Julius Evola e il Dada in Italia – Una “espressione sconfinante” fra arte, poesia e pensiero

di Vitaldo Conte

(dal mensile “La Biblioteca di Via Senato”, n. 1 gennaio 2016 – anno VIII – speciale centenario dada 1916-2016)

Il Dada italiano è ancora carente di studi complessivi, risultando tuttora segreto, rispetto alle altre aree geografiche di espressione del movimento. Punto di partenza per chi volesse intraprendere una tale indagine rimane il lavoro artistico e poetico di Julius Evola (1898-1974), indicato come il principale esponente in Italia del Dada. La sua produzione costituisce una rilevante testimonianza, anche per le diverse e transdisciplinari letture.

Dada incarna un’espressione sconfinante, con momenti, riflessioni ed esistenze differenti, all’interno del proprio svolgersi. Ma con una idea di sintesi e totalità finale, peraltro presente in diversi aspetti e autori del movimento. Evola stesso rifiuta di distinguere e separare i momenti più significativi del suo percorso culturale. Ne rivendica il senso complessivo e la continuità fra l’espressione artistica e il percorso filosofico: «Nell’essenziale, sussiste una continuità attraverso tutte le varie fasi della mia attività».

tristan-tzara-dadaismo

Tristan Tzara, tra i fondatori del movimento dadaista: conobbe personalmente Evola ed intrattenne con lui una corrispondenza epistolare

Ne Il cammino del cinabro, sua autobiografia intellettuale, termina la parte dedicata al suo passaggio dadaista, con le seguenti parole: «Non scrissi poesie né dipinsi più dopo la fine del 1921». Nello stesso capitolo risultano significative le affermazioni di Tristan Tzara, riportate da Evola: «Che ognuno gridi: vi è un gran lavoro distruttivo, negativo, da compiere. Spazzar via, ripulire. Senza scopo né disegno, senza organizzazione, la follia indomabile, la decomposizione».

«In Italia – scrive Evola – fui fra i primissimi a rappresentare la corrente dell’arte astratta, in connessione col dadaismo (conobbi personalmente Tristan Tzara e altri esponenti del movimento). Nell’esposizione dadaista a tre, con Gino Cantarelli e Aldo Fiozzi, alla Casa d’Arte Bragaglia, a Roma (aprile 1921), sono ben visibili i diversi indirizzi presenti all’interno del gruppo (in Fiozzi per esempio è esplicito il riferimento meccanicistico). All’inaugurazione della mostra Evola tiene una conferenza, in cui presenta il Dada in Italia: oltre alla rivista mensile «Bleu» (che si pubblica a Mantova e che uscirà in tre numeri), indica come principali aderenti al movimento se stesso, Gino Cantarelli, Bacchi, Fiozzi, Vices-Vinci. Nel suo intervento decreta, con toni fortemente polemici, l’esaurimento del Futurismo. Marinetti prende atto che, per la prima volta, si svolge una manifestazione d’avanguardia esplicitamente dichiarata come non futurista. Ma non è questo il primo attacco al padre fondatore del Futurismo: già nel gennaio dello stesso anno, su «Bleu», Evola aveva firmato, assieme a Cantarelli (che con Fiozzi dirigeva la pubblicazione), una pesante riflessione contro Marinetti e il suo movimento: Dada soulève tout.

***

evola-dada-casa d'arte bragaglia

Evola in una celebre foto scattata probabilmente nel corso dell’esposizione dadaista presso la Casa d’Arte Bragaglia (Roma, 15-30 aprile 1921). Alle sue spalle si riconoscono due suoi dipinti.

L’esperienza pittorica e poetica dadaista di Evola, pur breve nella temporalità, risulta intensa, anche negli aspetti intellettuali, presenti nella stessa pratica artistica. Esprime una testimonianza singolare nell’ambito di un’astrazione che si costruisce con il distacco da urgenze espressive. Il suo spiritualismo assoluto s’inserisce nello spartito dei linguaggi non-figurativi dell’avanguardia europea del primo Novecento, i cui esiti risultano molto ricettivi allo “spirituale nell’arte” in diversi suoi protagonisti, fra i quali Kandinsky, Mondrian, Malevic, Kupka e Ciurlionis, nonché in un certo futurismo che fa capo a Ginna e Balla. Le “rappresentazioni” di Evola sono uno dei “gradi zero” di questa astrazione: con il suo lasciare il pensiero-immagine della pittura per dedicarsi alla filosofia, con il suo intervenire nell’arte e con la sua indifferenza per il creare o non: «Non voglio convincere nessuno. E ripongo la mia causa nella forma senza vita, ripongo la mia causa nel nulla».

L’adesione al Dada è comunicata a Tzara nei primissimi giorni del 1920. Evola, con gli scritti e la pittura, ne attraversa le contraddizioni fino a risvolti imprevedibili, condividendone la radicale essenza nichilista, oppositiva a ogni valore acquisito dell’arte e della morale. La sua particolarità è anche quella di aderire al Dada (che rifiuta la formulazione di linguaggi stabiliti) per poi teorizzarne una possibile estetica ed esprimerne opere con un intrinseco equilibrio e valore artistico, contrariamente alle intenzioni del movimento.

