Proseguiamo la pubblicazione di documenti attinenti alla vicenda giudiziaria di Julius Evola nel processo ai F.A.R., estratti dal Quaderno “Autodifesa” pubblicato dalla Fondazione Evola. Oggi proponiamo il testo dell’autodifesa letta da Evola dinnanzi alla Corte d’Assise di Roma il 12 ottobre 1951 e pubblicata in “L’Eloquenza”, n. 11-12, Roma, novembre-dicembre 1951.
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di Julius Evola
Signori della Corte!
L’imputazione originaria, in base alla quale si é originariamente proceduto al mio arresto, si rifà all’art. l della legge n. 1546 del 1947: insieme ad altri, avrei promosso, nella specie di organizzazioni varie, e soprattutto di quella che si vuole faccia capo al gruppo dei giovani di «Imperium», la ricostruzione del disciolto partito fascista. Su ciò, non vale la pena di dire più di due parole, una tale accusa mancando di qualsiasi fondamento. Nulla infatti è stato prodotto a mio carico, che faccia pensare che i miei rapporti con quei gruppi si siano svolti altrimenti che sul piano puramente intellettuale e dottrinale della dottrina dello Stato, dell’etica e della visione della vita.
E circa tali rapporti, messi tendenziosamente e arbitrariamente in risalto dalla Questura, devo dire che essi non sono stati di maggior portata di quelli che ho avuto con diversi altri gruppi, monarchici, indipendenti o nazionalisti, come p. es. i gruppi de «Il Nazionale» di E. M. Gray o del «Meridiano d’Italia» (M.S.I.). Certo, verso i giovani di «lmperium» mi sono sentito particolarmente inclinato per queste due ragioni: primo, perche essi insistevano sulla necessità di una rivoluzione interna, spirituale dell’individuo come presupposto della lotta politica – e il direttore di «Imperium», Erra, nel suo interrogatorio ha indicato in modo preciso tale punto – in secondo luogo, perche nell’insieme delle correnti del M.S.I. quella di tale gruppo difendeva posizioni di destra, legate a valori spirituali e gerarchici, contro la tendenzialità socialistoide largamente rappresentata in quel partito.
A iniziative organizzatorie clandestine sono stato del tutto estraneo, né di esse mai alcuno mi ha parlato; quanto poi a certo attivismo, ho spesso esortato a non fornire, per tal via, armi all’avversario, dato che nessuna persona seria penserà che siano presenti le premesse in Italia, dopo la situazione internazionale, per fare una vera rivoluzione o un colpo di Stato antidemocratico. Ciò non solo l’ho scritto in una lettera che la Questura ha sequestrato, che però si è ben guardata dal produrre, ma altresì – per esempio – in un articolo su «Il Nazionale» dal titolo «Trarre partito dall’ostacolo», in cui io dicevo che i maggiori rigori previsti, in fatto di repressione antifascista, dal nuovo disegno di legge di Scelba dovrebbero propiziare la salutare rinuncia a forme esteriori e più o meno anacronistiche di espressione e di attivismo, per concentrarsi invece in una seria preparazione dottrinale.
In genere – poiché si è voluto parlare di «correità ideologica» – nessun incitamento, anche indiretto o involontario, ad azioni terroristiche o clandestine, si trova in un qualsiasi mio scritto. La Questura, nella sua relazione, ha voluto stabilire una assurda relazione fra la costituzione della «Legione nera» e un punto del mio opuscolo «Orientamenti», ove si dice che il carattere tragico dei nostri tempi richiede una specie di «Legionarismo». Ma io specifico bene di che si tratta: del legionarismo non come organizzazione, ma come spirito, come attitudine interna. Ecco le precise parole: «Attitudine di chi sa scegliere la via più dura, di chi e capace di combattere anche sapendo che la battaglia è materialmente perduta e si tiene al principio antico, che fedeltà è più forte del fuoco» («Orientamenti», pp. 5-6). Lo stesso significato è espresso più oltre (p. 22), parlando dell’«uomo dritto fra le rovine». Non si tratta di altro che di una attitudine etica, eroica, spirituale.
