“Othmar Spann e la nuova scienza dello Stato” – Intervista al Prof. G. Franchi (I parte)

In preparazione alla conferenza del prossimo 21 maggio su Othmar Spann e lo stato organico presso la sede della Libreria Raido, dopo avervi proposto le due interviste realizzate da Julius Evola a Spann nel 1933 e nel 1936, vi offriamo ora,  suddivisa in due parti, un’intervista esclusiva al professor Giovanni Franchi, che sarà il relatore della suddetta conferenza.

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Giovanni Franchi è ricercatore di Filosofia politica presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Teramo, dove attualmente insegna “Analisi filosofica della politica”.

Nel 1997 ha curato una raccolta di scritti di Othmar Spann e Walter Heinrich intitolata Lo stato organico. Il contributo della scuola di Vienna a ‘Lo stato’ di Costamagna” (Settimo Sigillo). Nel 2002 ha pubblicato il primo saggio monografico su Othmar Spann apparso in Italia, intitolato “La filosofia sociale di Othmar Spann” (Jouvence). Nel 2011 ha pubblicato “Bonum Ordinis – Studi di etica sociale e della cultura” (Nuova Cultura) e, ancora su Spann, ha curato nel 2012 il volume “Othmar Spann – la scienza dell’intero” (Nuova Cultura), raccolta di articoli di diversi autori, cui ha contribuito con il saggio intitolato “Il mondo resta ricongiunto a Dio: la filosofia della storia di Othmar Spann”.

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Il pensiero politico, filosofico e sociale di Othmar Spann trova indiscutibilmente il proprio fondamento nella dicotomia, elaborata dallo studioso austriaco, tra universalismo ed individualismo. Prof. Franchi, può descriverci i termini di questa dualità?

Una ricostruzione dettagliata della nascita in Spann della fondamentale dicotomia individualismo-universalismo è impossibile da svolgere nel breve spazio di una intervista; rimando quindi per una ricostruzione particolareggiata al lavoro di Arnulf Rieber Vom Positivismus zum Universalismus (1971), o al mio lavoro La filosofia sociale di Othmar Spann (2002). In sintesi, si può affermare che l’origine della dicotomia si trova nel vasto dibattito di fine ottocento sul metodo scientifico (Methodenstreit). Dilthey ed i neokantiani si oppongono allo studio ad esempio degli eventi storici o dei fenomeni sociali o economici col metodo generalizzante delle scienze naturali; si riscopre l’importanza della dimensione del significato e della psicologia (Verstehen), dell’intenzionalità (E. Husserl), finanche dell’elemento teleologico nelle scienze che hanno per oggetto la vita dell’uomo: nascono le cosiddette “scienze dello spirito”, contrapposte a quelle della natura.

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Raccolta di scritti di O. Spann e W. Heinrich (a cura del Prof. G. Franchi)

In Spann questo percorso va da un’originaria impostazione neokantiana in direzione del realismo metafisico dei classici greci e della scolastica medievale. Un tale percorso d’altronde è proprio anche di altri filosofi di area germanica che, agli inizi del secolo, dal neokantismo tornano ad una teoria dei valori oggettivi (ad es. Max Scheler, Dietrich von Hildebrand) o all’ontologia (Martin Heidegger, Nicolai Hartmann, Edith Stein ecc.). La dicotomia la si trova in Spann già nell’opera Die Haupttheorien der Volkswitschaftslehre (Le teorie principali dell’economia politica, 1911), ma in effetti il pieno passaggio da un funzionalismo sociologico su base ancora gnoseologica al realismo metafisico si completa solo con la Kategorienlehre (Dottrina delle categorie, 1924), opera fondamentale per comprendere il metodo dell’austriaco.

In sostanza, nell’individualismo è ricompresa ogni dottrina, metodo o visione della realtà di tipo riduzionista, che pretende di spiegare ciò che è complesso e in sé articolato, ossia dotato di una specifica struttura d’ordine, a partire da ciò che è semplice (atomismo, materialismo, evoluzionismo ecc.).