Lo scritto giovanile Arte Astratta (composto da una introduzione teorica seguita da dieci poemi e quattro composizioni), pubblicato nel 1920 per Collection Dada (Zurigo), è da considerare la sua prima opera. È una raccolta di riflessioni, composizioni poetiche, riproduzioni di quadri. Il contributo teorico abbozzato è significativo, sintomatico dello spessore intellettuale dell’autore, oltre che essere testimonianza del tempo, ondeggiante fra desiderio di ordine e rottura: «Esprimere è uccidere. Dunque non si può né si deve esprimere».

In nome di una superiore libertà, denuncia l’aspiritualità di ciò che viene abitualmente considerato spirituale, auspicando il valore di un’estraneità mistica, impassibile e dominatrice più che estatica.
Per Evola l’arte astratta si costituisce sul principio di un “formalismo assoluto” e sull’espressione di una volontà cosciente, lucida, protesa a «portarsi di là dalla vita» e a non immergersi in essa. Può diventare così «un metodo dello spirito», in arte come altrove, proprio nel suo essere un metodo astratto, non pratico, della purità e libertà. Questa astrazione diviene posizione interiore che può essere “oggettivizzata” nel linguaggio artistico e poetico.

Julius Evola- Paesaggio interiore, apertura del diaframma

Julius Evola- “Paesaggio interiore, apertura del diaframma” (1920-21) – “Opera tra le più compiute nella descrizione di una dimensione di trasformazione e di astrazione propria della serie dei ‘paesaggi interiori’. Come indica giustamente la (Elisabetta) Valento si tratta di uno dei lavori di più forte implicazione alchemica, nel rappresentare mutazioni di elementi che tendono a vaporizzarsi” (Francesco Tedeschi)

Le visioni, che Evola affida alla sua pittura e poesia, pur appartenendo allo specifico linguaggio usato, possiedono una comunicazione sinestetica che risulta anche immagine-concetto. Accompagnano, in maniera sotterranea, il suo procedimento di pensiero, che sottintende simultaneamente quello esoterico e propriamente alchemico. Le composizioni astratte dei suoi Paesaggi interiori possono essere lette appunto come un “pensare”, attraverso la visione di spazi siderali: con il colore che assume pregnanza simbolica e con i riferimenti a un percorso ermetico-alchemico. L’astrazione di Evola è mistica, in quanto la combustione alchemica ha come dinamica la purificazione spirituale. L’alchimia, in lui, diviene creazione, lettera-concetto e procedimento immaginale di pensiero, travalicando i confini fra le arti.

Evola vive la stagione artistica con totale partecipazione esistenziale: soglia di trascendimento per ulteriori itinerari, usando le possibilità della mente e dello spirito. Gli appare come l’approdo estremo dell’arte modernissima – cioè astratta – limite insuperabile del nichilismo artistico, non intravedendo nell’ambito della forma, dopo Dada, alcuna possibilità di sviluppo. La sua significativa radicalità esprime certamente la conclusione delle istanze più profonde che avevano alimentato i movimenti d’avanguardia. Le stesse categorie artistiche sono negate, nella ricerca di passaggi verso le forme caotiche di una vita priva di razionalità, in cui la contraddizione, il paradosso, il non senso risultano elementi dominanti.

***

Il transito dada di Julius Evola nella poesia è espresso dai testi, compresi fra il 1916 e il 1922, che avrebbero formato la raccolta Ràaga Blanda e dal poemetto a quattro voci La parole obscure du paysage intérieur (tradotto dall’italiano in francese dall’autore insieme a Maria de Naglowska) che rappresenta il suo estremo approdo lirico.

L”autore, nell’introduzione a Ràaga Blanda, scrive che in questa poesia è visibile uno sviluppo che, a parte alcune non rilevanti incidenze futuriste, va dal decadentismo al simbolismo e dall’analogismo fino alla composizione dadaista. In quest’ultima fase viene seguita la tecnica della poesia astratta e della cosiddetta “alchimia delle parole”, in cui queste ultime vengono usate non secondo il loro contenuto oggettivo ma soprattutto secondo le valenze evocative, associate a fonemi inarticolati e accordate in modo vario. Le reiterazioni di lettere partite da onomatopee futuriste giungono al Dada, attraverso la ritualità ermetica e il libero fonetismo, perdendo la funzione imitativa o allusiva per assumere quella di richiamare un suono intimo, ancestrale.

