Non perdete, domani, presso la Comunità Militante Raido di Roma (Via Sciré n. 21/23, ore 18), la presentazione del volume Inganno Bannon, pubblicato da Cinabro Edizioni, che, grazie al contributo di importanti autori, della nostra Redazione e della stessa Comunità Raido, getta finalmente luce sui reali obiettivi perseguiti dal progetto dell’Internazionale Sovranista propugnato da Steve Bannon e dai suoi uomini attraverso “The Movement”. Oggi, per l’occasione, ripubblichiamo il secondo redazionale che RigenerAzione Evola dedicò al tema il 7 ottobre 2018, in versione “minor”, ricordando che questo scritto, unitamente a quello ripresentato due giorni fa, adeguatamente ampliati, riveduti e sviluppati, costituiscono un unico articolo di ampio respiro con cui RigenerAzione Evola ha avuto l’onore di contribuire al libro Inganno Bannon. Non mancate!
Nell’immagine in evidenza, Steve Bannon col suo fedelissimo Benjamin Harnwell.
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Matteo Salvini fra Steve Bannon e Mischaël Modrikamen
Come abbiamo sostenuto nel precedente articolo, “The Movement”, fondato ufficialmente a Bruxelles nel gennaio 2017, nello studio dell’avvocato Mischaël Modrikamen, leader del Partito Popolare Belga ed ex presidente della Comunità israelitica liberale del Belgio, cofondatore e personalità operativa di spicco del movimento, dovrebbe coordinare, assistere e finanziare tutti i partiti ed i movimenti politici dell’area occidentale euro-americana riconducibili all’area sovranista e populista, in grande fermento negli ultimi tempi.
Questa “rete” internazionale, almeno di facciata, dovrebbe contrastare l’egemonia di George Soros sulla sponda opposta e difendere i “valori” dell’Occidente contro la “barbarie” che proviene da Oriente, rappresentata principalmente dall’Islam, più o meno “radicale” (ribattezzato da Bannon il “fascismo islamico”) e da Stati come la Turchia, l’Iran, la Cina.
In tal senso, le parole d’ordine del movimento di Bannon sarebbero la difesa di un capitalismo “illuminato”, slegato dagli eccessi della finanza, la difesa delle identità e delle sovranità nazionali, la lotta contro l’immigrazione incontrollata, la difesa delle radici “giudaico-cristiane” dell’Occidente. Concetti facilmente in grado di attrarre partiti e leader politici, tanto più quando siano accompagnati dalla promessa di consistenti sostegni materiali e finanziari.
Peraltro, la prospettiva di “The Movement”, nel medio-lungo periodo, è quella di estendere il proprio ambito operativo anche al fronte politico popolare e conservatore, cercando di creare un’alleanza sovranazionale tra partiti conservatori tradizionali e “destre sovraniste”. Alleanza sovranazionale che, nell’intenzione di Bannon e Modrikamen, dovrebbe già dare dei risultati tangibili alle prossime elezioni europee, con la creazione di un gruppo parlamentare a Strasburgo estremamente numeroso ed in grado di esercitare una pressione politica rilevante. Modrikamen punta peraltro ad integrare (leggasi “intrappolare”?) nella sua “rete” decine di movimenti principalmente europei, ma non solo: nelle sue intenzioni, infatti, c’è l’idea di coinvolgere anche partiti e personalità extraeuropee. L’esempio più calzante è senz’altro quello di Jair Bolsonaro, il neo-presidente “sovranista” del Brasile.
Come già accennato, dietro tutta questa operazione apparentemente così innovativa, attraente e contro-corrente, si nasconde l’ennesima trappola pianificata a tavolino dalle peggiori “intellighenzie” sovversive, operanti dagli Stati Uniti e altre dalle centrali mondiali della sovversione.
Lo scopo è, come anticipato, quello di inglobare e gestire geo-politicamente e strategicamente, per poi eventualmente orientare dove e come si vuole, il fenomeno della reazione “populista-sovranista” alle conseguenze delle politiche distruttici in campo economico, sociale, culturale portati avanti dai mostruosi leviatani dell’era contemporanea, come l’Unione Europea, il FMI, l’ONU, e via dicendo.
Come spesso accade in questi casi, certi fenomeni come quelli dei “populismi” in parte vengono indotti, quale “valvola di sfogo” dei popoli, ed in parte, soprattutto quando, come spesso capita, tali fenomeni escono fuori da certi “argini” di sicurezza, vengono poi usati e manipolati per orientarli come teste d’ariete verso determinati “nemici” o determinate finalità.