Equivoci non sono possibili, e ove siano stati commessi, non posso assumermene la responsabilità. Né ho mai incitato a formazione di partiti – io nego il concetto stesso del partito – o di movimenti sovversivi. Ecco come, a p. 6, indico il compito: «Una rivoluzione silenziosa, procedente in profondità, a che siano create prima all’interno e nel singolo le premesse di quell’ordine, che nel momento giusto dovrà affermarsi anche all’esterno, soppiantando fulmineamente le forme e le forze di un mondo di decadenza e di corruzione». Mi sia permesso di citare altri due passi. Pag. 5: «Rialzarsi, risorgere interiormente, dare a sé stessi, una forma, creare in se stessi un ordine e una drittura», invece di «andare incontro alla demagogia e al materialismo delle masse», schierandosi – dico proprio così – «contro chi sa pensare solo in termini di programmi, di problemi organizzatori e partitistici». Pagine 6-7: «Di fronte ad un mondo di poltiglia, i cui principii sono: Chi te lo fa fare – oppure: prima vien lo stomaco e poi la morale – o ancora: Questi non son tempi in cui ci si possa permettere il lusso di avere un carattere – o infine: Ho famiglia – si sappia opporre: Noi non possiamo essere altrimenti: questa è la nostra via, questo è il nostro essere. Ciò che di positivo può essere raggiunto oggi o domani, non lo sarà attraverso le abilità di agitatori o di politicanti, bensì attraverso il naturale prestigio e il riconoscimento di uomini che siano da tanto e in ciò diano garanzia per la loro idea». Io, che incito a tenersi, malgrado tutto questo mondo di rovine, a un simile livello di alta tensione etica, sarei – secondo l’espressione testuale della Questura – un «personaggio malefico e tenebroso», sobillatore di una gioventù esaltata!
Passo alla seconda: di aver «esaltato idee proprie al fascismo» in articoli pubblicati in vari numeri delle riviste: «La Sfida», «lmperium», e in «Orientamenti», come «più azioni consecutive di uno stesso disegno criminoso». A tale riguardo devo anzitutto mettere in rilievo un dato di fatto significativo. Questo reato mi è stato imputato solo in un secondo tempo, tanto che nell’imputazione contestatami dal Procuratore della Repubblica quando mi interrogò, esso non figura. È evidente che si tratta di un ripiego, di una «conversione strategica», quasi ad assicurare una «fiche de consolation» presso al prevedibile cadere della prima principale imputazione. Basta veder la data degli iscritti incriminati per convincersene: essi risalgono da sei mesi fino a due anni (!) prima del mio arresto. «Orientamenti» reca la data del 1950, è uscito circa un anno prima, non solo, ma è un sunto di articoli già pubblicati altrove, adeguatamente organizzati per un invito di un gruppo, che non è nemmeno quello di «lmperium» e che solo si è servito della rete di diffusione di questa rivista.
Come mai solo dopo un tempo cosi inverosimilmente lungo ci si è accorti di questi «atti consecutivi di uno stesso disegno criminoso»? Delle due l’una: o bisogna convenire che la sorveglianza politica della stampa ha un ritmo ed una prontezza davvero singolari; oppure bisogna convenire nell’altra ipotesi, l’unica sensata, e cioè: questi scritti sono stati scelti fra una quantità di altri miei scritti, dello stesso spirito, anche assi più recenti, usciti in fogli ben vigilati, come «Meridiano d’Italia», «Rivolta Ideale», «Lotta politica», non per il loro contenuto intrinseco, ma per il solo fatto del loro essere usciti nei fogli del gruppo «Imperium» e per così stabilire una insistente mia implicazione nelle presenti iniziative organizzatorie illegali che a quel gruppo si imputano. Un tale artificio non può non risultare evidente agli occhi di un giudice oggettivo.

