E’ stata ripubblicata da poco da Cinabro Edizioni una importante opera di Antonino De Stefano, medievalista siciliano del Novecento, che insegnò Storia medievale all’Università di Bologna e di Palermo, ed i cui studi sui Normanni in Sicilia e sull’età di Federico II sono ancora oggi un punto di riferimento per molti studiosi. L’opera, Civiltà medievale, una summa del millennio medievale, fu pubblicata nel 1937 per l’editore F. Ciuni di Palermo e poi mai più riedita: in tal senso l’iniziativa di Cinabro Edizioni è, ancora una volta, assolutamente meritoria e degna di rilievo. Ricordiamo, tra l’altro, che Julius Evola ha citato in vari capitoli di Rivolta contro il mondo moderno diversi passi di un’altra importante opera di De Stefano, L’idea imperiale di Federico II, pubblicata a Firenze sempre nel 1937, e che poi fu ripubblicata successivamente, nel 1952 e, nel 1978, per le Edizioni all’insegna del Veltro di Parma, che hanno peraltro riproposto diverse opere di De Stefano.
Per celebrare questa importante iniziativa editoriale di Cinabro Edizioni, pubblichiamo oggi la trascrizione di un intervento di De Stefano al II Convegno Federiciano di Foggia del 1951, intitolato Fridericus, puer apuliae, in cui l’autore analizzava i motivi per i quali Federico II fosse spesso designato appunto con particolare epiteto di puer Apuliae. Prima di questo mini-saggio, vi riportiamo la scheda del volume Civiltà medievale, che potete acquistare qui, sul sito di Cinabro Edizioni.
***
Antonino de Stefano – Civiltà medievale – 250 pagine
20 euro – 9788832031232 – Collana Paideia (della stessa collana: Il problema della scuola di Guido De Giorgio e Il drago e l’eroe nei miti del nord di Mario Polia)
«Il Medio Evo tramonta quando, accanto alla concezione cristiana e soprannaturalistica della vita, che aveva dato all’Europa la sua impronta specifica, si viene elaborando e si fa sempre più operante una nuova o rinascente concezione naturalistica della vita, che costituirà il contenuto spirituale dell’età moderna»
Il libro
Dopo molti anni di oblio, torna disponibile la sintesi del millennio medievale scritta dallo studioso Antonino de Stefano e pubblicata alla fine degli anni ’30 del secolo scorso. In Civiltà medievale, il noto medievista siciliano rincorre il susseguirsi degli eventi e delle forze che determinarono l’epoca medievale, analizzandone le strutture ideali, politiche ed economiche. Il lavoro di de Stefano, libero dalle costrizioni intellettuali moderne, è lucido nell’analisi delle trasformazioni che, dall’alto Medioevo fino all’età moderna, hanno cambiato per sempre il volto della Civiltà europea, individuando quelle forze antitradizionali e individualiste, ‘moderniste’ e – potremmo dire – ‘nazionali’, che hanno abbattuto l’ideale imperiale cristiano-medievale per sostituirlo con le espressioni moderne dell’Umanesimo e del Rinascimento. Questa ricca opera di sintesi riflette il percorso intellettuale e spirituale dell’autore, grande esperto dei movimenti ereticali medievali e dell’idea imperiale di Federico II di Svevia, consegnando così una potente descrizione della civiltà medievale, con le sue luci e le sue ombre, dalle vertiginose altezze spirituali dell’elaborazione politica imperiale del primo Medioevo fino agli esiti antropocentrici e materialistici di un’epoca fra le più segnanti nella storia dell’Europa e del suo destino.
L’autore
Antonino de Stefano (Vita, Trapani, 4 agosto 1880 – Palermo, 5 dicembre 1964) è stato un acuto studioso e un profondo conoscitore della civiltà medievale con un percorso intellettuale, esistenziale e spirituale travagliato. Dopo gli studi in seminario, viene ordinato sacerdote ma frequenta circoli e gruppi culturali di ispirazione modernista. Accantonato ogni interesse per il modernismo, abbandona definitivamente l’abito talare per dedicarsi esclusivamente agli studi. La sua produzione scientifica risente di questa crisi esistenziale e di questa angoscia spirituale, in quanto oscilla tra lo studio dei movimenti ereticali medievali e le ricerche sull’età federiciana e sul carattere eminentemente teocratico dell’idea imperiale di Federico II, ripubblicate dalle Edizioni all’insegna del Veltro. Nonostante tutto, l’ispirazione religiosa rappresenta il movente ideale di tutta la sua opera, che secondo gli studiosi non ammette etichette di scuola. Scrisse per la rivista di studi religiosi Bylichnis, su cui pubblicò diversi saggi anche Julius Evola, il quale fece largo uso delle tesi di de Stefano nei suoi scritti.