Ad esempio, i flussi migratori creati ed indotti a tavolino per destabilizzare etnicamente e culturalmente, imporre modelli omologati e standardizzati su scala planetaria, o per ricattare determinati Stati, costituiscono una realtà acclarata da tempo (anche se ovviamente misconosciuto a livello mediatico ufficiale); quando un fenomeno come questo arriva ad ingenerare reazioni che superino la soglia di guardia, e che possano concretizzarsi in istanze politiche di rigetto, diventando un cavallo di battaglia di partiti o movimenti di opposizione, arriva il momento di entrare in scena, per cavalcare queste istanze e poterle eventualmente “controllare”. Da qui nasce, ad esempio, l’esigenza di “The Movement” di propugnare la lotta all’immigrazione selvaggia e la difesa delle identità.
Per l’ennesima volta gli Stati Uniti (con la consueta assistenza degli amici, alleati e manipolatori di sempre) irrompono sullo scenario internazionale, per destabilizzarlo a proprio favore. Come osservato da Claudio Mutti (1), l’atto di nascita dell’isolazionismo statunitense, la cosiddetta “Dottrina Monroe” enunciata dall’eponimo presidente il 2 dicembre 1823, costituì storicamente la prima formulazione programmatica dell’imperialismo nordamericano, intriso di messianismo, puritanesimo, calvinismo, che avrebbe dovuto rapidamente rimuovere l’Europa dalla sua posizione di centro della civiltà e del diritto del mondo (2). Allo stesso modo, oggi, la retorica del nuovo isolazionismo americano propugnata da Trump, con le sue parole d’ordine dell’America first e del make America great again, dietro cui si nasconde il lavoro propagandistico elettorale elaborato da Steve Bannon quando era ancora chief strategist di Trump, appare come un invito a “riaffermare con forza la specifica identità nazionale statunitense ed il ruolo di guida mondiale che la Provvidenza avrebbe destinato al paese nordamericano” (3). Questo messianismo, questo delirio di onnipotenza, questo auto-attribuirsi il ruolo di “unti dal Signore”, di popolo predestinato ad “intervenire nel mondo secondo giustizia per cambiarlo e rigenerarlo”(4), ha una chiarissima matrice (connaturata d’altronde alle origini stesse dell’entità statunitense) nel puritanesimo calvinista ed in un ben noto messianismo che ritroviamo in una parte della Bibbia ed in determinati sviluppi talmudici successivi.
Tutto questo si ritrova nel Movimento di Bannon e nella cosiddetta “Alternative Right” (Alt-right) americana, di cui il misterioso giornalista e produttore cinematografico è esponente di spicco e che trova la propria piattaforma internet nel portale Breitbart News, di cui lo stesso Bannon è stato direttore esecutivo e di cui ora, dopo la formale “rottura” con Trump, è presidente. Al riguardo, viene da pensare che l’abbandono del ruolo di consigliere nell’amministrazione Trump sia stato funzionale a consentire al vecchio amico del presidente americano di “liberarsi” di altri impegni ufficiali e di poter operare senza altri vincoli su un altro fronte, cioè quello di cui stiamo parlando.

La Certosa di Trisulti, che dovrebbe ospitare l'”accademia teo-con” di Bannon
D’altronde Bannon, ex uomo di Goldman Sachs, ribattezzato da Pietrangelo Buttafuoco il “Machiavelli a disposizione del sovranismo internazionale”(5), è apparso probabilmente ai registi occulti di quest’ennesima operazione sporca come il personaggio più adatto da “addestrare” e gettare nella mischia, alla luce della sua infarinatura culturale vagamente “tradizionalista”(6), estremamente disordinata e confusa in termini dottrinari. Infarinatura che, comunque, ha permesso a Bannon di acquisire un credito ed una fama tali da attrarre ambienti conservatori e persino legati al cattolicesimo antimodernista: si pensi al feeling di Bannon con il cardinale Raymond Leo Burke, capofila dell’opposizione a Papa Francesco.
