Julius Evola e Mircea Eliade, breve storia di un’“amicizia mancata” (prima parte)  

Le informazioni contenute nel presente articolo sono tratte da “Julius Evola – Lettere a Mircea Eliade 1930-1954” – a cura di Claudio Mutti, Quaderno n. 46 della collana dei Quaderni Evoliani editi dalla Fondazione Julius Evola, Edizioni Controcorrente, Roma, 2011, ed in particolare dalla Prefazione “Eliade contro Evola”, a cura del professor Giovanni Casadio, e dell’Introduzione “Evola-Eliade: un bilancio culturale”, a cura di Claudio Mutti, da cui sono stati estrapolati dei passi e delle note, variamente combinati e collegati tra loro, talvolta con delle variazioni e con l’aggiunta di frasi e commenti originali da parte della Redazione di “Rigenerazione Evola”, al fine di confezionare il presente scritto.

L’intenzione è quella di fornire al lettore un sunto dei principali aspetti del rapporto storico-epistolare tra Julius Evola e Mircea Eliade, che costituisca anche un’introduzione per meglio comprendere il contenuto di tre lettere selezionate dal Quaderno sopra menzionato, che verranno proposte successivamente.

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1. Introduzione

La parabola dei rapporti culturali e umani tra due protagonisti della vita intellettuale del Novecento come Julius Evola e Mircea Eliade è marcata da un’intesa cordiale nel suo stato nascente: nel 1926, in una rassegna di riviste italiane e romene pubblicata su “La rivista universitaria”, il diciannovenne Mircea Eliade, citando gli autori del numero di “Bilychnis – Rivista mensile di studi religiosi” del gennaio 1926, aveva menzionato in particolare l’articolo di Evola, all’epoca ventisettenne, La scolastica dinnanzi alla spirito moderno. Poi, alla fine del 1927, un anno prima di partire per l’India, su “La parola” Eliade aveva recensito con grande ammirazione il saggio di Evola Il valore dell’occultismo nella cultura contemporanea, apparso anch’esso su “Bilychnis”.

L’entusiasmo di questo rapporto nascente riemerge nelle pagine del Diario dello studioso romeno del luglio 1974. Allorché gli giungerà la notizia della morte di Evola, Eliade rievocherà infatti così, forse con un filo di rimpianto, i suoi primi contatti con lo scrittore italiano: “Affiorano in me dei ricordi, quelli dei miei anni d’università, dei libri che avevamo scoperti insieme, delle lettere che ricevevo da lui a Calcutta, nelle quali mi pregava con insistenza di non parlargli di yoga, né di “poteri magici’, se non per riferirgli fatti precisi di cui fossi stato personalmente testimone. Sempre da lui, ricevetti in India diverse pubblicazioni, ma mi ricordo soltanto di alcuni numeri della rivista ‘Krur’” (Fragments d’un journal II. 1970-1978, cit., p. 192 e Lettera I).

mircea eliade- fragments d'un journalIn seguito i contatti epistolari tra Evola ed Eliade divennero regolari, e si incentrarono soprattutto su questioni editoriali, relative alle traduzioni delle loro opere, a recensioni, letture, commenti, e così via; in diverse circostanze i due ebbero modo anche di incontrarsi personalmente.

Man mano che le aperture giovanili avrebbero lasciato il campo alle amarezze spirituali ed alle durezze dottrinali dell’età matura, alcune incomprensioni avrebbero però minato il rapporto instauratosi negli anni, fino alla formale “rottura” del 1963, su cui torneremo.

La storia del rapporto Evola-Eliade  è stata più volte trattata in una serie di lavori di alto livello (si pensi agli studi di G. Monastra, P. Baillet, G. de Turris e C. Mutti, e quello più recente di M. De Martino[1]), ed ha anche offerto il destro a una serie d’interventi e studi a livello internazionale, purtroppo quasi sempre contrassegnati da profondi pregiudizi ideologici ed insufficiente conoscenza delle fonti originali e delle opere.

Le fonti che hanno permesso di ricostruire la storia dell’’“amicizia mancata” (“une amitié manquée” come è stata giustamente definita da P. Baillet) tra Evola ed Eliade, durata cinquant’anni, sono principalmente: a) le menzioni nelle opere autobiografiche dei due (una sola, brevissima, nel caso di Evola nei confronti di Eliade; due, più dettagliate, nel caso di Eliade nei confronti di Evola), b) le recensioni delle rispettive opere; c) una parte del carteggio epistolare tra i due, cioè esclusivamente le sedici scritte da Evola ad Eliade in francese in un periodo di tempo che va dal 1930 al 1954, recuperate dopo la caduta del regime di Ceausescu in Romania; d) le menzioni dei due in lettere destinate a terzi soggetti: Evola è citato una volta in una lettera di Eliade ad un suo corrispondente, espressione di un momento entusiastico[2]; e parimenti Eliade è citato una sola volta in una lettera datata 29 luglio 1971 di Evola al direttore della rivista “Vie della Tradizione”, Gaspare Cannizzo, espressione questa del momento più amaro, seguito alla rottura “silenziosa” del 1963.