***
Fridericus, puer apuliae
(II Convegno Federiciano di Foggia del 1951, tratto dall’Archivio Storico Pugliese – Bari, Società di Storia Patria per la Puglia, Anno IV, Fascicolo I)
di Antonino De Stefano
Dalle antiche fonti, italiane e tedesche, provenzali e francesi, e che risalgono per lo più all’epoca della sua giovinezza, l’imperatore Federico II viene spesso designato con l’epiteto di puer Apuliae (1). Ci si domanda: quale è il preciso significato da dare alla parola puer e perché viene associata ad essa la terra di Puglia e non quelle di Sicilia e di Germania, ove pure Federico ebbe a trascorrere tutta la sua prima giovinezza? La questione del significato della parola puer nel medio evo venne, intorno al 1870, affrontata da un erudito tedesco, il Pannenborg, in uno studio sul famoso carme “Ligurinus”, che risale all’epoca di Federico Barbarossa (2). Egli ebbe ad osservare che a proposito del Barbarossa i cronisti contemporanei non tralasciano di mettere in rilievo l’elemento giovanile della sua personalità. Ottone di Frisinga, lo storiografo e zio dell’imperatore, seguito poi dal suo continuatore Ragewin, lo chiama appunto dux, puer, puer generosus, rex puer, e ciò anche quando Federico I aveva già superato i trent’anni (3). E aveva giusto trentun anni quando Guntero scriveva di lui: mente senex, aetate puer (4).
Il cronista contemporaneo Goffredo di Viterbo, riferendosi al futuro imperatore Enrico VI, quando questi contava ventidue anni, non fa distinzione alcuna fra puer e adolescens. Egli adopera indifferentemente e nello stesso tempo le due espressioni (5).

Ritratto di Federico II con il falco dal suo trattato “De arte venandi cum avibus” (miniatura da un manoscritto della Biblioteca Vaticana)
In verità, nel Medio Evo, le varie stagioni della vita umana, al pari delle età del mondo, venivano determinate in maniera assai imprecisa e spesso arbitraria. Secondo una comune tradizione che risale ad Isidoro di Siviglia, l’età dell’uomo veniva divisa in sette periodi: 1) sino ai 7 anni (infantia); 2) sino ai 14 anni (pueritia); 3) sino ai 28 anni (adolescentia); 4) sino ai 40 anni (juventus); 5) sino ai 50 anni (virilitas); 6) sino ai 60 (senior); 7) sino alla fine della vita (senectus). Altri invece distinguevano solo 4 periodi: pueritia (sino ai 28 anni), juventus (sino ai 50), senectus (sino ai 60), senium (sino alla morte). Ma già uno scrittore del ‘200, Ugutio o Uguccione, avvertiva che le prime tre età computantur quandoque pro una (6), così che puer era in generale l’equivalente di juvenis e il concetto di giovinezza poteva essere esteso sin verso ai 40 anni. D’altra parte, la parola puer era suscettibile di assumere significati che trascendono il semplice riferimento all’età fisica. Il lessicografo Papias nel suo «Elementarium doctrinae rudimentum» osserva che, secondo l’uso ecclesiastico il concetto di puer può infatti indicare: 1. la natività; 2. l’obsequium (7).
In questo stesso senso Giovanni da Genova chiama David nei confronti del gigante Golia: magnum vicit puer ille Goliam (8). Mentre Sigeberto lo chiama puer et pastor degli Ebrei.
Benchè il riferimento del concetto di puer fosse stato dai cronisti contemporanei già applicato, pur con una certa elasticità, ai sovrani del loro tempo, non v’è dubbio che tale epiteto a nessuno avrebbe potuto convenire meglio che al re di Sicilia Federico, sia per la estrema giovinezza nella quale egli irruppe sulla scena del mondo, sia per quella temperie di giovinezza che tutta avvolge la sua corte. Egli è, per eccellenza, il puer (o infans) delle fonti latine contemporanee, il chint di quelle germaniche, l’enfans delle francesi, il joven delle provenzali. Egli è colui il quale stupì il mondo per la prodigiosa precocità della sua intelligenza e per la innata maturità del suo giudizio. Papa Innocenzo III ebbe a riconoscerlo e a proclamarlo solennemente: de ianua pubertatis passu velociori annos discretionis ingreditur, et aetatem anticipando virtutibus, feliciter regnandi primitias mirabiliter exconditur (9).