L’universalismo è invece il concetto che esprime il principio chiave dell’antiriduzionismo: “l’intero è superiore alla somma delle sue parti”. Tutta la metafisica spanniana, sviluppata con grande rigore logico – talvolta forse con un eccessivo deduttivismo, a discapito dell’attenzione per la natura concreta dell’essere -, ruota attorno al concetto di “intero” (Ganze) e al principio dell’“interezza” (Ganzheit). L’interezza è ciò che fa di una cosa proprio quella cosa e non un’altra: l’idea, o meglio, la causa formale, per usare concetti classici.

L’originalità di Spann sta nell’aver applicato l’analisi metafisica della realtà – attraverso appunto l’aristotelica “mereologia” (lo studio del rapporto intero-parti) – alle moderne scienze dell’economia, della società o dello Stato, ma anche ai diversi settori della filosofia. Sono convinto che a causa di tutta una serie di fattori storico-politici la portata di questa impresa non sia stata ancora adeguatamente presa in considerazione dalla comunità accademica. Tuttavia, agli inizi del secolo, Spann non è stato proprio un isolato nel suo ambizioso progetto culturale e scientifico: un’impostazione di metodo simile a quella del viennese la troviamo ad esempio nella psicologia della Gestalt e in quella della Ganzheit della scuola di Lipsia, nel principio biologico della “entelechia” di Hans Driesch, nella teoria dei sistemi di Ludwig von Bertalanffy o nella fonologia di Nicolaj S. Trubeckoj.

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La contrapposizione tra universalismo ed individualismo proposta da Spann è alla base della sua concezione della società e dello Stato. Quali sono, nello specifico, gli aspetti che caratterizzano il concetto di Stato organico-corporativo c.d. “cetuale” elaborato da Spann, rispetto ad altri modelli appartenenti a quel medesimo genus?

Dollfuss-Schuschnigg

“Spann (…) non parla neppure di uno Ständestaat [“Stato cetuale”], come fanno invece, a partire dal 1934, i sostenitori del regime autoritario di Dollfuss [a sinistra nella foto] e poi di Schuschnigg [a destra nella foto] (ad es. Messner, Dobretsberger ecc.)”

Bisogna subito chiarire che Spann non definisce il suo modello di Stato né “organico”, né “corporativo”! Così è stato in qualche modo recepito negli anni trenta in Italia, ad esempio da Julius Evola che usa un concetto simile per definire il suo modello di Stato; Spann spiega però che l’analogia tra l’organismo ed il suo modello ordinamentale è insufficiente e alla fine può essere addirittura fuorviante; egli non parla neppure di uno Ständestaat [“Stato cetuale”, N.d.R.], come fanno invece, a partire dal 1934, i sostenitori del regime autoritario di Dollfuss e poi di Schuschnigg (ad es. Messner, Dobretsberger ecc.). Questo perché uno “Stato cetuale” – ossia uno Stato fatto di ceti – non ha senso nell’ottica spanniana: lo Stato è infatti solamente uno tra i molteplici ceti che compongono la società, anche se comunque il “ceto supremo” (Höchststand).

Ma andiamo per ordine: come afferma l’economista J. Hanns Pichler, già allievo di Walter Heinrich all’Università di Vienna, per capire il pensiero politico e la concezione dello Stato di Spann non è sufficiente studiare Der wahre Staat (Il vero Stato, 1921), scritto durante la rivoluzione rossa a Vienna tra il ’19 e il ‘20, e nel quale egli sviluppa con coraggio e rigore la sua critica del liberalismo e del marxismo. Bisogna far riferimento anche alla Gesellschaftslehre (Dottrina della società) già uscita nel 1914, e ripubblicata con importanti integrazioni metodologiche nel 1923, che è la fondamentale opera di teoria sociale di Spann; ma anche alla Gesellschaftsphilosophie (Filosofia della società, 1928), come anche ad alcuni saggi di taglio politologico che il filosofo viennese scrive quando l’Austria piomba di nuovo nella guerra civile, sul finire degli anni ’20, molti dei quali tradotti anche in Italia negli anni ‘30. A queste opere aggiungo anche la Geschichtsphilosophie (Filosofia della storia, 1932), che è in effetti una filosofia del mutamento nel tempo della società e delle istituzioni e fornisce quindi il giudizio spanniano più maturo sulla sua epoca.