2. Contatti e citazioni prima della guerra

Nella lettera del 28 maggio 1930, che proponiamo nel documento che segue e nella quale Evola chiedeva ad Eliade notizie sull’India, dove lo studioso romeno si trovava in quel periodo, fornendogli un elenco dei suoi libri e dei suoi articoli che provvide ad inviargli, si legge: “Ho ricevuto la vostra lettera. Mi ricordo perfettamente di voi. Un vostro amico mi aveva già detto qui che voi eravate andato in India”.

mircea-eliade-e-la-guardia-di-ferro-codreanuQuesta è l’unica prova che attesterebbe un contatto fra Evola ed Eliade a Roma durante i soggiorni del giovane romeno nell’aprile 1927 o nell’aprile-giugno 1928. Ma potrebbe essersi trattato sia di un incontro diretto, personale, sia semplicemente indiretto (ci si “ricorda perfettamente” anche di una persona non vista ma di cui si è sentito parlare molto). Poiché, dunque, non si hanno altri particolari su ciò e in mancanza di prove che attestino inconfutabilmente un incontro diretto fra i due studiosi a Roma, la circostanza in cui Evola e Eliade si conobbero personalmente deve essere fissata sicuramente nel marzo del 1938, nell’abitazione di Bucarest del professor Nae Ionescu. “Quella mattina stessa – ricorderà Eliade nel suo Diario – Evola aveva avuto l’occasione di intrattenersi con Codreanu e quell’incontro lo aveva molto impressionato. Siccome Evola lo aveva interrogato sulla tattica politica che egli contava di mettere in atto e sulle possibilità della Legione nelle prossime elezioni, Codreanu gli aveva parlato degli effetti dell’incarcerazione sull’individuo, dell’ascesi che essa suscita, delle virtù contemplative che possono manifestarvisi, in una solitudine, un silenzio e un’oscurità che costituiscono altrettanti mezzi grazie a cui l’individuo si rivela a se stesso. Evola ne era ancora incantato. Mi ricordo vagamente delle osservazioni che egli allora fece circa la scomparsa delle discipline contemplative nella lotta politica in Occidente” (Fragments d’un journal II. 1970-1978, Gallimard, Parigi 1981, p. 193). Da parte sua, Evola nel 1971 confermerà, nella citata lettera a Gaspare Cannizzo, che proprio tramite Eliade aveva potuto prendere contatto col capo della Guardia di Ferro, Codreanu, a Bucarest.

Prima della guerra, Eliade aveva citato Evola spesso e volentieri; oltre a quanto già accennato, nel 1928, mentre era in viaggio verso Ceylon, Eliade aveva intrapreso “tutto uno studio sulla filosofia magica [di Evola], studio che è rimasto allo stato di manoscritto” e che non è più stato rintracciato.

Nel 1935 aveva recensito Rivolta contro il mondo moderno su “Il tempo”, definendo Evola “uno degli spiriti più interessanti della generazione della guerra”. Nel 1936 aveva definito Evola come un filosofo alla ricerca di “fenomeni originari” in un’“epoca storica remota” e in una lettera a Coomaraswamy lo aveva accomunato a quest’ultimo, nonché a Guénon, sotto il profilo della “comprensione del mondo simbolico e teorico”. Nel 1937, in “Valorizzazioni del Medio Evo”, aveva inserito Evola (nonché Guénon e Coomaraswamy) tra gli esponenti di quelle élites che vedevano nella civiltà medioevale l’importanza del simbolo e il primato della trascendenza.

3. Contatti e citazioni dopo la guerra

Dopo la guerra, Evola ed Eliade si rividero a Roma, anche se non è stato chiarito esattamente quante volte e quando.

Mircea-EliadeQuanto alle reciproche citazioni, la situazione di fatto si invertì: da una parte, infatti, Evola citò e recensì molto Eliade: le opere Lo sciamanesimo e le tecniche dell’estasi (tradotto tra l’altro da Evola con lo pseudonimo di C. d’Altavilla) e il Trattato di storia delle religioni, furono entrambi recensiti da Evola sul “Roma”: il primo nel 1952 e il secondo nel 1954, mentre nel 1955, sempre sul “Roma”, Evola accennò – senza citare espressamente né Il mito dell’eterno ritorno né altri libri – alle “recenti ricerche di un qualificato studioso delle antiche tradizioni, Mircea Eliade, in relazione alla concezione ciclica del tempo”. Sullo stesso quotidiano usciranno le recensioni evoliane di Miti, sogni e misteri e di Mefistofele e l’androgino, rispettivamente nel 1957 e nel 1971. Fu invece sull’autorevole organo dell’ISMEO che Evola pubblicò, nel 1955, un articolo che era un’ampia recensione di Lo Yoga. Immortalità e libertà, uscito l’anno prima presso l’editore Payot. Quest’ultimo libro, come pure il Trattato di storia delle religioni e Sciamanismo, viene più volte citato nel 1958 in Metafisica del sesso.