“Mi limiterò (…) a rilevare come questo stesso anno la casa Luzac di Londra, la più quotata in Europa in tale campo, ha pubblicato una mia opera sul buddhismo, «The Doctrine of awakening»”
Vi è di più. Il rapporto originario della Questura non tratta quasi affatto del presente reato di «apologia» che avrei commesso con tali scritti. Arrogandosi la competenza, l’autorità e la funzione di giudicare in materia di alta cultura, di filosofia, di dottrina della razza, entrando perfino nel merito di ciò che io dico sul darwinismo, sulla psicanalisi, sull’esistenzialismo, il rapporto dell’Ufficio politico della Questura cerca piuttosto di denigrare la mia figura quale scrittore, presentandomi come un dilettante solo noto a conventicole di esoteristi – il bello è che dal detto rapporto risulta che il suo compilatore ignora che vuol dire «essoterismo!» – che con le sue teorie filosofico-magiche morbose – si giunse fino a parlare di «insania mentis!» – avrebbe montata la testa ai giovani neofascisti e sarebbe responsabile delle loro azioni inconsiderate [1].
Così si entra in un campo che esula del tutto dalla materia positiva dell’imputazione, di cui all’art. 7. E, per quanto sia estremamente antipatico dover parlare di sé stessi, mi si impone una breve rettificazione di una simile distorta caricatura della mia figura. Se io non fossi che un dilettante e un esaltato, sconosciuto fuor dalle accennate conventicole, si chiede come mai editori di primo rango – come Laterza, editore di Croce, il Bocca e l’Hoepli – mi abbiano stampato diverse opere, alcune delle quali concernenti il razzismo. Più d’una di queste opere sono state ristampate, e parecchie sono state tradotte in diverse lingue straniere; si chiede, del pari: come mai io sia stato invitato a tener cicli di conferenze in Università italiane – Milano, Firenze – e altresì straniere – Halle, Amburgo – oltre ad esser stato invitato a parlare in società estere aperte solo ai principali esponenti del pensiero tradizionale e aristocratico europeo, come Berlino nello «Herrenklub», a Budapest nell’«Associazione di cultura» della contessa Zichy, a Vienna nel «Kulturbund» del principe di Rohan? Ciò che si vorrebbe dare nei termini di teorie squilibrate, tenebrose, «magiche», concerne invece studi sistematici sulla metafisica, sull’orientalismo, sull’ascesi, sulla scienza dei miti e dei simboli, studi, di nuovo, ben apprezzati anche all’estero. Mi limiterò, a quest’ultimo proposito, a rilevare come questo stesso anno la casa Luzac di Londra, la più quotata in Europa in tale campo, ha pubblicato una mia opera sul buddhismo, «The Doctrine of awakening».
La relazione della Questura impone una rettificazione di un altro punto concernente il razzismo. Sempre per mettermi in una luce tendenziosa, essa mi presenta come un fanatico nazifascista, che in sue conferenze all’estero avrebbe già attaccato la latinità e denigrato l’italianità in pro dell’idea ario-germanica, cosa che avrebbe destato preoccupazione perfino fra le gerarchie fasciste in seguito a segnalazioni consolari [2]. Tutto ciò è un equivoco derivato da incompetenza e da difettosa informazione. Si deve sapere che nei moderni studi razziali «ario» e perfino «nordico» non vuol affatto dire tedesco: il termine è invece sinonimo di «indoeuropeo» e designa propriamente una razza primordiale preistorica, dalla quale sarebbero derivati i primi creatori delle civiltà indù, persiana, ellenica, romana, e di cui i tedeschi sarebbero solo gli ultimi rami inselvatichiti. Tutto ciò è indicato nel modo più chiaro delle mie opere «Rivolta contro il mondo moderno» e «Sintesi di dottrina della razza». Il razzismo che ho difeso, lungi dall’essere un «estremismo», rientra nei tentativi che avevo intrapreso, anche in altri campi, per rettificare delle idee che nel fascismo, e altresì nel nazionalsocialismo, andavano sviluppandosi in una direzione deviata. Cosi io opposi al razzismo materialista e volgarmente antisemita, un razzismo spirituale introducendo il concetto di «razza dello spirito» e sviluppando su tale base una dottrina originale.