Quella di Spann è prima di tutto una filosofia della società: l’individualismo, in quanto concezione riduzionista della realtà, concepisce la società come un insieme informe di singoli esseri umani già realizzati prima di entrare in contatto con i loro simili; da qui la dottrina egualitaria del contrattualismo, quella del dominio del più forte o anche la dottrina anarchica. L’universalismo, al contrario, non parte dal singolo essere umano come “atomo” della società, ma dalla relazione interumana, che è sempre già strutturata, e che permette all’uomo di diventare ciò che è. Spann chiama questa struttura di natura spirituale tra due o più esseri umani Gezweiung, un termine difficile da tradurre, ma che potrebbe essere reso con “dualizzazione” o “duazione”, nel senso che ognuno porta in atto sé stesso, realizza la sua personalità solo in un ordine di relazioni con altri esseri umani.

Aristotele

Il professor Franchi osserva come Spann abbia riattualizzato tanto la mereologia aristotelica (lo studio del rapporto intero-parti), applicata alle scienze dell’economia, della società o dello Stato, quanto l’idea aristotelica e classica dell’uomo come ‘zoon politikon’, come essere che realizza se stesso solo grazie alla vita in comunità

Spann spiega però che non è il rapporto tra esseri umani che crea l’ordine sociale – come con la Wechselwirkung (“interazione”) di Georg Simmel e dei suoi allievi -; è la struttura relazionale, come interezza articolata, che costituisce l’identità dei membri di questa relazione: ognuno comunica con l’altro solo attraverso il “centro” comune della struttura relazionale. Ad esempio, in una famiglia ciascun membro (genitore, figlio ecc.) comunica con l’altro solo attraverso il centro che è dato dalla struttura d’ordine che è appunto la famiglia. In qualche modo, il viennese riattualizza, approfondendola, l’idea aristotelica e classica dell’uomo come zoon politikon, come un essere che realizza se stesso solo grazie alla vita in comunità. La critica fondamentale di Spann al liberalismo è proprio qui: l’ordine sociale e istituzionale, lo Stato stesso, non sono un mero prodotto della volontà umana, creati per motivi utilitaristici. Vero è il contrario: l’uomo in quanto uomo realizza se stesso, trova il suo posto, il suo ruolo nel mondo, solamente in quanto si fa parte delle diverse interezze in cui si articola l’ordine sociale. Secondo il sociologo austriaco, l’individualismo può concepire solamente una forma di giustizia commutativa, come scambio “orizzontale” tra parti. L’universalismo, invece, si basa sulla giustizia distributiva: “a ciascuno il suo”. Questo “suo”  riposa nel modo in cui ciascun essere umano è “parte” o “membro” delle diverse interezze della società come la famiglia, il mondo delle associazioni, la vita economica, quella religiosa o quella politica.

C’è nell’uomo una naturale tensione verso il centro (Mittewendigkeit), ossia a quella che potremmo chiamare la piena partecipazione all’ordine del mondo, e che va dalle interezze sociali di dimensione minore a quelle maggiori. Allo stesso tempo, l’uomo tende, senza mediazioni, al “centro di tutti i centri” che è Dio. La società è quindi concepita da Spann come una complesso di “interi parziali” (Teilganze): questi costituiscono le funzioni principali della vita in comune e sono strutturati in un ordine a gradi (Stufenbau). Poiché ogni intero è sempre “parte” di un intero più vasto, tutti quanti alla fine sono orientati ad un unico centro (da qui “universalismo”). Tutte queste interezze, ad esclusione di quelle puramente spirituali, tendono ad istituzionalizzarsi, a trasformarsi in veri e propri “ceti” (Stände) dotati di un’autonomia che è legata alla propria funzione. Spann parla in proposito di una Sachsouveranität, di una “sovranità oggettiva” che dipende dalla specifica competenza. Lo Stato – anche qui secondo una remota influenza aristotelica – fa parte della sfera dell’agire (Handeln), ed è sempre subordinato alle comunità spirituali (religione, filosofia, arte).