Un altro aspetto inquietante della capacità di penetrazione del movimento di Bannon e sodali nel cuore dell’Europa e dell’Italia, anche grazie all’aggancio col mondo cattolico antimodernista, è legato al progetto di creazione di una sorta di Accademia “teo-con”, una “scuola di formazione” delle future élites dei populisti, denominata Schola Palatina, presso la celebre Certosa di Trisulti, a Collepardo, in provincia di Frosinone (7); “scuola” che dovrebbe divenire operativa nel 2020, terminati i lavori di restauro e riorganizzazione dell’intera struttura.
La storica Abbazia, fondata dai Certosini (ordine particolarmente apprezzato da Evola, che ebbe modo di soggiornare presso il Monastero di Farneta, Casa Madre dell’Ordine Certosino dal 1903 al 1940, nonché presso la Certosa di Hain, in Germania), da almeno una decina d’anni versava in una situazione particolarmente grave. Dopo appelli e richieste provenute da più parti, dal febbraio 2018 la Certosa è passata ufficialmente sotto la gestione dell’Istituto Dignitatis Humanae – che abbiamo citato a proposito del convegno organizzato in Vaticano nel 2014 – che ha ottenuto in concessione la struttura abbaziale.
L’Istituto Dignitatis Humanae, con sede a Roma, a due passi dal Vaticano, un classico esempio di think tank di stampo anglo-americano, è stato fondato nel 2008 da un certo Benjamin Harnwell, ottimo amico di Steve Bannon, che per 15 anni ha militato nei Tories. Dunque, tramite un suo “uomo” ed un’associazione dietro cui agisce in prima persona nelle vesti di finanziatore e “promotore” (il suo nome spicca tra quelli dei patrons dell’Istituto), un americano dalla incerta formazione e, soprattutto, dalle pericolose intenzioni, potrà installare un quartier generale ideologico-culturale da lui ribattezzato “accademia per l’occidente giudeo-cristiano”(!) presso un luogo sacro dalla profonda tradizione come quest’abbazia, distante soltanto un centinaio di chilometri da Roma.
Pungente è stato il commento di Pietrangelo Buttafuoco, che ha bollato il pensiero bannoniano come una “minestra revotata dei neo-con occidentalisti” ed ha ironicamente paragonato la “scuola teologica” del leader di “The Movement” ad una triste riedizione in terra ciociara ed in salsa kali-yuga dell’Istituto di Studi Comunisti che, dal 1944 al 1993, ebbe sede presso Frattocchie, frazione del Comune di Marino ad una ventina di chilometri dalla Capitale (8).
Allineato all’intera operazione di “The Movement”, appare ovviamente lo Stato d’Israele: per quanto appaia sorprendente, anche il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu sta stringendo legami di amicizia con i leader politici dei movimenti populisti europei in ascesa, come Viktor Orbán e Sebastian Kurz, e dagli ambienti populisti riscuote simpatie. D’altronde Israele, fondamentale come sempre per gli Stati Uniti sullo scacchiere medio-orientale anche in chiave anti-iraniana, rappresenta un punto di riferimento fondamentale per Bannon, autodefinitosi in modo pittoresco “sionista cristiano”(9).

Bannon ospite della Zionist Organisation of America
Peraltro lo stesso Modrikamen, unico leader di partito ad aver rigettato completamente ogni idea di riconoscimento dei diritti palestinesi al parlamento belga, in occasione dell’ “International Leader Summit” di Gerusalemme del dicembre 2016, ricevuto con tutti gli onori alla Knesset, oltre a portare la propria solidarietà agli occupanti sionisti in Palestina, ha firmato una dichiarazione congiunta con altri paesi partecipanti, i cui contenuti riecheggiavano perfettamente, con un mese di anticipo rispetto alla nascita di “The Movement”, le proposte politiche dei movimenti populisti. Come notato (10), questo stranissimo Vertice di Gerusalemme, organizzato da Yasmine Dehaen, la moglie di Modrikamen, ed al quale erano presenti ad esempio alcuni esponenti dell’UKIP di Nigel Farage, sembrava quasi il summit fondativo del populismo internazionale ante litteram.
La dimensione neo-con con queste grottesche tinte giudaico-cristiane e, più in generale, l’impostazione di Bannon, è stata analizzata da Luigi Copertino (11), che vi ha chiaramente visto una matrice protestante-calvinista che è poi alla base della nascita stessa del capitalismo e di tante altre degenerazioni successive dell’epoca moderna. E’ stato d’altronde notato che Bannon parla sempre di cristianesimo, senza mani distinguere al suo interno tra cattolicesimo, ortodossia e protestantesimo: non è, evidentemente, un caso.
