di Julius Evola
(tratto da Il Borghese, 1 marzo 1953)
L’interesse che offre questo nuovo, denso saggio su Giovanna d’Arco [n.d.r.: Evola si riferisce al saggio di A. Mirgeler, Jeanne d’Arc. Die Jungfrau und die Zukunft Europas] sta nel fatto che, a differenza di quasi tutte le opere scritte su tale argomento, esso non segue un punto di vista storico-bibliografico ma, essenzialmente, quello di una filosofia, per non dire di una teologia, della storia europea.
In Giovanna non vengono considerati gli aspetti umani, psicologici e nazionali, ma soprattutto i tratti grazie ai quali la sua figura acquista il valore di un simbolo per cui il suo apparire e il suo destino segnano un punto di svolta nella storia dell’Europa cristiana.

Il Re di Francia Filippo II vittorioso a Bouvines (1215)
Il messaggio di Giovanna d’Arco presentò, al tempo suo, un carattere rivoluzionario, per il fatto che esso veniva ad affermarsi l’idea di un crisma che una nazione e il capo di una nazione possono ricevere direttamente da Dio, e non più esclusivamente attraverso i rappresentanti della Chiesa e altri mediatori del sacro. Con ciò si presentava una possibilità nuova, ignota al tardo Medioevo. La missione di Giovanna era di annunciare al Re dei Francesi una specie di «elezione» o di mandato divino. Il titolo che esse gli dà è «lieutenant de Dieu»- ove a partir del rivolgimento guelfo dell’XI e del XII secolo la dignità di rappresentante di Cristo era stata esclusivamente rivendicata dal capo della Chiesa.
Giovanna profetizzò l’avvento di un Saint Royaume de France – e di fronte a ciò la lotta con gli inglesi e la storia; per un momento sembra che la storia si facesse trasparente di un significato superiore, si conformasse, ad una decisione, eterna, divina, annunciata dalle «voci» che parlavano a Giovanna con le quali essa legittimala sua missione e, poi, lo stesso suo martirio.
A tale proposito il Mirgeler mette ben in luce il senso che ha sempre avuto ogni vera profezia, ogni vero oracolo. Non si tratta di semplice conoscenza del futuro. I fatti preannunciati per tal via non valgono che come vesti e indici di qualcosa di indivisibile, e in sé sono un elemento secondario, il cui senso vero e profondo si palesa solo successivamente.
«La vera profezia rivela ciò che, secondo una dimensione superiore, nell’accadere terreno è la cosa essenziale e la prefigura come uno schizzo anticipa un’opera d’arte».

“La missione di Giovanna D’Arco era di annunciare al Re dei Francesi una specie di elezione o di mandato divino.”
Così essa indica essenzialmente una direzione. In casi del genere a colui che spetta di dar forma alla storia si pone una scelta, il dire un sì o un no alla direzione prefigurata, che rappresenta quella, solo in funzione della quale la storia si renderebbe visibile qualcosa di trascendente o di atemporale. L’elezione o la condanna dei popoli dipende da questa decisione: che misura la capacità loro, e dei loro capi, di adeguarsi alla trascendenza di un dato destino. Quando l’esperienza ha esito negativo, quando la prova fallisce, le due serie si dissociano: l’ordine superiore, è soltanto «storia» e soggiace ai fattori contingenti da cui la «storia» è determinata.
Secondo l’A. nel punto dell’apparire di Giovanna d’Arco alla Francia era stata dunque data una possibilità del genere: quella non solo di risollevarsi come nazione nel momento dell’estremo pericolo, ma anche assurgere alla dignità di un «Saint Royaume». Ma tutto ciò si ridusse ad un breve lampeggiamento: la possibilità che era stata offerta alla Francia e che avrebbe potuto aver anche un significato universale per l’intera Europa cristiana andò perduta. Il messaggio della Vergine di Orléans fu invano.
Il Mirgeler rileva giustamente che dopo la defezione di Carlo VII la Francia doveva seguire quella direzione verso lo «stato assoluto» che già con un Filippo il Bello si era preannunciate che costituisce l’esatta antitesi del «Saint Royaume». Da qui la falsificazione propria dello sfruttamento nazionalistico e sciovinistico della figura di Giovanna d’Arco. Vi è infatti un’antitesi radicale fra il caso in cui la ragion politica e l’orgoglio nazionale si fanno estrema istanza, fino a divinificarsi (direzione, questa, che sbocca nei moderni «totalitarismi»), e l’altro caso, nel quale un popolo e un capo seguono effettivamente un mandato «divino» il quale implica una specie di catarsi e di ascesi, un liberarsi da tutto ciò che è particolaristico ed anche ogni bruta libidine di potenza.

“La Francia doveva seguire sempre di più una gloire cieca, priva di luce…”
Il Mirgeler dice che, pertanto, la Francia doveva seguire sempre più la via di una «gloire» cieca, priva di luce: per cui nessun Francese – né ad un Luigi XIV né ad un Napoleone, né ad un Clemenceau – il trionfo è giovato a qualcosa, né esso si è risolto in un contributo positivo per un più saldo ordine europeo.
La Francia vera – egli dice – si rivela quando le cose giungono all’estremo. In tali momenti apparirà talvolta il salvatore, «il padre della vittoria»: ma egli non è più una Giovanna, non è nemmeno l’esponente degli strati più sani della Francia, strati esistenzialmente cristiani malgrado ogni corruzione ad ogni «libero pensiero». Sono invece figure in tutto e per tutto dell’«aldiquà», l’apparire e lo scomparire delle quali, così come l’animazione fugace che esse possono destare, restano privi di ogni significato profondo. Dal resto, sulla line del nazionalismo di massa, il cui prototipo è stato offerto all’Europa appunto dalla Francia, ben poco di più potrebbe esser desiderato.
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