Nella Gesellschaftsphilosophie afferma che in linea di principio il regime migliore è la teocrazia, dove governano i sapienti, e porta l’esempio della Politeia di Platone e degli Ordini cavallereschi del medioevo. Lo Stato è appunto il ceto supremo: non deriva dalla “volontà del popolo” ma si legittima a partire dai suoi compiti oggettivi, ossia: governare e unificare tutti i ceti della società; subentrare però nelle loro specifiche funzioni solo se questi non assolvono ai loro doveri; occuparsi della politica estera e della guerra. Infatti, afferma Spann, il grande statista è sempre stato anche un guerriero. Le istituzioni, infine, sono animate dallo Staatstragende Stand, ossia dal ceto che sorregge lo Stato, da quell’aristocrazia che in ogni società “anima” le istituzioni, incarnandone lo spirito. Penso che la differenza specifica del concetto spanniano di società e di Stato risieda proprio nel recupero che il viennese fa della concezione classica della politica, di una vera e propria “scienza dell’ordine” politico-esistenziale (E. Voegelin) che per profondità va ben al di là di molte delle dottrine istituzionali di stampo sociologico o giuridico-positivo del suo tempo, sia progressiste che conservatrici.

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E’ possibile secondo Lei proporre un parallelo tra la dicotomia universalismo-individualismo di Spann, con tutte le implicazioni che ne derivano, e la distinzione tra Gemeinschaft (comunità) e Gesellschaft (società) proposta dal celebre sociologo tedesco Ferdinand Tönnies, che peraltro fu contemporaneo di Spann? Tra i due ci furono mai contatti?

Ferdinand de Toennies-comunità e società

Ferdinand Tönnies (1855 – 1936): “bisogna dire che nei suoi lavori Spann è sempre stato molto critico nei confronti del pensiero di Tönnies”

Bisogna dire che nei suoi lavori Spann è sempre stato molto critico nei confronti del pensiero di Tönnies. Probabilmente in questo giudizio deve aver giocato anche una certa rivalità con il tedesco, perché nel convegno di Sociologia di Vienna, del 1926 – di cui Karl Dunkmann ci ha lasciato un vivace resoconto nel suo volumetto Der Kampf um Othmar Spann (1928) -, essi sono considerati i due principali scienziati sociali del momento. Nella Gesellschaftslehre Spann ritiene che l’opera di Tönnies sia fortemente influenzata da Marx e dal contrattualismo moderno – Tönnies, va ricordato, è stato uno dei massimi studiosi di Hobbes nel XX secolo -. Non esistono per Spann puri costrutti organici (Gemeinschaften), contrapposti ad ordinamenti puramente “meccanici” (Gesellschaften); né ha valore la legge che prevede il necessario passaggio storico dal primo al secondo tipo; Spann contrappone a questa dicotomia il concetto filosofico di Gezweiung che è alla base di tutte le articolazioni della società.

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Othmar Spann ebbe contatti con due personalità di spicco della cultura italiana degli anni trenta: Carlo Costamagna, che gli offrì uno spazio sulla rivista “Lo Stato”, e Julius Evola, che del pari lo invitò a collaborare al suo “Diorama Filosofico”. Quali furono gli effettivi punti di convergenza tra l’idea di Stato di Spann e quella di Costamagna ed Evola, e quali, invece, le divergenze?

Carlo Costamagna è stato certamente molto importante per l’elaborazione di una dottrina giuridica del fascismo; tuttavia, bisogna dire che egli non riuscì mai ad essere effettivamente al centro della scena culturale del regime: a differenza di altri teorici fascisti dello Stato quali ad esempio Sergio Panunzio o Arnaldo Volpicelli (per limitarci alla Facoltà di Scienze politiche della “Sapienza” di Roma), non ha mai avuto una sua cattedra: venendo dalla magistratura, fino alla caduta del regime – quando viene epurato – insegna diritto costituzionale a contratto.