Le parole, disposte con apparente libertà, vivono in uno spazio determinato da linee convergenti e divergenti, come se fossero cristallizzate dal pensiero. Una speciale chiaroveggenza ricrea l’alchimia lirica nella dimensione oscura del simbolo. La selezione e combinazione evocativa delle parole, dissociate dal senso reale, e dei suoni esprimono la sua poesia dada. Questa ricerca è rintracciabile in altri autori del movimento, come nei testi di Hugo Ball che rileva «Dobbiamo tornare alla più intima alchimia della parola, rinunciare alla parola in modo da poter conservare alla poesia il suo ultimo e più sacro rifugio».

la parole obscure du paysage interieur-evola

Julius Evola, “La parole obscure” (1921): disegno per la copertina del poema a quattro voci “la parole obscure du paysage intérieur”

Le possibili ‘illuminazioni’ evoliane propongono un mondo che dilata le possibilità sensoriali e percettive della realtà, fino ai confini estremi del vivibile e dell’oltre. Il suo verso, edificandosi con immagini che richiamano una musica interiore, si espande in coinvolgimenti plurisensoriali. Come accade in talune espressioni della poesia concreto-visuale e fonetica internazionale, specificatamente in quelle di vocazione magico-rituale.

Evola riprende la dimensione simbolista per esprimere una materialità linguistica autonoma: da utilizzare con il suo potere evocativo, attraverso l’orchestrazione dei sensi, emergendo da gruppi d’immagini apparentemente slegate (come nell’alchimia della parola di Rimbaud). Sostituisce l’iniziale astrattismo sentimentale con uno apassionale. La lirica non deve esprimere più nulla, perché è comunicazione pura, libertà incondizionata, dominio dei mezzi d’espressione: entra in un’atmosfera assolutamente rarefatta, ossessionante di alogicità e di orgasmo interiore.
Nella lettera che Evola scrive a Tzara nel ’21, per accompagnare una copia del poemetto La parole obscure, questo viene definito «una specie di documento di un episodio della mia vita». La vocazione trascendentale espressa dal testo poetico ha un percorso di ampliamento visivo nella copertina disegnata dall’autore stesso, riempita da specifici segni che costruiscono la sua complessità.
Questa poesia è da leggere anche come espressione di un percorso di formazione: quello proteso verso una conoscenza sempre più approfondita della tradizione ermetico-alchemica, la cui cultura si muove e relaziona fra Simbolismo, Futurismo, Dadaismo.
Nel ’63 l’autore, nella Prefazione alla ristampa, indicherà il livello dadaista di astrazione di questa sua opera: «Il poemetto è “astratto” solo in certi aspetti del testo, dove ho seguito la tecnica della composizione o “alchimia” dei puri valori evocativi, e non oggettivi, delle parole e anche di suoni. Per il resto, esso ha un ‘contenuto’ abbastanza preciso».
Il poema esprime il compimento di quell’azione “anti-umana” auspicata da Tzara nel suo Manifesto del 1918. Raggiungere la pienezza dell’astrazione può comportare il silenzio della parola poetica: esperienza in cui “entrano” anche altri dadaisti. A conclusione del rituale, scrive Evola a Tzara, «inizierà la vita ultima, il 2° piano Dada. Ma ciò non appartiene più all’espressione», cioè non appartiene più alla poesia: «Siamo fuori, abbiamo esaurite tutte le esperienze, spremute tutte le passioni. Non è pessimismo: si tratta di aver veduto. Io, sono al di fuori».
Come lo stesso autore esplicita a Papini, siamo di fronte all’uomo «finito sul serio»: «Smette di scrivere e ne ha abbastanza dell’intellettualismo; fa come fece un Rimbaud, taglia tutti i ponti, cambia essenzialmente di piano. Magari si uccide». Da quel momento Evola si dedicherà esclusivamente al pensiero filosofico. Il nuovo percorso coincide con l’esaurimento di un periodo dell’arte italiana d’avanguardia. Nel ’63 Evola fornirà una spiegazione al riguardo; «L’arte astratta, nello sfociare nel Dadaismo, rappresentò un limite, raggiunto il quale non restava che da tacere, o da passar oltre, o, nei casi estremi, di battere la via di un Rimbaud o di coloro che posero fine alla propria vita». Ed Evola probabilmente “silenziò” la parola poetica per “finire” il proprio sé umano.


A proposito di...


'Julius Evola e il Dada in Italia – Una “espressione sconfinante” fra arte, poesia e pensiero' has no comments

Vuoi essere il primo a commentare questo articolo?

Vuoi condividere i tuoi pensieri?

Il tuo indirizzo email non verrà divulgato.

"In una civiltà tradizionale è quasi inconcepibile che un uomo pretenda di rivendicare la proprietà di una idea e, in ogni caso, in essa chi così facesse, con ciò stesso si priverebbe di ogni credito e di ogni autorità, poiché condannerebbe l’idea a non esser più che una specie di fantasia senza alcuna reale portata. Se una idea è vera, essa appartiene in egual modo a tutti coloro che sono capaci di comprenderla; se è falsa, non c’è da gloriarsi di averla inventata. Una idea vera non può essere «nuova», poiché la verità non è un prodotto dello spirito umano, essa esiste indipendentemente da noi, e noi abbiamo solo da conoscerla. Fuor da tale conoscenza, non può esservi che l’errore" (R. Guénon)

Tutto quanto pubblicato in questo sito può essere liberamente replicato e divulgato, purché non a scopi commerciali, e purché sia sempre citata la fonte - RigenerAzione Evola