Italia e Germania: che cosa ci divide, che cosa ci unisce (III parte)

di Julius Evola

tratto da “La Vita Italiana”, maggio 1937

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Nella seconda parte dell’articolo in oggetto, Julius Evola, in conclusione del paragrafo dedicato al “razzismo” nel rapporto tra Italia fascista e Germania nazionalsocialista, introducendo il discorso relativo ad una prospettiva neo-imperiale (ovviamente in senso tradizionale) nella Nuova Europa che si andava a costruire, sottolineava come “Un incontro sarebbe ancora possibile quando i due popoli riconoscessero entrambi una superiore missione di impero e aspirassero ognuno a realizzarla oggettivamente, nell’ordine delle possibilità proprie ad ognuno, in una corrispondente suddivisione di compiti, previa una intesa su alcuni punti fondamentali. Come il Papa cessa di esser l’uomo in una data nazione quando assume la sua funzione, così, nel modello dell’Impero medioevale, l’imperatore affermava la sua autorità non in quanto principe di una data stirpe, ma in quanto imperator romanus e la sua funzione, effettivamente, nella storia fu assunta successivamente da esponenti di varie nazioni. Insomma, aspirare all’impero non si può senza elevare fino al piano di un universalismo dello spirito il proprio elemento nazionale“. Da qui, si riprende il discorso.

segue dalla seconda parte

Il problema dell’impero e l’antibolscevismo

Non sta a noi giudicare, fino a che punto il fascismo intenda sviluppare le premesse spirituali per venire a tanto, sempreché si diano congrue circostanze: certo è, che, in forza della natura della sua stessa dottrina e della sua idea romana, esso si trova assai più vicino a posizioni del genere, che non una Germania imperialista su base razzistico-collettivista. Ora, bisogna rendersi ben conto di ciò: che l’epoca delle nazioni borghesi con «sacri egoismi» dal limitato respiro sembra destinata a venir lasciata indietro dalla storia, la quale ci fa presentire un’epopea nuova delle supernazionalità.

La prima apparizione in tal senso è il fronte mondiale della rivoluzione proletario-comunista: a lato, e più nell’ombra, l’internazionale ebraica  e l’internazionale massonica. Per tener testa ad un tale fronte, non basta riferirsi al semplice principio della nazione e della rivoluzione nazionale antimarxista. L’affermazione della nazione sarà, naturalmente, di fronte ai pericoli dell’internazionalismo, una tacita premessa: affinché il fronte delle nazioni contro l’internazionale rossa possa però esser saldo e non abbia a dirompersi, passato il momento del pericolo, in una lotta fratricida, è necessario, che una idea superiore congiunga i popoli che lo compongono, facendo di essi veramente un blocco.

Soltanto Roma dovrà essere un possibile punto di riferimento a tanto, ovvero l’asse Roma-Berlino può già costituire uno sviluppo creativo in tale senso, per la sua possibilità di organizzare più agevolmente forze, che non hanno tutte dei contatti con la civiltà propriamente latina e romanica? La seconda alternativa ci pare condizionata dalla misura in cui potrà operansi una certa rettificazione degli aspetti or ora considerati dell’idea nazionalsocialista. E a chi ci chiedesse di esprimerci più positivamente, diremmo, che bisogna augurarci un prevalere, nell’insieme della Germania nuova, degli elementi conservatori e tradizionalisti rispetto a quelli propriamente rivoluzionari. Una Germania che riprendesse quel che di buono si trovava nell’idea universalista degli Asburgo ed anche degli Hohenzollern, avendo ora dinanzi non l’Italietta quarantottista, ma l’Italia grande potenza romana e fascista, fornirebbe, a nostro parere, un margine assai più vasto di intesa e di comprensione ai fini di compiti veramente europei, che non una Germania che andasse in fondo nell’avventura razzistico-pangermanistica e che fosse con noi solo nella misura in cui, per ora, la quistione austriaca e centro-europea possa venir aggiornata e in cui ad essa e a noi convenga isolare gli Inglesi, far paura ai Francesi e premunirci contro i Russi e il loro Komintern.

Il problema spirituale

Un tale ordine di idee conduce all’ultimo e più delicato aspetto della quistione, che è quello propriamente spirituale o, come in Germania si dice, di «visione del mondo». La situazione delle due nazioni, nel riguardo, è differente, in questo senso; nel fascismo l’esigenza di prolungare la rivoluzione politica e la ricostruzione etica di una veduta spirituale vera e propria, a mò di un dogma, non ha esercitato e a tutt’ora non esercita una gran forza. Si incontrano, sì, delle affermazioni generiche, in quanto sempre si insiste, e giustamente, sul carattere spirituale e perfino religioso del fascismo: ma il fascismo non si è mai sentito di sposare nessun particolare sistema filosofico e di formulare un suo proprio «credo» nei riguardi dei problemi supremi dello spirito in quanto tale.