In sostanza, “risulta evidente come il pensiero dell’aspirante guida metapolitica della ‘rivoluzione nazional-populista mondiale’ non proponga affatto niente di nuovo ma semplicemente cerchi di velare con una dialettica movimentista il tentativo nordamericano di riappropriarsi di quella egemonia globale messa a rischio dall’emergere di nuovi attori internazionali” (12).
Dunque, l’internazionale sovranista altro non sarebbe che l’ennesimo strumento attraverso cui l’imperialismo americano cerca di riaffermarsi su scala planetaria, preservando la propria egemonia economica e culturale e “unendo sotto la bandiera di una rinnovata forma di americanismo (da esportazione e imitazione) i gruppi politici che si oppongono alle istituzioni europee e che cercano di farsi espressione dell’inevitabile malcontento popolare di fronte alle nefaste politiche dell’Unione” (13); ciò, acquisendo il controllo su un fenomeno politico, sia pure piuttosto confuso sotto diversi punti di vista, che possa consentire al mostro a stelle e strisce di operare su un piano sovranazionale e persino intercontinentale.
Una versione aggiornata dell’imperialismo americano, che trova come nemico, in primo luogo, il progetto euroasiatico da più parti caldeggiato come vero e propria prospettiva ineludibile per la salvezza della Tradizione occidentale ed orientale contro l’abisso del mondo contemporaneo.
Ovviamente in ottica statunitense tale prospettiva, che vede nella Turchia e, soprattutto, nella Russia di Putin, due fondamentali ponti geo-politici tra Europa ed Asia, deve essere neutralizzata e sostituita con un blocco euro-americano esteso alla Russia stessa, quale “alleato naturale”.
La Russia del rinato “cesaropapismo” dell’éra Putin costituisce, in effetti, un problema serio per l’imperialismo americano, trattandosi di un’entità sufficientemente forte tanto sul piano politico che su quello economico, religioso e geografico, da essere in grado di porre le basi per una visione geopolitica finalmente alternativa al dominio globale a stelle e strisce (si pensi all’alleanza tra i cd. paesi Brics: Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica).
La stessa prospettiva euroasiatica, fatta propria attualmente dal celebre filosofo e scrittore Aleksandr Dugin, come osservato (14), appare insita nello sviluppo del cd. superethnos russo, com’era stato già denominato dall’antropologo sovietico Lev N. Gumilëv: un processo in cui sia l’Islam che l’influenza centro-asiatica (cd. “turanica”) hanno svolto un ruolo determinante e che trova un fondamento ideologico nel precursore dell’eurasiatismo, Konstantin Leont’ev (15).
La nascita di un Asse euroasiatico, in cui lo stesso Iran avrebbe un ruolo fondamentale, nonché, ad ulteriore integrazione di esso (su un piano geopolitico più che culturale), un’alleanza forte tra Cina e Federazione Russa, potrebbero rappresentare veramente la fine per l’era della grande bestia statunitense.
Come può lo Zio Tom evitare tutto questo? Non è facile penetrare all’interno dello sconfinato territorio russo cercando di attuare opere di sabotaggio interno, sfruttando il lavoro oscuro di “quinte colonne”, corrompendo, finanziando uomini e gruppi “di fiducia”, facendo scoppiare rivoluzioni interne e quant’altro, come da sempre fanno gli Stati Uniti in ogni parte del mondo. E allora, perché non tentare di abbracciare il nemico, con l’inganno? La prospettiva sarebbe quella di riproporre il concetto geopolitico di “Eurosiberia” (16), formulato a suo tempo dal giornalista e scrittore francese Guillaume Faye in chiave etnica ed identitaria contro ogni forma di penetrazione in Europa di culture ad essa estranee (ma Faye ha un’impostazione nietzschiana e paganeggiante ben lontana dalla “minestrina” pseudo-culturale di Bannon), esteso all’America del Nord, che ne sarebbe ovviamente il centro vitale e propulsivo. Un punto debole di tale costruzione rimane senz’altro l’idea che la Russia, soprattutto in questa fase storica, possa accettare di fare da ruota del carro statunitense in questo progetto intercontinentale, lasciandosi neutralizzare quale soggetto politico autonomo e sovrano attraverso la sua integrazione nello schieramento atlantico-occidentale (17).