Inoltre all’ideale ario-germanico, difeso da nazismo, ho contrapposto l’ideale ario-romano; ho sì attaccato l’idea confusa della latinità, ma non in pro dell’idea germanica, bensì per esaltare il concetto della pura romanità, concepita come una forza ben più augusta e originaria di tutto ciò che è genericamente latino. Non basta. Il relatore della Questura sembra ignorare che alle mie conferenze, cui si accenna, e il cui titolo significativo era «Il rivolgimento ario-romano dell’Italia fascista», ne seguirono altre in diverse città tedesche, di cui unisco il testo italiano come estratto di «Rassegna italiana», ove ho messo in risalto ciò che l’antica idea classica e romana poteva dare per raddrizzare varie idee in voga in Germania e per condurle ad un livello superiore spirituale. È possibile che qualche console italiano all`estero, digiuno di tali studi, abbia mandato rapporti allarmanti. Ma quanto alla preoccupazione che perfino nelle gerarchie fasciste il mio razzismo avrebbe destato, le cose stanno ben altrimenti. Dopo quelle conferenze, Mussolini, di sua personale iniziativa, volle parlarmi, per esprimermi la sua approvazione rispetto alle mie formulazioni razziste, perché le riteneva atte ad assicurare al pensiero italiano una posizione indipendente, anzi di superiorità, rispetto alle ideologie naziste – sul che il già capo dell’Ufficio Razza, dott. Luchini, potrebbe dar precisa testimonianza. E devo dire che questo riconoscimento fatto spontaneamente da Mussolini ad un non fascista, cioè a un non-tesserato, è uno dei ricordi più lusinghieri della mia vita. Comunque, tengo a dire che la teoria della razza, nell’insieme delle idee da me difese, non e che un capitolo affatto subordinato e secondario, malgrado quello che alcuni credono. Quando poi il rapporto della Questura accenna che per un certo periodo durante il fascismo sarei stato «sorvegliato» per motivi oscuramente accennati – personali e, aggiunse, per … attività magiche – in ciò esso manca per lo meno di verecondia, perché sarebbe bene ricordare a che persone, allora, in casi del genere, obbediva servilmente la Questura, i cui funzionari erano tutti iscritti ai fasci, mentre io mai lo sono stato.
Affermatore di un pensiero indipendente, cui subito accennerò, nel fascismo io ho avuto sia amici devoti, sia nemici a morte, che con ogni mezzo cercarono di scalzarmi, mettendo in giro dicerie e fandonie di ogni genere. Fra tali nemici furono Starace e i suoi accoliti, i quali cercarono perfino di servirsi della Questura di quel tempo, con risultati nulli. Ed oggi sembra che la Questura non esiti a riesumare contro di me quelle vecchie storie: ieri usate per farmi apparire antifascista e oggi invece per confermare l’accusa di fascismo. Perche non si riferisce, piuttosto, che nel 1930 l’Ufficio politico della Questura mi diffidò per conseguire la sospensione del giornale, da me diretto, «La Torre»? E per che ragioni? Per «attacchi contro lo squadrismo». Naturalmente, non si trattava dello squadrismo in sé, ma solo di alcuni filibustieri che con la scusa del fascismo e dello squadrismo si permettevano ogni sorta di cose e che per aver ragione di me, che li attaccavo, protetti da Starace, si servirono della stessa Polizia. Io non intendo presentarmi menomamente né come antifascista, né come vittima del fascismo. Ma tutto questo, per mettere in chiaro i mezzi che si cerca di usare contro di me, va debitamente ricordato.
Una volta precisato tutto questo, e tolto ogni contorno tendenzioso, passo alla questione di fatto, quanto all’imputazione di aver difeso «idee proprie al fascismo». Ma qui mi trovo in perplessità, perché l’Accusa né nomina gli articoli di cui si tratta, né – come si usa – indica dei passi specifici che corrisponderebbero agli estremi del reato, né infine, più in genere, indica quali sarebbero queste «idee proprie al fascismo».
