In memoria di René Guénon

Concludiamo oggi, con questo articolo, il lungo speciale dedicato da RigenerAzione Evola ai rapporti tra Evola e Guénon che ci ha accompagnato nelle ultime settimane. Argomento su cui ovviamente torneremo con piacere, quando se ne porranno i presupposti.

Questo breve scritto di Evola pubblicato sul “Roma” nel febbraio 1951, si presentava con un lunghissimo titolo, “Col pretesto di conquistare la terra, l’uomo ha perduto il controllo della realtà metafisica”, che farebbe pensare ad un saggio di natura dottrinaria. Si trattava, in realtà, di un articolo scritto per ricordare la figura di René Guénon, scomparso il mese precedente. “Un Maestro dei tempi nostri, il difensore del «tradizionalismo integrale», il più radicale degli «antimoderni»”: scriveva senza esitazione Evola. Con, chissà, anche un pizzico di commozione, ripensando a quel rapporto così particolare che caratterizzò per qualche decennio questi due giganti, che non si incontrarono mai di persona. Evola avrebbe voluto almeno vedere in fotografia il viso di Guénon, ma neppure questo gli fu possibile: lo sappiamo per certo proprio dal contenuto dell’ultima lettera del maestro di Blois indirizzata ad Evola, del 25 luglio 1950, in cui possiamo leggere: “Poiché voi mi chiedete informazioni sulla mia età, io ho ora 62 anni: sapevo che voi dovevate essere più giovane di me, ma tuttavia non credevo che la differenza fosse così grande. Per quanto riguarda la fotografia, mi dispiace di non potervi accontentare, ma la verità è che non ne ho alcuna, e ciò per molte ragioni (…)”. Per chi volesse scoprire quali fossero queste ragioni, rinviamo all’articolo “La mia corrispondenza con René Guénon”, che Evola pubblicò nel 1972 sul mensile “La Destra”, e che abbiamo riproposto ai nostri lettori nel 2016.

In ben poche circostanze Evola scrisse per ricordare un personaggio venuto a mancare: lo fece ovviamente per Adriano Romualdi, probabilmente unico vero e proprio “discepolo” evoliano, amico e, forse, ci piace pensarlo, una sorta di figlio per Evola; e lo fece, sia pure a distanza di molti anni, per ricordare con parole di grande e sincera stima l’amico Roberto Farinacci, con cui condivise, tra le altre cose, l’incredibile esperienza del Diorama Filosofico.

La scomparsa del Guénon costituisce una perdita difficilmente riparabile (…), non vi è chi possa assumere degnamente la successione”, chiosava con parole inequivocabili Evola in questo articolo. Sia pure accennando a quel dogmatismo ed a quell’unilateralezza della visione guénoniana, su cui era già tornato nella prefazione a “Considerazioni sull’iniziazione”, da noi pubblicata qualche giorno fa, che nessuno avrebbe più potuto realmente correggere.

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di Julius Evola

tratto dal “Roma”, 27 febbraio 1951

Recentemente è morto al Cairo, ove da tempo aveva organizzato la sua vita lontano dall’ambiente europeo, ad appena 62 anni, René Guénon, un Maestro dei tempi nostri, il difensore del «tradizionalismo integrale», il più radicale degli «antimoderni». Benchè del Guénon anche in Italia siano uscite diverse opere tradotte (una, forse la più accessibile, La crisi del mondo moderno, l’abbiamo tradotta noi stessi), pure non si può dire che egli nella nostra cultura abbia avuto accesso e riconoscimento quanto uno Spengler, un Massis, uno Jung, un Keyserling, un Ortega y Gasset, autori che tuttavia, quanto a statura spirituale, serietà e sicurezza di dottrina, non possono certo essergli messi a fianco.