Dall’altra parte, invece, nella produzione eliadiana degli anni Cinquanta il nome di Evola apparve molto più di rado. Nel suddetto libro sullo Yoga del 1954, Eliade definisce “un’eccellente analisi” lo studio evoliano del buddhismo contenuto nella Dottrina del risveglio; in Arti del metallo e alchimia, del 1956, accanto a qualche citazione dalla Tradizione ermetica troviamo questa frase: “Ponendosi da punti di vista diversi, J. Evola e C. G. Jung hanno commentato con competenza il simbolismo della morte iniziatica come liberazione dalla nigredo, dalla putrefactio, dalla dissolutio”. Nell’opera, Eliade condivide inoltre l’interpretazione evoliana di materia prima in relazione al testo alchemico di Zaccaria. In Mefistofele e l’androgino, uscito nel 1962, furono poi notate molte citazioni dell’opera evoliana ed in particolare una trasposizione quasi letterale di un brano di Metafisica del sesso.

Inoltre, bisogna ricordare che negli anni Sessanta la rivista “Antaios. Zeitschrift für eine freie Welt”, diretta da Eliade e da Ernst Jünger accolse cinque articoli di Evola.

Segue nella SECONDA PARTE

Note

[1] Cfr. Giovanni Monastra, Il rapporto Eliade-Evola, una pagina della cultura del Novecento, in “Diorama letterario”, 120, novembre 1998; Philippe Baillet, Julius Evola et Mircea Eliade (1927-1974): une amitié manquée, in “Les deux étendards”, I, 1, settembre-dicembre 1988, pp. 45-55; Gianfranco De Turris, L’“iniziato” e il Professore. I rapporti “sommersi” tra Julius Evola e Mircea Eliade, in AA. VV., “Delle rovine ed oltre. Saggi su Julius Evola”, Antonio Pellicani Editore, Roma, 1995, pp. 219-249; Claudio Mutti, Evola e la Romania, in “Julius Evola, La tragedia della Guardia di Ferro”, a cura di Claudio Mutti, Fondazione Julius Evola, Roma, 1996, pp. 5-15 e Julius Evola sul fronte dell’Est, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma, 1998; Marcello De Martino, Mircea Eliade esoterico. Ioan Petru Culianu e i “non detti”, Settimo Sigillo, Roma, 2008.

[2] La lettera, del 1936, la prima e l’unica conservata tra quelle indirizzate ad Ananda Coomaraswamy (1877-1947), indologo, storico delle religioni-tradizionalista e uno dei più venerati maestri ideali di Eliade, è riprodotta in M. Eliade, Europa, Asia, America. Corespondenţa, I, Humanitas, Bucarest, 1999, p. 201. Dopo avere espresso l’“immensa gioia” per la lettera ricevuta (Eliade gli aveva mandato il saggio sulla yoga risultato delle ricerche per la sua tesi) e aver esternato la sua ammirazione per “l’immensa e precisa erudizione” delle sue opere, nonché soprattutto per “la comprensione del mondo simbolico e teorico”, comprensione che egli non ritrova “presso gli altri orientalisti”, egli aggiunge una frase che manifesta senza veli quella che era la sua posizione nei riguardi dei tre maestri della Tradizione, e di Evola in particolare: “C’est seulement dans les écrits de M. René Guénon et dans certains travaux de Julius Evola qu’on peut deviner une semblable capacité de compréhension et de sympathie” (“È solamente negli scritti di M. René Guénon e in alcuni lavori di Julius Evola che si può trovare una simile capacità di comprensione e di condivisione”, N.d.R.).


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"In una civiltà tradizionale è quasi inconcepibile che un uomo pretenda di rivendicare la proprietà di una idea e, in ogni caso, in essa chi così facesse, con ciò stesso si priverebbe di ogni credito e di ogni autorità, poiché condannerebbe l’idea a non esser più che una specie di fantasia senza alcuna reale portata. Se una idea è vera, essa appartiene in egual modo a tutti coloro che sono capaci di comprenderla; se è falsa, non c’è da gloriarsi di averla inventata. Una idea vera non può essere «nuova», poiché la verità non è un prodotto dello spirito umano, essa esiste indipendentemente da noi, e noi abbiamo solo da conoscerla. Fuor da tale conoscenza, non può esservi che l’errore" (R. Guénon)

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