Dalla politica aggressiva contro la Russia fatta di sanzioni ed attacchi mediatici, di insurrezioni foraggiate in Ucraina e di guerra in Siria, si passa quindi al tentativo dell’”abbraccio mortale” suggerito da Bannon: di qui i molteplici tentativi di un riavvicinamento diplomatico fra USA e Russia, l’incontro di Helsinki tra Trump e Putin e l’invito a quest’ultimo a recarsi a Washington.

Samuel Huntington, teorico del “Clash of civilisations”
Ma Putin ed il suo entourage non sono degli sprovveduti, e “l’eliminazione della Russia come soggetto autonomo e sovrano in grado di interferire con la supremazia statunitense” rimane un obiettivo fortunatamente assai difficile da raggiungere, così come “il rilancio di un disastroso scontro di civiltà che annienti le ‘civiltà antiche e combattive’ ”(18).
“Scontro di civiltà”, “clash of civilizations”: su questo concetto poggia, inevitabilmente, date le premesse, la retorica di “The Movement”. L’idea, anche questa ovviamente tutt’altro che “nuova”, per usare un eufemismo, riecheggia alcuni concetti tratti dall’elaborazione del già citato Guillaume Faye e del politologo Samuel Huntington, che è stato uno dei massimi esperti di politica estera americana, consigliere dell’amministrazione statunitense ai tempi di Jimmy Carter e direttore degli Studi strategici e internazionali di Harvard. Il nemico temibile, come detto, è costituito dall’Oriente, simboleggiato in particolare da Iran, Turchia, dal “fascismo islamico” (contro cui urge, come testualmente detto da Bannon, una “guerra globale”) e dalla Cina, estranei alla cultura “giudeo-cristiana” del blocco occidentale (19).
Può sorprendere che la Turchia, storico alleato americano nell’area e membro della NATO, sia nella lista nera di Bannon. Anche perché, al pari della Russia, come detto, essa riveste un ruolo chiave per un progetto euro-americano che mandi in soffitta le temute prospettive euro-asiatiche.
La Turchia è geograficamente Europa, e la sua storia millenaria parla chiaro, da Costantinopoli come ipostasi di Roma fino all’Impero Bizantino. Ma la Turchia è anche Asia e, qualora dovesse “servire”, potrebbe essere anche vista come soltanto come l’erede dell’Impero Ottomano, e quindi dell’Islam più combattivo … le pericolose oscillazioni di Erdogan sono viste con sospetto dagli Stati Uniti, ma il ruolo di avamposto americano sul medio-oriente è troppo importante perché la Turchia possa essere gettata a titolo definitivo nella pattumiera; quindi, il suo inserimento sulla lista del nera di Bannon è fatto con “riserva”, per così dire. Nulla da fare invece per Iran (20) e Cina, incompatibili con la visione allucinata del leader di “The Movement” e con la presunta “cultura” occidentale (21).

Claudio Mutti
Claudio Mutti, nell’editoriale del prossimo numero della rivista Eurasia, già disponibile on line sul sito internet della rivista medesima (23), ha analizzato il fenomeno del sovranismo, da lui definito “variante aggiornata del piccolo nazionalismo”, osservando come esso possa essere una dottrina a sostegno della riedizione degli Stati nazionali (soprattutto, possiamo aggiungere, nel contesto di una reazione alle politiche opprimenti e devianti dell’Unione Europea), condannati a svolgere però un ruolo subalterno nel mondo attuale, dominato dallo scontro tra una tendenza a frammentare i grandi spazi (una sorta di riproposizione del classico “divide et impera”), tipica della politica estera statunitense, ed una tendenza opposta, quella a costruire grandi spazi, tramite integrazioni continentali (in cui rientra, ad esempio, il progetto dell’Asse euroasiatico). Cavalcare perciò il fenomeno del “sovranismo” è un’ottima arma, osserva Mutti, per “destabilizzare ulteriormente l’Europa e ad allontanare da essa qualunque prospettiva di unità”.
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Note
(1) C. Mutti, L’America non si isolerà, Eurasia – Rivista di Studi Geopolitici, I/2017.
(2) C. Schmitt, Il nomos della terra nel diritto internazionale dello jus publicum europaeum, Edizioni Adelphi, Milano 1991, p. 381.
3) Cfr. Daniele Perra, “Steve Bannon e la nuova egemonia americana”, https://www.eurasia-rivista.com/steve-bannon-e-la-nuova-egemonia-americana/.