(Qui il Pubblico Ministero – dott. Sangiorgi – dichiara che non si tratta di passi specifici degli scritti di Evola, ma dello spirito generale di essi. Quanto alle «idee proprie del fascismo», egli aggiunge che nei suoi riguardi esse possono riferirsi alla monocrazia, al gerarchismo, e al concetto di aristocrazia o elitismo. Dopo che, a richiesta, tutto ciò vien messo a verbale, Evola riprende)
Bene. Quanto a monocrazia, ciò non è che un nome diverso per dire monarchia, nel senso originario, non necessariamente dinastico, del termine. Quanto a gerarchismo, dirò subito: io difendo l’idea di gerarchia, e non di gerarchismo. Ciò precisato, devo dire che, se tali sono i termini di accusa, allo stesso banco degli accusati, avrei l’onore di vedere sedere persone come Aristotele, Platone, il Dante di «De Monarchia» e cosi via, fino a un Metternich e a un Bismarck. Respingo l’accusa di difendere idee proprie al fascismo, perche l’espressione «proprie» contenuta nell’art. 7 vuol dire specifiche, vuol dire idee che non siano state semplicemente presenti nel fascismo, bensì idee che solo nel fascismo, e non altrove, possono essere ritrovate. Ora, di ciò nei miei riguardi non e assolutamente il caso. Io ho difeso e difendo «idee fasciste» non in quanto sono «fasciste», ma nella misura in cui riprendono una tradizione superiore e anteriore al fascismo, in quanto appartengono al retaggio della concezione gerarchica, aristocratica e tradizionale dello Stato, concezione avente carattere universale e mantenutasi in Europa fino alla Rivoluzione francese.
In realtà le posizioni che ho difeso e che difendo, da uomo indipendente – perche non sono mai stato iscritto a nessun partito, ne al P.N.F. né al P.R.F., ne al M.S.I. – non sono da dirsi «fasciste» bensì tradizionali e controrivoluzionarie. Nello stesso spirito di un Metternich, di un Bismarck o dei grandi filosofi cattolici del principio di autorità, De Maistre e Donoso Cortes, io nego tutto ciò che, direttamente o indirettamente, deriva dalla Rivoluzione francese e che secondo me ha per estrema conseguenza il bolscevismo, a ciò contrapponendo il «Mondo della Tradizione».

“In realtà le posizioni che ho difeso e che difendo, da uomo indipendente (…) non sono da dirsi «fasciste» bensì tradizionali e controrivoluzionarie. (…) io nego tutto ciò che, direttamente o indirettamente, deriva dalla Rivoluzione francese e che secondo me ha per estrema conseguenza il bolscevismo, a ciò contrapponendo il Mondo della Tradizione”
Tutto questo risulta nel modo più chiaro della mia opera fondamentale, rimessa alla Corte, «Rivolta contro il mondo moderno», le due parti della quale si intitolano appunto «Il mondo della Tradizione» e «Genesi e volto del mondo moderno». Nella prefazione, io indico proprio questo libro come la chiave per ben comprendere i miei scritti propriamente politici; e il critico inglese McGregor cosi parla di tale opera, nel giudizio riportato nella seconda edizione di essa: «Più che il capolavoro dello Splengler italiano chiamerei questo libro il baluardo dello spirito tradizionale e aristocratico europeo». Questa mia posizione è ben nota, e non solo in Italia. Anche in un recentissimo libro dello storico svizzero A. Mohler («Die Konservative Revolution», Stuttgart, 1950, pp. 21, 241, 242), mi si fa l’onore di mettermi a fianco di Pareto e mi si considera come il principale esponente italiano della cosiddetta «rivoluzione conservatrice». Perciò, nei miei riguardi, di apologia di «idee proprie al fascismo» non è affatto il caso di parlare. I miei principi sono solo quelli che prima della Rivoluzione francese ogni persona ben nata considerava sani e normali.
Io lascio indeterminata, oggi, la questione dinastica e istituzionale; purtuttavia ciò che io scrivo, negli stessi articoli incriminati e in «Orientamenti», potrebbe essere interpretato egualmente bene come difesa della idea monarchica e gerarchica precostituzionale e tradizionale, difesa che nessuna legge nostra ancora colpisce, perché se l’art. 1 della legge eccezionale ha la controparte nell’art. 2 che vieta la ricostruzione della monarchia – tuttavia con mezzi violenti – l’art. 7 non ha nessuna controparte come divieto di apologia di una ideologia «monarchica».
