Il Natale dell’anima

Giunti alla vigilia del Santo Natale, pochi giorni dopo il solstizio d’inverno, vi proponiamo alcuni brevi ma significativi brani estratti dell’opera “Il Natale dell’anima” del celebre teologo e mistico medievale tedesco Eckhart von Hochheim, meglio conosciuto come Meister (Maestro/Mastro) Eckhart (1260 – 1327/1328), che ci spiega come vivere in senso realmente spirituale questo importante periodo forte dell’anno, come consentire a Gesù, alla Luce divina, di penetrare nelle anime, nei cuori. Soltanto l’abbandono del superfluo e delle sovrastrutture, il distacco dalle passioni, dal contingente e dall’Ego, la rinuncia alla vana ricerca di una “onniscienza” profana, conducono a depotenziare l’anima inferiore e la sua instabilità, a “svuotare” il cuore, affinché in quell’ “antro” purificato (ricordiamo la comune radice indoeuropea -kr delle parole greche kardion – “cuore” – e kryptos, agg. “nascosto”, da cui “cripta”, e “grotta”), il Divino possa discendere e permanere, trasformando dal profondo, a poco a poco, l’essenza ultima della persona. Ritornano indubbiamente nelle parole di Eckhart principi tradizionali ben noti. D’altronde tutte le pratiche ascetiche, compresi il digiuno, le astinenze, ecc., gli esercizi spirituali e le preghiere fondate sulla ripetizione incessante di nomi, monosillabi o formule, sono finalizzate a quest’opera di distacco dalle esigenze della corporeità, allo svuotamento dell’anima dalle superfetazioni, affinché nella persona possa gradualmente riemergere dal suo stato di latenza la componente animica superiore, quella in cui si riverbera e si manifesta lo Spirito. Per andare oltre, fino all’azzeramento della coscienza razionale ordinaria ed all’abbandono della prospettiva individuale pur nella permanenza della vita corporea, occorrerebbe poi il passaggio iniziatico in senso stretto, ma questo è un discorso che dalla dimensione exoterica sfocia in quella esoterica, e la via è quindi ben più complessa, rigorosamente elitaria e comunque assai rischiosa, soprattutto in quest’epoca.

Cogliamo l’occasione per fare a tutti i lettori i migliori auguri, dandoci appuntamento a gennaio. In alto i cuori!

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di Meister Eckhart

brani tratti da “II Natale dell’anima”, edizione italiana a cura di Giuseppe Faggin, Ed. La Locusta, Vicenza, 1976 

«Dov’è il re dei Giudei che ora è nato?» (Mt. 2,2).

Osservate anzitutto dove avviene questa nascita. Io affermo, come ho già fatto più volte, che questa nascita eterna avviene nell’anima nello stesso modo che avviene nell’eternità: è una sola e medesima nascita. E in verità si compie nell’essenza e nel fondo dell’anima (…), nell’interiorità dell’anima, dove mai un’immagine poté penetrare, né mai alcuna delle facoltà dell’anima si rispecchiò.

Meister Eckhart

In questa misura tu devi liberarti da tutte le tue attività e ridurre al silenzio tutte le tue facoltà, se vuoi che davvero si realizzi in te questa nascita; Il Natale dell’anima è la nascita del Figlio di Dio nel cuore dell’uomo. Se vuoi trovare il Re appena nato, devi lasciar da parte tutte le cose che potrai trovare e abbandonarle dietro di te!

Se mi venisse chiesto perché Dio si è fatto uomo, io direi: perché Dio nasca nell’anima e l’anima nasca in Dio. È per questo motivo che è stata scritta tutta la Scrittura, e per questo motivo Dio ha creato il mondo: perché Dio nasca nell’anima e l’anima nasca in Dio.

Nell’intima profondità dell’anima, nel lumignolo della ragione, accade la nascita di Dio. In quanto di più puro, di più nobile e di più tenero l’anima ha da offrire, deve essere: avvolta in un profondo silenzio, una creatura non ha raggiunto ancora alcuna immagine.

