di Delfi, sii te stesso! Si comprende, ci si confronta, si aiuta il diverso essendo e rimanendo se stessi, mantenendo la propria differenza, la propria originalità, anche a tutela della differenza e dell’originalità altrui:”Fa sempre ciò che deve essere fatto (in conformità alla propria natura), senza attaccamento, perché l’uomo che agisce in un disinteresse attivo consegue il Supremo” [3].Sempre viva ed eternamente valida è, infatti, la regola romana del suum cuique tribuere, della fedeltà alla propria natura, dell’affermazione del proprio genio: sia a noi, sia agli altri deve essere chiaro che si deve volere e combattere solo per quello che si è, per recuperare la propria funzione e i giusti rapporti di gerarchia. Una visione del mondo e della vita, che sappia riconsegnarci il senso dell’origine, quindi del Sacrum e dell’Eterno. Una traccia, un sentire chiaro e cristallino su ciò che bisogna essere e fare, che non ammette titubanze, non ammette sentimentalismi amicali, non ammette romanticismo irrazionalistico. Le parole d’ordine sono tanto suggestive, quanto impegnative per chi le assume in sé:”La vita come un arco; l’anima come una freccia; lo spirito assoluto come bersaglio da trapassare!”[4]. Se si accetta che la via che il Fronte della Tradizione abbia intrapreso sia tanto militante quanto palingenetica, ci si assuma la responsabilità della chiarezza, dell’onestà intellettuale di accettare che la direzione è di origine direttamente eroica. La resistenza, infatti, si manifesti principalmente nella modalità interiore, ma non si conceda spazio neanche ad un laicismo ideologico, oramai di moda in un certo tradizionalismo, che priva la ricerca analitica di quella necessaria visione del mondo, che deve caratterizzare la nostra esistenza privata, pubblica, ma anche politica, sociale ed economica, perché espressione di un Cosmo, di un Ordine, Uno e organico, comprensivo di ogni attività umana, come era norma ontologica nelle antiche civiltà tradizionali. Si affermi una pietas, un dominio del sacro ed una fedeltà al Divino, che si fondi su due fondamentali virtù romane: la genialitas, come forza originaria e formatrice interna, che trasmuta l’individualità umana in personalità capace di accogliere in sé la trascendenza di una Tradizione sacrale e gentilizia, e la patientia, come incrollabilità, potere di resistere a qualsiasi avversità, secondo il detto di Tito Livio, “et facere et pati fortia romanum est”! In noi, come comunità e come microcosmi, si riproponga la lotta metafisica della antiche popolazioni arie, che è lotta tra Giorno e Notte, che è lotta tra Sole e Tenebra, che è lotta tra la Via Eroica al Divino ed un misticismo devozionale o, ancor peggio, di matrice panteistica e neospiritualista.
Questi i termini irriducibili della quaestio, queste le basi della nostra visione, che è schietta, sincera, a volte irriverente, che non accetta il catechismo dai “venerabili” di turno, che sa con certezza, che è lo spirito legionario che forgia le azioni e l’animo di un valente combattente della Tradizione, non il compromesso, non l’intellettualismo fine a se stesso, non la contiguità con una spiritualità ctonia, lunare, con tutto ciò che ingenui dilettanti posso scambiare per un mondo magico, ma che è solo la manifestazione di uno psichismo inferiore ed immaginale. Su questo punto riteniamo che si debba attuare una puntualizzazione più che rigorosa e tradizionale. La nostra militanza, proprio perché forgiata da una retta visione del mondo – lo ripetiamo – solare, eroica, primordiale, sappia essere esempio contrario ed educativo verso un neospiritualismo, che negli anni muta le forme, ma non la propria scadente qualità, che induce, purtroppo, troppi giovani, – diciamolo – troppi camerati a credere in scorciatoie pseudo-spirituali, in rievocazioni archeologiche che sanno molto di ridicolo e di carnevalesco. E’ importante affermare, invece, la centralità del non coinvolgimento nel vortice delle passioni e del desiderio-dolore, affermando una senatoria fermezza d’animo nei confronti di ogni accadimento dell’esistenza umana: l’apàtheia e l’ataraxìa, ossia l’impassibilità e l’imperturbabilità, forgiano l’ideale stile di vita del saggio, per il senechiano otium, per il raccoglimento creativo:”Viviamo in una delle più decisive epoche della storia e nessuno se ne rende conto, nessuno lo comprende…La Rivoluzione Mondiale avanza inarrestabile verso i suoi ultimi risultati…Chi predica la sua fine o crede addirittura di averla sconfitta non l’ha compresa…La lotta si combatte anche nell’interiorità del singolo uomo, sebbene egli non lo sappia affatto. Per questo così pochi giungono a vedere chiaramente da quale parte essi veramente si trovano”[4].
Questo è ciò che intendiamo mantenimento delle posizioni: un sentire, un vedere, una tensione nervosa che si alimenti costantemente dal Divino e dal Sacro, che non ci faccia mai smarrire l’orizzonte, la meta, il lido a cui approdare. Qui nasce, sorge e si afferma il nostro radicalismo, la nostra intransigenza: il militante non si curi dei “buoni rapporti”, delle amicizie, perché le Idee che difendiamo devono valere più delle singole individualità, anche della nostra, devono imporsi con una rudezza spartana, che forgi guerrieri, combattenti, non cenacoli borghesi o secte accademiche, ove la dimensione simpatetica ed emozionale sia superata da una chiara adesione alla visione del mondo, non altro. Tali indicazioni assumono un valore normativo non legato al divenire ed alla storia, che si deve tradurre in un modus agendi quotidiano, in uno stile legionario che deve investire ogni ambito della nostra umana esistenza, senza alcuna eccezione, affinché l’esempio, il rimanere sempre in piedi tra le rovine, siano gli elementi essenziali di quella “reazione-rivoluzione” che rappresenta l’idea prima della Destra, Autentica e Tradizionale. Si tratta di acquisire quella forma mentis che accompagni l’uomo della Tradizione in ogni sua manifestazione, non lasciandolo al relativismo del caso o alle fascinazioni dell’ambiente, ma che sia la precisa risultante di un processo formativo ideologico, che lo renda realmente partecipe di quell’Idea che ha forgiato le grandi civiltà tradizionali del passato. E’ ritornato il tempo “delle negazioni assolute e delle affermazioni sovrane”[5].
Note:
[1] Nietzsche, Queste le parole di Zarathustra, Edizioni di Ar, Padova 2011, p. 33
[2] Bhagavad.gità, III, 19.
[3] Màrkandeya-puràna, XLII, 7, 8.
[4] Oswald Spengler, Anni decisivi, Edizioni del Borghese, Milano 1973, p. 25.
[5] Julius Evola, Gli Uomini e le Rovine, Edizioni Mediterranee, Roma 2001, p. 62.
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