Quanto al fascismo storico, se in esso io ho sostenuto quegli aspetti che sono suscettibili a giustificarsi con l’accennato ordine di idee, vi ho combattuto idee più o meno risententi del clima politico materialista dei tempi ultimi, per cui critiche a ciò che oggi volgarmente si considera come fascismo sono frequenti negli stessi miei scritti che si vorrebbe incriminare. Mi limiterò ad alcuni punti essenziali.
1) Io mi oppongo al totalitarismo, ad esso contrapponendo l’ideale di uno Stato organico ben differenziato e considerando come una deviazione il «gerarchismo fascista». In «Orientamenti», pp. 13-14, si legge che il totalitarismo rappresentò una direzione sbagliata e l’abortire dell’esigenza verso una unità politica virile ed organica «Gerarchia non è gerarchismo – un male, questo, che, purtroppo, in un tono minore oggi cerca di ripullulare – e la concezione organica non ha nulla a che fare con la sclerosi statolatrica e con una centralizzazione livellatrice ». Ancor più estesamente ed energicamente ho preso posizione contro il totalitarismo in un articolo, che produco alla Corte, dal titolo «Stato organico e totalitarismo» uscito in «Lotta Politica» organo ufficiale del M.S.I.. La stessa tesi, portata sul piano della cultura, l’ho difesa nello scritto incriminato di «Imperium» (n. 2), ove, criticando le idee dello scrittore Stending, riconosco con lui che il male di cui soffre la cultura moderna è il suo particolarismo, dovuto alla paralisi di una idea centrale direttiva, ma mi oppongo alla soluzione totalitaria, nella quale non e un principio spirituale, sopraelevato e trascendente, ma la brutta volontà politica a voler tirannicamente asservire e unificare la cultura, del che il caso-limite si ha nel sovietismo.

“La parola d’ordine che io riprendo da Tacito è: ‘La suprema nobiltà dei Capi non è di essere padroni di servi, ma dei signori che amano la libertà anche in coloro che ad essi obbediscono’ “
2) Una concezione specificamente fascista fu quella del cosiddetto «Stato etico» del Gentile. Io l’avverso con dure parole («Orientamenti», pp. 20-21).
3) Vi e chi ama dipingere il fascismo come una «bieca tirannide». Nel periodo di tale «tirannide» non mi è mai accaduto di subire una situazione come la presente. Comunque le cose, nel riguardo, stiano, la parola d’ordine che io riprendo da Tacito è: «La suprema nobiltà dei Capi non è di essere padroni di servi, ma dei signori che amano la libertà anche in coloro che ad essi obbediscono» (p. 14).
4) Circa il problema della sovranità, io respingo ogni soluzione demagogico-dittatoriale. La vera autorità – dico (p. 15) – non può esser quella di «un tribuno o capo-popolo, detentore di un semplice potere spirituale informe, privo di ogni superiore crisma, poggiante invece sul prestigio precario esercitato sulle forze irrazionali delle masse». Nel cosiddetto «bonapartismo» vedo «una delle oscure apparizioni dello spengleriano «Tramonto dell’Occidente» e ricordo la frase di Carlyle circa «il mondo dei domestici che vuol esser governato da un pseudo-eroe». (pp. 12-13).
5) Io ho attaccato ripetutamente la teoria della «socializzazione» che, come si sa, fu una parola d’ordine del fascismo di Salò: al quale non ho aderito, in quanto dottrina (punti di Verona), pur approvando l’atteggiamento di coloro che combatterono al Nord per un principio di onore e di fedeltà. Nella socializzazione vedo un marxismo travestito, una tendenzialità demagogica. Su ciò, vedi «Orientamenti», pp. 11-12 e più di un terzo dell’articolo incriminato «Due intransigenze» («Imperium», n. 4). In effetti, la vera azione che io volevo esercitare sui giovani del gruppo «Imperium» e di altre correnti giovanili era nel senso di una contrapposizione con le tendenzialità materialiste e di sinistra presenti nel M.S.I.