Ora l’anima con le sue facoltà si è dispersa e distratta nell’esteriorità, ciascuna alla sua opera: la potenza di vedere nell’occhio, la potenza di udire nell’orecchio, la potenza di gustare nella lingua. E nella stessa misura esse sono più deboli a compiere interiormente la loro opera, poiché ogni facoltà che si riversa al di fuori è imperfetta. Perciò, se l’anima vuole esplicare all’interno un’energica attività, deve revocare a sé tutte le sue facoltà e raccoglierle, fuori dalle cose sparse, in un’azione interiore (…). Raccogli dunque tutta la tua ragione e tutto il tuo pensiero e torna verso il fondo, dove il tesoro giace nascosto. Se ciò deve avvenire, sappi che devi abbandonare ogni altra cosa: devi giungere all’ignoranza se devi trovare il tesoro (…).

Se il tuo occhio vuol vedere tutte le cose, il tuo orecchio ascoltarle tutte, il tuo cuore averle tutte presenti, è inevitabile che la tua anima sia frantumata e dispersa in tutte quelle cose. Perciò dice un dottore: «Quando un uomo vuol compiere un’opera interiore deve raccogliere in sé tutte le sue forze, come in un angolo della sua anima, e allontanarsi da tutte le immagini e le forme: allora può agire. È necessario ch’egli entri in uno stato di oblio, d’ignoranza. Tranquillità e silenzio devono esserci la dove questa parola dev’essere udita; e ad essa non si può arrivare in modo migliore che rimanendo immobili e silenziosi; allora si può ascoltare, si può comprendere: nell’ignoranza! Quando non si sa più nulla, essa si fa sentire e si rivela.

Qui ci si deve elevare a una forma superiore di conoscenza: questa ignoranza non nasce dall’ignoranza, ma dal sapere! Qui noi dobbiamo essere ignoranti per mezzo del sapere divino: la nostra ignoranza è allora nobilitata e ornata dalla conoscenza soprannaturale. E qui noi, mantenendoci in uno stato di passività, siamo più perfetti di quando operiamo. Perciò un dottore ha detto che l’udito è superiore alla vista poiché la saggezza si impara più con l’udito che con la vista, e si è più saggi per mezzo dell’udito. L’udito va più verso l’interiorità, la vista di più verso l’esterno: lo stesso atto del vedere lo dimostra (…). L’attività con cui ascolto la parola divina è in me, mentre l’attività del vedere è diretta lontano da me: nell’ascoltare sono passivo, nel vedere attivo. Ma la nostra beatitudine non riposa sulla nostra azione, ma sulla nostra passività di fronte a Dio […].

I discepoli di San Dionigi gli chiesero perché Timoteo li superasse tutti in perfezione. Egli rispose: «Timoteo è un uomo passivo di fronte a Dio; chi supera in ciò gli altri, è più perfetto». Così la tua ignoranza non è una mancanza ma la tua più alta perfezione, e il tuo patire è la tua azione più alta!

Nell’immagine in evidenza, “Adorazione del Bambino” di Gerrit van Honthorst (1619-1620 circa; Firenze, Galleria degli Uffizi)



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"In una civiltà tradizionale è quasi inconcepibile che un uomo pretenda di rivendicare la proprietà di una idea e, in ogni caso, in essa chi così facesse, con ciò stesso si priverebbe di ogni credito e di ogni autorità, poiché condannerebbe l’idea a non esser più che una specie di fantasia senza alcuna reale portata. Se una idea è vera, essa appartiene in egual modo a tutti coloro che sono capaci di comprenderla; se è falsa, non c’è da gloriarsi di averla inventata. Una idea vera non può essere «nuova», poiché la verità non è un prodotto dello spirito umano, essa esiste indipendentemente da noi, e noi abbiamo solo da conoscerla. Fuor da tale conoscenza, non può esservi che l’errore" (R. Guénon)

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