Come Federico, anche la sua corte presenta una caratteristica impronta di giovinezza e di precocità. Era giovinezza di anni, chè non avevano ancora venti anni i due fratelli Hohenburg, Riccardo conte di Caserta, Tommaso conte d’Aquino e Berardo d’Acquaviva, Riccardo Filangieri e Landolfo Caracciolo, quando essi erano già capitani generali o giustizieri del Regno. Ma era giovinezza anche di spirito, in un secolo in cui la cultura andava rapidamente rinnovandosi, quando accanto alla verità rivelata rinasceva il concetto della verità di ragione e la natura, già strumento di peccato, rifioriva pura ed umana agli occhi di Francesco d’Assisi. E nascevano in questo stesso tempo gli idiomi volgari e la poesia e l’arte e l’esperimento scientifico. Se il poeta provenzale Guglielmo Figueiras poté chiamare Federico «frutto di giovinezza», noi possiamo anche dire che egli fu il frutto più significativo di questa giovinezza del mondo.
Il giorno, poi, in cui questo biondo giovinetto, mezzo svevo e mezzo siciliano, inizia da Palermo, appena diciassettenne, il suo folle volo per la conquista della lontana corona germanica, fidando in una «disperata fortuna» (10), affrontando, inerme e solo confortato dall’approvazione papale, le infinite insidie della natura e degli uomini e poi, quando a prezzo di abilità diplomatica, di audacia militare e di volontà tenace, riesce ad abbattere l’imperatore rivale, ancora ricco di largo seguito e di cospicue risorse, non apparve più chiaro ove finiva il merito dell’uomo e cominciava l’opera del destino, o se il successo fosse dovuto a virtù soprannaturale piuttosto che allo sforzo terreno, coelesti magis quam terrena virtute (11). Il giovane eroe, che sembrava comandare alla fortuna e ai prodigi, parve assumere la parvenza di un mito. E fu appunto il mito della giovinezza.
Quando il diciannovenne Federico aveva appena cinto ad Aquisgrana la corona germanica (25 luglio 1215), il trovatore Guglielmo Figueiras gli indirizzò la canzone Totz hom qui ben comensa (12). Federico, un po’ per l’esaltazione del trionfo, un po’ per riconoscenza verso il papa, che gli era stato largo di aiuti, un po’ per l’ambizione di assurgere ad un ruolo di primo piano di fronte a tutta la Cristianità, aveva in quella occasione «preso la croce». Parve allora al poeta che nuovi tempi spuntassero per i popoli cristiani e che il giovine «crociato» fosse destinato a portare a maturazione l’opera di «saggezza e di penitenza», che si annunziava come «frutto di giovinezza».
Reis Frederics vos etzt frugz de joven
E frugg de pretz e frugz de conoissenza.
E si manjats del frug de penedensa,
Feniretz ben lo bon comensamen (13).

Castel del Monte
Questa giovinezza, così operosa e realizzatrice di sagge iniziative appariva, infatti, ad un altro poeta provenzale, Aimeric de Pegulhan, come lo strumento della salvezza comune. Nella canzone: En aquel temps que ‘l reis moric n’Amfos, Federico è rappresentato come un giovane «generoso, bello, buono, colto, valoroso, tenace e vittorioso», destinato sin dalla sua giovinezza ad essere il medico cui toccava il compito di guarire l’umanità delle sue malattie (14).
Era balzato il piccolo Federico a contendere la corona germanica al gigantesco Ottone, che aveva statura e forza erculee, una voce stentorea, l’aspetto leonino: David contro Golia. Il raffronto era venuto naturalmente allo spirito di papa Innocenzo, ma la similitudine non aveva avuto larga risonanza (15). L’epiteto che cronisti e poeti contemporanei applicheranno più frequentemente, e quasi per antonomasia a re Federico sarà quello di puer (talvolta anche infans) (16).
Ma l’espressione più caratteristica e più comune ai cronisti del tempo è quella che al concetto della giovinezza federiciana associa il richiamo della terra di Puglia: puer Apuliae (17); qualche volta anche infans e una volta adolescens Apuliae (18). Troviamo anche, ma ben raramente, adoperata la formula di rex Apuliae (19) o di rex Siciliae (20).