(4) Cfr. Daniele Perra, cit.;
(5) Cfr. Pietrangelo Buttafuoco, “Steve Bannon e la scuola in abbazia”, pubblicato su “IlSole24Ore” del 30 settembre 2018.
(6) Rinviamo ad un articolo a firma di Giacomo Maria Arrigo apparso su “L’intellettuale dissidente” nel giugno scorso http://www.lintellettualedissidente.it/esteri-3/steve-bannon-e-il-progetto-di-una-internazionale-populista/ per un’analisi degli autori che avrebbero esercitato su Bannon un particolare fascino: da Guénon (più che Evola) ad Edmund Burke, fino a William Strauss e Neil Howe, con la loro teoria ciclica “quadrifasica” del tempo.
(7) Cfr. l’articolo reperibile qui: http://www.askanews.it/esteri/2018/09/17/laccademia-teocon-di-steve-bannon-in-ciociaria-top10_20180917_122540/
(8) Cfr. Pietrangelo Buttafuoco, “Steve Bannon e la scuola in abbazia”, cit.;
(10) https://www.maurizioblondet.it/bannon-e-i-suoi-amici-che-cavalcano-i-populisti/
(11) cfr. https://www.maurizioblondet.it/proposito-del-bannon-pensiero-luigi-copertino/
(12) Daniele Perra, cit..
(13) Daniele Perra, cit..
(14) Daniele Perra, cit..
(15) Konstantin Nikolaevič Leont’ev (1831-1891), filosofo, medico e monaco cristiano russo, una delle personalità di maggiore rilievo del fronte reazionario, conservatore e monarchico russo dell’epoca, con le sue opere cercò di mettere in luce la deriva materialistica dell’Occidente, esaltando le radici bizantine della Russia e cercando di evidenziarne i legami indissolubili con l’Oriente (India, Cina, Tibet). Come ricordato da Daniele Perra, già sul finire del XIX secolo Leont’ev indicava in una potenziale alleanza tra cristianità ortodossa ed Islam una barriera capace di arginare il nichilistico disgregatore della mentalità occidentale. Scriveva Leont’ev (Bizantinismo e mondo slavo, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 1987): “Per noi russi è più conveniente una fusione con i popoli asiatici e di religione non cristiana per il semplice fatto che tra di essi non è ancora irrimediabilmente penetrato il moderno spirito europeo”.
(16) Daniele Perra, cit..
(17) Cfr. Aldo Braccio, “Gli Usa contro l’Eurasia: il caso Bannon”, https://www.eurasia-rivista.com/gli-usa-contro-leurasia-il-caso-bannon/
(18)Cfr. Aldo Braccio, cit..
(19) Cfr. Daniele Perra ed Aldo Braccio, cit..
(20) Daniele Perra, cit., ha osservato come Bannon, parlando dei nemici orientali del blocco euroamericano, abbia sostenuto che Pechino, Ankara e Teheran stiano rispettivamente aggredendo l’Occidente nel Mar della Cina, nel Golfo Persico e nel Mediterraneo. “A prima vista, l’idea di una Cina che aggredisce l’Occidente nel Mar della Cina appare come un controsenso. Tuttavia, è la più evidente dimostrazione che Bannon non sta facendo altro che riproporre i classici schemi egemonici del pensiero geopolitico nordamericano”: l’autore cita Carl Schmitt, riproponendo la contrapposizione elaborata dal giurista tedesco tra le moderne talassocrazie oceaniche (come gli Stati Uniti) e le civiltà tradizionali, dove i concetti di limes e di diritto erano radicati sulla terra, e ricorda come secondo Schmitt il diritto terraneo sia fondato sull’unità di ordinamento e localizzazione, mentre il diritto marittimo sia associato al concetto di sicurezza, che può essere facilmente manipolato e strumentalizzato: si rinvia all’articolo citato per l’approfondimento del tema.
(21) Claudio Mutti ha osservato il fatto che l’islamofobia di Bannon si accentui in senso antiraniano non è probabilmente estranea la collaborazione di “The Movement” con un noto uomo d’affari saudita: il principe Al-Walid bin Talal: https://www.eurasia-rivista.com/la-geopolitica-giallo-verde/ .
(23) Claudio Mutti, cit., https://www.eurasia-rivista.com/la-geopolitica-giallo-verde/ .
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