di Julius Evola
(Tratto da “Roma”, 1955)
In occasione delle manifestazioni varie che da noi sono tornate a legarsi al 1° maggio, ci è venuto di pensare ad un fenomeno, su cui più di una volta abbiamo portato l’attenzione e che si può definire come l’inversione dei simboli.

Il rito romano del Trionfo: il comandante vincitore, rivestito e dipinto di porpora, raggiungeva il Tempio di Giove Capitolino
Ci si può riferire, in prima linea, al simbolismo del color rosso. Si sa del canto: “Insorgi o popolo – alla riscossa – bandiera rossa – trionferà”. A partire dalla bandiera del Terrore, il “rosso” ha contrassegnato costantemente i moti del radicalismo rivoluzionario, poi lo schieramento del marxismo e del comunismo, per giungere fino alle “guardie rosse”, alla stella rossa dei Soviet e all’armata rossa della Russia bolscevica. Ebbene, il colore rosso, divenuto ormai emblema esclusivo della sovversione mondiale, è anche quello che come porpora si è ricorrentemente legato alla funzione regale ed imperiale, anzi non senza relazione col carattere sacro che a tale funzione fu così spesso riconosciuta. Al rosso della rivoluzione si contrappone il rosso della regalità. La tradizione potrebbe ricondurci fino all’antichità classica, ove tale colore, avente una corrispondenza col fuoco, concepito come il più nobile fra tutti gli elementi (è l’elemento radiante che, secondo gli antichi, sostanzierebbe il più alto dei cieli, il quale perciò fu chiamato l’empireo), si associò anche al simbolismo trionfale. Nel rito romano del trionfo che, nell’antichità, ebbe un carattere più religioso che non militare, l’imperator vincitore non solo rivestiva la porpora, ma in origine si tingeva di questo stesso colore, nell’intento di raffigurare Giove, il re degli déi, perché si pensava che Giove avesse agito attraverso la sua persona, tanto da essere lui il vero artefice della vittoria e il principio della gloria umana.
È superfluo citare esempii delle tradizioni successive, per il ricorrere del rosso come colore della regalità. Nello stesso cattolicesimo, i “porporati” sono i “principi della chiesa”. Esisteva il detto: “essere nati nella porpora”, con riferimento ad una camera del palazzo imperiale bizantino, dove si faceva in modo che nascessero i principi della Casa regnante. Entrò nell’uso della lingua inglese dire: he was born in the purple, per significare che una persona era nata in un ambiente regale o, almeno, elevatissimo. E con esempii del genere, spigolabili anche in paesi non europei, si potrebbe facilmente continuare. Il fatto che, successivamente, la associazione del rosso col sovversivismo può avere avuto certi rapporti col terrore, con lo spargimento di sangue facente parte integrante della pratica dei banditori della religione giacobina dell’umanità, con toglie nulla al carattere singolare di questo processo effettivo di inversione: il colore dei re che diviene il colore della rivoluzione.

I cardinali o “porporati” della Chiesa cattolica
Ma c’è di più: proprio l’uso moderno della parola “rivoluzione” accusa un identico capovolgimento di significato. Infatti il termine “rivoluzione”, nel suo senso primario e originario non vuol dire sovvertimento e rivolta, ma proprio l’opposto, cioè ritorno ad un punto di partenza e moto ordinario intorno ad un centro immobile: per cui, nel linguaggio astronomico la “rivoluzione” di un corpo celeste è appunto il movimento che esso compie gravitando intorno ad un centro, centro che ne vincola la forza centrifuga, obbedendo alla quale esso si perderebbe nell’infinito spazio. Per cui, in forza di una naturale analogia, anche questo concetto ha avuto una parte importante nella dottrina della regalità. Il simbolismo del “polo” applicato al Sovrano, punto fermo, “neutro” e a stabile intorno a cui si ordinano le varie attività politico-sociali, ha avuto carattere e diffusione quasi universali. Ecco, ad esempio, un concetto caratteristico dell’antica tradizione estremo-orientale: “Colui che regna mediante la virtù del cielo (in termini occidentali si direbbe: il re per grazia di Dio) rassomiglia alla stella polare: essa resta ferma al suo posto, ma tutte le altre stelle le volgono d’intorno”. Nel vicino Oriente il termine Qutb, “polo”, ha designato non solo il Sovrano, ma, più in genere, colui che in un determinato periodo storico decreta la legge come capo della tradizione.
Si può rilevare, del resto, che l’insegna regia ed imperiale dello scettro (che si ritrova, però, anche come attributo di molte divinità celesti), in origine ha avuto un non diverso significato. Lo scettro esprime, in fondo, anche il concetto di “asse”, analogo a quello di “polo”. E questo è un aspetto essenziale della funzione regale, base dell’idea stessa di “ordine”. Grazie ad esso, in un organismo politico sussiste sempre qualcosa di saldo e di calmo, malgrado ogni sconvolgimento ed ogni agitazione dovuta alla contingenza dei tempi.

Inversione del colore rosso: da simbolo di regalità a simbolo di sovversione nel comunismo sovietico
La “rivoluzione”, nel senso moderno, con tutto quanto essa ha creato, incorpora esattamente il significato opposto: le forze politiche e sociali si sciolgono dalla loro orbita naturale, declinano, non conoscono né tollerano più un “centro” (una vera autorità) né un ordine che sia diverso da una forma malamente e temporaneamente arginata di disordine. L’espressione di Trotzki, “la rivoluzione permanente“, è il caso-limite, e, a tale riguardo, è significativa, quale pur sia il senso specifico che voleva darle il suo autore. Indica esattamente il punto di vista della fondamentale instabilità di forze, che in fondo sono le forze stesse del caos e della materia disgiunta da ogni principio superiore.
Questi sono solo due casi di “inversione dei simboli”. Molti altri esempii potrebbero essere rilevanti e, presentandosene l’occasione, su di essi potremo tornare. Non si può negare che siano significativi ed eloquenti, quali “segni dei tempi”.
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