Talvolta, la Sicilia viene associata alla Puglia come due elementi costitutivi del regno federiciano (21), e in qualche caso la Puglia prende il posto della Sicilia (22). Tra le fonti contemporanee in volgare, quelle che hanno fatto più frequentemente richiamo a Federico «fanciullo di Puglia», sono da citare due rimatori, uno francese e l’altro tedesco.
Il primo è Filippo Mousket o Mouskes, morto nel 1244, il quale scrisse in ottonari a rima baciata una Historia Regum Francorum, che va sino al 1243 (23).
Per il rimatore francese Federico è:
Le fil de l’empereour Henri,
L’enfant de Pulle, que nori
Avaient si home in Sesile
a Palierne, sa rice vila (v. 20125 sgg.)
L’imperatore Enrico, padre del «fanciullo di Puglia» (Ki seres fu l’enfant de Pulle, ivi, v.20342), e lui stesso è ricordato come re di Puglia:
Adont que mors fu l’emperere
Henris, qui de Pulle rois ere (ivi, v. 20657 sgg.)
Federico è sempre il «fanciullo», sia quando a Vancouleurs il giovanissimo Luigi va ad incontrarlo da parte del padre Filippo Augusto, re di Francia (ivi, v.20699 sgg. E v. 20713); o quando, ad Aquisgrana, con lo scettro d’oro massiccio in mano e la corona regale sul capo, fa voto di prendere la crois d’outre mer (ivi, v.22783 sgg.), e infine anche dopo la sua incoronazione ad imperatore nel 1220 (ivi, v.23470).
Il rimatore tedesco è quell’ignoto bavarese il quale compose la prima continuazione della Kaiserkronik (24). Per questo cronista, di fronte al chaiser Ottone, Federico è sempre il chint von Pulle (25). Però, dopo l’incoronazione di Aquisgrana, Federico vien chiamato costantemente chünec, re (26); e dopo quella imperiale a Roma: chaiser (27) mentre nello stesso tempo al figlio Enrico vien dato il titolo di chünec (28).

Michael Scot, Michele Scoto (1175-1232 circa), matematico, astrologo e filosofo britannico, entrato a far parte della corte federiciana
Il concetto del puer Apuliae rifiorisce anche negli ambienti profetici e gioachimitici del secolo XIII. Così nei vaticini attribuiti a Michele Scoto, il famoso astrologo della corte federiciana, e nei quali Federico appare come il martello e il giustiziere del mondo (malleus orbis), mentre il papa sarà colpito da una serie di tribolazioni, il fanciullo di Puglia è destinato a regnare pacificamente sopra tutta la terra: Et puer Apuliae terras in pace tenebit (29).
In realtà, la Puglia doveva rappresentare nell’opinione pubblica d’Europa tutta l’Italia meridionale (30). Il suo nome era da tempo familiare ai cronisti e ai poeti a causa dei rapporti politici e religiosi che i loro paesi avevano avuto con essa. Quando ancora la Sicilia giaceva sotto la dominazione musulmana ed era pertanto nettamente avulsa dall’Europa cristiana, papi ed imperatori, Leone XII e Niccolò II, gli Ottoni ed Enrico II e Lotario, vi erano intervenuti, seguiti dalla loro corte di cavalieri e di prelati, a guerreggiare o a trattare con Bizantini e Normanni. Il puer Apuliae è soprattutto il fanciullo che viene dall’Italia meridionale. Anche dopo essere riconquistata dai Normanni alla Cristianità, la Sicilia doveva apparire ancora lontana, non solo nello spazio, ma anche all’immaginazione. Con una popolazione e tradizioni e lingue diverse, con un volto ancora in gran parte arabo e greco, essa doveva idealmente sembrare più vicina all’Oriente che all’Occidente. Se a Guglielmo Appulo la trilingue Palermo era apparsa ancora l’urbs inimica Deo, la Puglia, la regione più importante del Regno dopo la Sicilia ma di più sicura fede cristiana, doveva dare al fanciullo che, con la benedizione papale, veniva a inserirsi in pieno nelle tradizioni occidentali, una più rassicurante impronta di ortodossia e dare alla sua impresa un contenuto più nettamente latino e più europeo.