Immagine celebrativa dei patti Lateranensi

La sua visione del mondo si è ristretta a quei principii etici e attivistici, che occorrono come base per la formazione di quel modo speciale di essere e di vivere della nuova generazione antiborghese, su cui si è detto al principio. Il fascismo è inoltre la rivoluzione etico-politica di una nazione essenzialmente cattolica, e la presenza del cattolicesimo stabilisce una certa frontiera, oltre la quale la rivoluzione fascista non procede e non vuol procedere con la costruzione di una sua particolare e peculiare visione del mondo. Quand’anche non bastasse la nota e quasi ufficiale dichiarazione che, se Roma è ancora sede di una idea universale, questa idea è il Cattolicesimo, basterebbe esaminare le reazioni destate, ad esempio, proprio da certe vedute proposte, molti anni fa, da chi scrive, per esser sufficientemente convinti di ciò.

In Germania le cose stanno altrimenti. L’esigenza di prolungare la rivoluzione politica in una visione del mondo vera e propria e perfino in una fattispecie di religione è avvertita in alto grado e a malapena frenata. Il «mito» ha una parte essenziale nella nuova Germania ed anche quando è politico, una controparte mistica gli è inseparabile. Di conseguenza, vi è un conformismo intellettuale assai più spinto che da noi, per quanto riguarda sfere che stan già di là da quella propriamente politica. Per il giovane tedesco, alcuni miti costituiscono dei veri tabù, e non si può avversarli od anche soltanto discuterli senza che delle reazioni perentorie avvengono anche in sede ufficiale: tanto, che molto salutare sarebbe un viaggio là, per quegli intellettuali, che si lamentano per la poca «libertà di pensiero» in Italia. Il pullulare delle varie tendenze neo-pagane, nordiste, tedesco-cristiane, tedesco-protestanti e via dicendo dal seno della rivoluzione politica, malgrado una fondamentale mancanza di preparazione, di principii e talvolta perfino di serietà, provano pur sempre, in Germania, un bisogno spirituale, lo sforzo di giustificare con una fede vera e propria la fede politica e l’azione militante.

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Così stando le cose, un giudizio circa i rapporti e l’eventuale collaborazione fra Italia e Germania in questo campo, non è certo facile. Non dimentichiamo che proprio in questo campo dovrebbe formularsi in modo chiaro e preciso l’idea che Italia e Germania dovrebbero assumere poi come base non solo per la loro intesa interna, ma altresì per il loro lavoro di ricostruzione europea. In Italia, questo è uno spazio lasciato libero dal fascismo, ovvero occupato dal fascismo solo se esso intende identificarsi strettamente al cattolicesimo, riconducendo ad esso senza residuo la sua vocazione universalistica e romana d’impero. In Germania questo spazio ha invece subita, secondo il già detto, l’invasione da parte di correnti varie, in buona parte influenzate dal nuovo mito del sangue, e in ogni caso riconducibili solo in scarsissima misura alle vedute ortodosse cattoliche.

Dinanzi a questa situazione, il dire che bisogna far tabula rasa di tutto ciò che non è puro cattolicesimo progettando una specie di nuovo impero ortodosso alla spagnola, ci sembra presentare tratti indubbi di un utopistico semplicismo. È cosa certo non confortante dover riconoscere che, giunti al punto dal quale, in una veduta corretta, tutto il resto, in fondo, dipende, ci si trovi in un non piccolo imbarazzo. Qualora si trattasse solo della eliminazione del negativo, la cosa non sarebbe molto difficile: il negativo è costituito, in Germania, da tutto quel che nelle nuove contenti politico-spirituali inclina verso un nuovo naturalismo, una divinificazione dell’immanenza, un disconoscimento della vera realtà sovrannaturale; in Italia, è invece costituito da un certo conformismo esteriore che maschera talora un agnosticismo, talora una molteplicità discordante di posizioni puramente personali, tra l’estetico e il filosofico: poiché nessuno penserà di prender sul serio gli «idealisti» o i «realisti» o i gruppetti pseudotradizionalisti sul tipo del «Frontespizio», e supporre che fra essi si maturi qualcosa di preciso in termini di vera spiritualità superfascista.