6) La difesa dell’idea corporativa non dovrebbe costituire reato, dato che la si trova in partiti legali di oggi, p. es. il P.N.M. e il M.S.I., oltre che perfino in alcune correnti di cattolicesimo politico. Comunque, ho fatto oggetto di critica certi aspetti, secondo cui il corporativismo fascista fu un semplice superstruttura burocratica che manteneva il dualismo classista; ad essi ho opposto una ricostruzione organica e anticlassista dell’economia all’interno stesso delle aziende (pp. 12, 13). Infine un cenno rapidissimo sulle tesi contenute negli articoli di «Imperium » n. l e di «La sfida». Nel primo si ricorda semplicemente quale era, nella romanità delle origini, il senso della parola, «Imperium»: come essa fosse sinonimo di «auctoritas» e di potere derivato di forze divine, dall’alto. Affermo poi che la crisi del mondo politico moderno riflette la crisi di tale principio o potere, e dei valori eroici che vi si connettevano. L’articolo di «La Difesa», firmato col pseudonimo Arthos riassunto in «Orizzonti» p. 89, si basa sul principio di Metternich: «Con la sovversione non si patteggia». Prendo lo spunto da uno scritto di Engels, il quale dice che la rivoluzione liberale non fa che preparare quella comunista e lavorare per essa. Affermo pertanto che come i comunisti basano su questa concezione il loro radicalismo sovvertitore, così anche da essa si deve partire ove si tenda ad agire nel senso opposto, cioè in quello contro-rivoluzionario di una vera ricostruzione, senza far concessione alla sovversione. Ne nell’uno ne nell’altro scritto si trovano riferimenti al fascismo né agli uomini di esso.

“L’articolo di «La Difesa», firmato col pseudonimo Arthos (…) si basa sul principio di Metternich: «Con la sovversione non si patteggia» “
Questo è tutto, dimostrando pertanto che io, negli scritti incriminati – anche a limitarsi ad essi e senza riferirsi, come però sarebbe debitoria onestà scientifica, ai miei libri – sono contro il totalitarismo, contro la dittatura demagogica, contro lo «Stato etico », contro ogni forma di autorità sconsacrata, contro un «potere semplicemente individuale e informe », contro il dispotismo – parole di Tacito – contro la socializzazione, perfino contro un certo corporativismo, chiedo che cosa resti e dove mai si ravvisi il reato di «apologia». Infatti le idee centrali da me difese, come ho detto, possono essersi presentate nel fascismo, ma non sono «proprie» del fascismo, come vuole l’art. 7. Quel che resta, rientra essenzialmente nel dominio dell’etica e della concezione della vita e, quanto a politica, si risolve in una attitudine di intransigenza tradizionale, e, se si vuole, «reazionaria», in una risoluta presa di posizione contro sovversione, individualismo, collettivismo, demagogia, in qualsiasi forma essa si presenti, contro il mondo dei politicanti e dei senza carattere.
Così, ciò che la Corte, nei miei riguardi, è chiamata a decidere è se il clima dell’Italia attuale è tale che chi, dichiarando di volersi tenere fuor da qualsiasi attività partitistica e organizzatoria, difende simili posizioni quale scrittore, sul piano della dottrina, debba attendersi di esser portato dinanzi ad un tribunale, reo di «reato ideologico».
Note
[1] Nella relazione della Questura si poteva infatti leggere: “L’Evola aveva goduto, in passato, una modesta e ristretta fortuna e popolarità come cultore di pretenziosi studi esoterici (cioè scienza dei pochi) e di discipline magiche di origine orientale. L’attività dell’Evola in campo culturale era stata proteiforme, ma, in qualunque settore, di scarso successo: si atteggiò anche a poeta e pittore e, nel campo delle arti figurative, si fece diffusore in Italia della tendenza pittorica del dadaismo” (N.d.R.)
[2] Sempre dalla relazione della Questura: “… Politicamente fu fervente sostenitore del fascismo ed, in particolare, della politica razziale (per lungo tempo fu collaboratore della nota rivista di Preziosi, “La vita italiana”) ed anzi, in tal campo, fu talmente oltranzista, da destare la preoccupata attenzione delle gerarchie del tempo; recatosi, infatti, in Germania, durante la guerra, vi tenne un ciclo di conferenze sul problema razziale” (N.d.R.).
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