Ed era forse anche un presagio del posto che avrebbe un giorno occupato la Puglia nel cuore di Federico la regione dei suoi castelli, dei suoi cavalli, delle sua biade, delle sue cacce, la «magna Capitana» dove egli ebbe a trascorrere il meglio della sua esistenza e doveva esalare infine il suo ultimo respiro. E se egli volle che le sue spoglie mortali fossero seppellite là dove era la capitale del Regno, e dove giacevano le ossa dei suoi genitori, egli ebbe certo a lasciare gran parte del suo cuore a quei fedeli, che lo ebbero allora e lo ricordano ancora oggi come il fanciullo della propria terra, come il puer Apuliae.
Note dell’autore:
(1) Richard Oke intitola appunto un suo volume su Federico II: The boy from Apulia (Londra, s. d.).
(2) A. Pannenborg, Ueber den Ligurinus, in «Forschungen zur deutschen Geschichte», XI (1871), 161 sgg.
(3) Ott. Fris., Gesta, in MG., SS., XX. 358, 360, ecc.
(4) Gunteri Ligurinus, sive de rebus gestis imperatoris caesaris Friderici I, I, 286 (MIGNE, P.L., CCXII).
(5) Gotifr. Viterb., Pantheon, in Muratori, VI, 407 e MG. SS., XXII, 270. Lo stesso Goffredo (MG., SS., XXII, 270), parlando di Alessandro Magno, lo chiama Alexander rex puer.
(6) Hugucionis Liber derivacionum: e v. G. Goetz, in «Berichten d. Sächs. Ges. d. Wiss.», Phil-hist- Cl., 1903, pp.131 e 153.
(7) Cfr. Goetz, nelle «Münchner Sitzungsber.», 1903, p.282 sgg. In questo senso lo stesso Sigeberto (auct. Mortui Maris, MG. SS., VI, 464) chiama puer Enrico il Leone: Saxon ille puer fidissima signa regens (e cfr. Gunteri Ligurinus, I, 481 e 488).
(8) Johannis de Janua Catholicon: cfr. Goetz, in «Berichten d. Sächs. Ges.», cit.
(9) Huillard-Bréholles, I, 131; Potthast, Reg. Imp., 3306.
(10) «Disperate fortune se committens», Breve Chron. Sic., in Huillard Bréholles, Hist. Dipl., I, 89.
(11) Jamsilla, Hist. Si. (Muratori, VIII, 493). Il successo prodigioso di un’impresa scarsa di mezzi e grandiosa nei risultati, stupì il mondo. Il trovatore Aimeric de Pegulhan cantò allora che solo dopo aver assistito alle gesta di Federico si poteva prestar fede a quelle attribuite ad Alessandro Magno, che sino allora gli erano apparse incredibili. Cfr. E. Kantorovicz, Federico II di Svevia, trad. it., p.39.
(12)E. Lèvy, G. Figueiras, n.6, p.49; G. Gröber, Grundiss der roman. Phil., Strasburgo 19ì893, 217, 7.
(13) J. Wittenberg, Die Hohenstaufen in Munde der Trobadours (Diss.), Münster i. W., 1908.
(14) Anc hom non metge de son jovin / tant larc, tant bel, tant bon, tant conoissens, etc.; Ed. C. Bartsch, Chrést, prov., 179; V. Crescini, Man. Prov., 116-7; Gröber, op. Cit., 10, 26.
(15) Essa fu tuttavia citata ad esempio di genere oratorio da Buoncompagno da Signa, il quale nella Rettorica Nuovissima, composta poco dopo il 1215, scrisse: «Potest namque Otto, cui papa Innocentius cum gladio spiritual verticem coronatum excidit in Saulem vel Goliam propter magnitudinem stature transumi: rex Federicus in David, ipse Innocentius papa in Deum, quia omnia quaecunque voluit fecit». A. Gaudenzi, Sulle opere dei dettatori bolognesi, in «Boll. Dell’Ist. Stor. Ital.», XIV (1895), p.11.
(16) «Frederico puero procedente et Maguntiam veniente», Reinerij Leodiensis Annales (MG. SS., XVI, 665); «Fridericus puer, collectis fautoribus suis, saxoniam ingreditur» (ibid., 666); «Marchio de Mince se confederat Frederico puero… relicto Ottone» (ibid.). Vedi inoltre: Ann. Wigorn., a. 1212 (Luard, Monast., IV, 400); Ann. Waverl. (ibid., II, 331); Chron. Andrense (Recueil, XVIII, 577); Chron. Laudun. (ibid., 716); Sigeb., Contin. Berg. (MG. SS. VI, 440); ecc.