A ciò può aver contribuito il fatto che il Guénon ha rifuggito da ogni espediente inteso a cattivarsi il pubblico «intellettuale» e a dare un carattere brillante ai suoi libri. La ragione principale è tuttavia un’altra. Mentre il pubblico ordinario in autori, come quelli sopra citati, trova sempre delle menti che appartengono al suo mondo, anche quando lo criticano e condannano, esso nel Guénon si trova di fronte a qualcuno che con tutto ciò che è cultura e mentalità moderna non ha e non vuole avere nulla a che fare, che rappresenta un mondo diverso, né parla in proprio e difende posizioni personali, ma fa valere un complesso di principi, di prospettive e di valori che sono oggettivi e universali, e retaggio di civiltà che si svolsero prima della caduta materialistica, individualistica e razionalistica dell’uomo occidentale.

Per cui, ciò che nell’opera del Guénon ha una parte di rilievo – la critica del mondo moderno e l’esame delle cause reali della sua crisi – anche quando in qualche punto collima con vedute che oggi han finito con l’imporsi ai più, ha un’affatto diversa portata e sempre s’integra con l’indicazione precisa della controparte positiva. Un complesso di fatti, di correnti, di avvenimenti storici, di tendenze del pensiero, di simboli, ci appaiono così sotto una luce del tutto inaspettata e nuovi significati, nuove distanze, nuove misure si presentano al lettore capace di staccarsi dalle suggestioni e dalle distorte conoscenze su cui si basa la mentalità contemporanea.

In questa sede è assolutamente impossibile dare un ragguaglio sia pur sommario dell’opera del Guénon, sia per la sua complessità, sia, appunto, perchè non si può partire da ciò che è noto ai più. In effetti sarebbe difficile trovare una categoria nella quale far rientrare adeguatamente la figura del Guénon. Ciò che egli espone non è né «filosofia», né storia delle religioni, né sociologia, né psicologia o mitologia comparata, pur incidendo in tutti questi dominî e facendovi valere i punti di vista di una conoscenza profonda ed enigmatica. Accenneremo solo che a cardine di tutto il sistema sta la nozione di una realtà trascendente, sovrastante il mondo sia della razionalità che dei sensi, più in alto che misticismo, sentimentalità o speculazione. Le civiltà premoderne conobbero le vie per entrare in un contatto effettivo con una tale realtà. È così che si originò, nei quadri di una tradizione primordiale, una conoscenza «sacra» e «non-umana», unica nella sua essenza, concretizzantesi in discipline e scienze dimenticate e misconosciute (le «scienze tradizionali»), ma altresì in principî atti a fondare una autorità vera e indefettibile, a generare gerarchie effettive, a conferire un significato superiore ad ogni umana attività. Ciò fu il nucleo delle «civiltà tradizionali», varie nella forma, identiche però nello spirito.

Tutto questo mondo è stato travolto – prima in Occidente e ora, sembra, anche in Oriente – da processi di degenerescenza e di involuzione spirituale. Con la scusa di conquistar la terra, l’uomo ha rotto ogni contatto effettivo con la realtà metafisica, facendo sorgere le forme del «mondo moderno», negazione pura e semplice della Tradizione. Di contro ai miti confusi di tale mondo, alle sue nuovissime superstizioni, nel Guénon sempre di nuovo vien dato risalto a ciò che nel mondo tradizionale non è per nulla cosa superata di un «passato», ma ha un valore normativo, è misura per tutto ciò che, in senso superiore, può dirsi normale.

La scomparsa del Guénon costituisce una perdita difficilmente riparabile. Le sue opere, tradotte in diverse lingue, han sì esercitata una loro influenza su pochi spiriti; ma non vi è chi possa assumere degnamente la successione e tanto meno emendare da unilateralezze e da un certo dogmatismo alcune sue posizioni.



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"In una civiltà tradizionale è quasi inconcepibile che un uomo pretenda di rivendicare la proprietà di una idea e, in ogni caso, in essa chi così facesse, con ciò stesso si priverebbe di ogni credito e di ogni autorità, poiché condannerebbe l’idea a non esser più che una specie di fantasia senza alcuna reale portata. Se una idea è vera, essa appartiene in egual modo a tutti coloro che sono capaci di comprenderla; se è falsa, non c’è da gloriarsi di averla inventata. Una idea vera non può essere «nuova», poiché la verità non è un prodotto dello spirito umano, essa esiste indipendentemente da noi, e noi abbiamo solo da conoscerla. Fuor da tale conoscenza, non può esservi che l’errore" (R. Guénon)

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