Stemma del Sacro Romano Impero

Se mai, quanto al compito positivo, qualcosa potrebbe dirci un nuovo riferimento all’esempio medioevale. L’idea ecumenico-imperiale medioevale fu si cattolica, ma non semplicemente tale, come poi si ebbe nei tempi di Carlo V.  Essa rappresentò piuttosto un adattamento del cattolicesimo lasciante sufficiente margine sia all’antica tradizione romana, sia all’etica e al modo specifico di sentire e di volere dei popoli nordico-germanici. Volendo progettare un punto in cui possano incontransi spiritualmente le avanguardie super-politiche delle due rivoluzioni, bisogna forse rifarsi a qualcosa del genere, superando l’esclusivismo sia di certo cattolicesimo militante, sia delle tendenzialità neo-pagane e anticristiane del nazismo razzista. Vogliamo cioè dire che bisogna lavorare per costruire un nuovo «mito» imperiale, imperiale su base spirituale, che non escluda delle deduzioni cattoliche, ma che in pari tempo possa valere per dei riferimenti metafisici generali atti ad esser formulati indipendentemente dalla forma specifica positiva dell’ortodossia. Qualora quel moto di ritorno alle origini e al primordiale, che è molto caratteristico nella nuova Germania, potesse venir rettificato e condotto ad accorgersi, quanto spesso esso, invece che in qualcosa di veramente originario, finisca in fantasie inficiate tra pregiudizi affatto moderni, esso potrebbe forse fornire, nel riguardo, contributi preziosi: nel senso di dar nuova vita ad elementi tradizionali anteriori e superiori alle formulazioni religiose corrispondenti, proprie ai tempi successivi.

La cultura italiana dovrebbe allora affrettarsi a mettersi al passo, decidendosi finalmente a portare la rivoluzione anche nel dominio di tante discipline, soprattutto storiche e di studi romani antichi, che purtroppo ancor oggi restano inficiate dalle premesse razionalistiche, positivistiche e «critiche» di una età dura a morire, sì da produrre soltanto morte ricostruzioni accademiche prive di una qualsiasi capacità creativa e illuminante.

Per un lavoro del genere, non vi è, in fondo, da indugiare, se, si è convinti che le forze spirituali son quelle che possono propiziare avvenimenti più decisivi anche d’ordine esterno e storico. Se a noi è riuscito di esser chiari, le considerazioni fatte fin qui mostrano che quel che di creativo e di durevole può venire da una intesa fra Italia e Germania dipende in grande misura da un lavoro del genere: nel senso, che le due nazioni possono sentirsi unite meno in quel che esse sono, naturisticamente ovvero in funzione della mera ragion politica, che in quel che esse «possono essere» portandosi avanti, nell’eleggere un principio etico e nel dar forza ad una vocazione di natura spirituale e più, che non soltanto nazionale. Circa i presupposti generici, se è chiaro che la sapienza di Mussolini si è dimostrata nel venire ad una sintesi fra tradizione e rivoluzione, altrettanto chiaro è che una sintesi di questo genere costituisce un compito imprescindibile per la Germania, nella quale essa forse produrrebbe frutti perfino più fecondi, qualora si pensi a tutto quel che l’Italia quarantottista, liberale e parlamentare fino ad ieri non aveva e che invece la Germania prussiana fino ad ieri conservç e in parte ancora conserva nei suoi elementi conservatori, in fatto di tradizione. La parola d’ordine: «Fronte spirituale e imperiale contro-rivoluzionario» (nella quale a «rivoluzione» vien naturalmente conservato il senso negativo e sovversivo che questa parola sempre aveva avuto) ci sembra perciò esprimere nel miglior modo la base, in funzione della quale potrebbero venire elaborate le condizioni necessarie a che quel che unisce Italia e Germania possa aver sempre più il sopravvento su quel che separa i due popoli e a che l’asse Roma-Berlino non significhi l’opportunità di oggi, ma la salda e creativa premessa per un migliore domani.



A proposito di...


'Italia e Germania: che cosa ci divide, che cosa ci unisce (III parte)' 1 Commento

  1. 29 Giugno 2017 @ 8:41 Marco

    È veramente incredibile l’evoluzione o meglio la capacità di adattamento mostrata da Julius Evola rispetto ad “Imperialismo Pagano”, di appena nove anni prima.

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"In una civiltà tradizionale è quasi inconcepibile che un uomo pretenda di rivendicare la proprietà di una idea e, in ogni caso, in essa chi così facesse, con ciò stesso si priverebbe di ogni credito e di ogni autorità, poiché condannerebbe l’idea a non esser più che una specie di fantasia senza alcuna reale portata. Se una idea è vera, essa appartiene in egual modo a tutti coloro che sono capaci di comprenderla; se è falsa, non c’è da gloriarsi di averla inventata. Una idea vera non può essere «nuova», poiché la verità non è un prodotto dello spirito umano, essa esiste indipendentemente da noi, e noi abbiamo solo da conoscerla. Fuor da tale conoscenza, non può esservi che l’errore" (R. Guénon)

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