(17) «Fredericus, cognominatus puer Apuliae, Rome apud Sanctum Petrum a domno papa Honorio in imperatorem est consecratus Romanorum» (Sigeb. Contin. Bergensis, ivi, 440).
(18) «Infans Apuliae» Sigeb., Auctar. Mortui Maris (MG. SS., VI, 467 e 468); «Fredericus qui infans Apuliae, quia juvenis erat, tunc appelabatus», Richer. Senon (Böhmer, Fontes, III, 19); «roi Feldric, qui enfes estoit, qui puis fu aplez en mains liens li enfez de Puille», Contin. Guill. Tyr (Recueil, II, 234). «Adolescens Apuliae», Chron. Turon., in Martene, Coll. Ampl., v. Ad a. 1212.
(19) «Federicus rex Apuliae, ab omnibus carus habetur» (Ann. Rein. Leod., MG. SS., XVI, 665, a. 1212). «Frederico, regi Apulie, sublimato Dei voluntate, auxilio domini pape et regis Francorum» (ivi, 665, a. 1213). «Fridericus rex Apulia Aquisgrane coronatus est» (Sigeb. Contin. Bergensis, MG. SS., 439).
(20) «Fredericus, rex Siciliae, cum validissimo exercitu Mosellam transivit»: Ann. Colon. Marx. (MG. SS., XVII, 827); e cfr. Ann. Placent. Guelph., a. 1212, ivi, p.426.
(21) Alberto di Beham, che fu legato d’Innocenzo in Germania, scrive: «Rex Fridericus, inops et peregrrinus, in nautica Romam venit iuravitque, ut debat iuxta consuetudinem, regnum Sycilie fidelitatem domino Innocentio p. III suisque successoribus pro regno Apulie et Sycilie nec non ligium homagium sibi fecit» (Höfler, Kaiser Friedrich II, München 1844, p.15).
(22) Così quando nel 1216 Federico invia a Palermo l’arcivescovo Berardo e il conte Alberto («magnum virum Theutonicum») per condurre in Germania la regina Costanza, questa è fatta venire dalla Puglia. Salimbene de Adam, nel suo Memoriale potestatum Regiensium (1290) scrive:«Domina regina venit Regium (dell’Emilia) veniendo de Apulia et eundo in Alameanniam» (Muratori, VIII, 1084)
(23) Ed. A. Tobler, in MG. SS., XXVI, 721-821.
(24) La Kaiserchronik è, come è noto, una composizione poetica del secolo XII, in gotico antico, per lo più in versi ottonari a rima baciata. La parte più antica va sino al 1147, cioè alla crociata di Corrado II. Al testo primitivo furono aggiunte continuazioni: la prima fu composta intorno al 1260 in ambiente bavarese, la seconda intorno al 1281 in ambiente svevo. Ed. in MG., Deutsche Chroniken, I, 397 sgg.
(25) Daz chint den man von Pulle hiez (c.418 sgg.); chint von Pulle (vv. 442 e 483).
(26) Cfr. vv. 525, 532, 536, 599, 602.
(27) Cfr. vv. 540, 541, 549, 568, 583, 589, 593.
(28) Chünc Hainrich (v.614); der junge chünic Hainrich (v.618).
(29)Futura presagia Lombardie, Tuscie, Romagnole et aliarum partium, per magistrum Michaelem Scotum declarata, in O. Holder-Egger, Italienische Propgetien del 13. Jahrhundert, in «Neues Archiv», XXX, 1904, p.265.
(30) Anche nell’uso trobadorico la Puglia sta a designare tutto il Regno di Sicilia. Così quando il rimatore Pons de Capduoill auspica la pacificazione tra l’imperatore Ottone e il «re di Puglia», nell’interesse della crociata (Gröber, 275, 6); o quando Uc de S. Circ indica la conquista della Puglia come la conquista del Regno: et anem lai en Polha lo regne conquerer (id., 475, 42); o anche quando Peire de la Caravana nel sirventese: De Puilla us soveigna (id., 332, I), deplora la ferocia di Enrico VI verso i suoi sudditi. Cfr. Wittenberg, op. Cit., p. 19.
'Il Medioevo e Federico II negli scritti di Antonino De Stefano' has no comments
Vuoi essere il primo a commentare questo articolo?