Julius Evola, poi, è conosciuto tra le due guerre in alcuni ambiti delle scienze filosofiche, non certo come teorico dello Stato, anche se i suoi lavori sulla dottrina della razza, pur su posizioni fortemente minoritarie per l’impostazione “spiritualista”, hanno una certa eco, ed egli è anche il protagonista di un dibattito su questo tema sulle pagine della “Difesa della razza” di Interlandi.

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Carlo Costamagna e Julius Evola

Dal 1930 Costamagna ospita su “Lo Stato” alcuni brevi saggi di Walter Heinrich e, in seguito, del suo maestro Spann; sia Costamagna che Spann ed i suoi allievi hanno come obiettivo quello di contrastare il modello contrattualista di Stato e la liberaldemocrazia del primo dopoguerra. Essi però divergono fortemente sui modi di giungere ad un tale obiettivo: nella sua Dottrina del Fascismo Costamagna teorizza l’identità dell’interesse del popolo con quello dello Stato; per questo, egli vuole l’unificazione e la piena centralizzazione del potere, con un sistema di corporazioni quali organi dello Stato. Spann e Heinrich criticano una tale soluzione che si avvicina all’idea dello “Stato totale” del tedesco Carl Schmitt; secondo i maestri della scuola universalista questa concezione non solo non rappresenta il superamento del modello di Stato nato con la Rivoluzione francese, ma addirittura la sua radicalizzazione, secondo il principio “un popolo, un governante”.

Gli austriaci invece puntano ad un ordinamento “cetuale” fortemente decentrato, secondo l’idea di una sovranità radicata nella competenza; in tal modo, Spann dimostra di essere in qualche maniera legato ad una teoria istituzionalista dell’ordinamento, che deriva dai romantici, dalla Scuola storica del diritto, da Otto von Gierke, e che si avvicina alle posizioni di Santi Romano, di Maurice Hauriou, e al principio di sussidiarietà della Quadragesimo anno (1931) di papa Pio XI.

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La locandina della conferenza di Sabato 21 maggio 2016

Nella controversia tra “Stato totale” e “ordine cetuale” Evola sembra propendere decisamente per le posizioni degli “universalisti”. Lo testimoniano gli scritti che appaiono, dal 1934, proprio su “Lo Stato”; la nostalgia per forme di ordinamenti pre-moderni come il sacrum imperium e l’ostilità sempre manifestata nei confronti dello statalismo d’impronta hegeliana e del nazionalismo liberale e risorgimentale lo testimoniano. Ciò che distingue le posizioni di Evola da quelle di Spann è soprattutto però il linguaggio: Spann, con la sua dottrina dell’intero e delle parti, e con l’ascesa da interi inferiori o parziali ad interi di grado superiore, rinnova l’esercizio della ragione naturale dei filosofi classici e medievali, e – pur non essendo un autore dichiaratamente cattolico – il suo sistema ha il ruolo che un tempo avevano i preambula fidei rispetto alla Rivelazione, perché tende a porre nuovamente Dio al centro della vita sociale dell’uomo: si veda la sua opera filosofica principale Der Schöpfungsgang des Geistes (Il percorso creativo dello spirito, 1928), la sua Religionsphilosophie (Filosofia della religione, 1947) o la monografia – pubblicata postuma – su Eckhart (1974)

Evola, invece, soprattutto con Rivolta contro il mondo moderno (1934) e con Il mistero del Graal (1937) diventa quello che Aristotele definisce un “filo-mito”; la sua vuole essere una nuova “teologia civile” o “dei poeti” – per usare le espressioni di Varrone e s. Agostino -; il suo ritorno ad una fondazione mitica delle istituzioni e del tempo presenta però alcuni problemi fondamentali, ravvisabili soprattutto da un punto di vista filosofico-culturale, che non possono essere affrontati in modo adeguato in questa sede.

(segue nella seconda parte)



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