Segue dalla PRIMA PARTE
Le informazioni contenute nel presente articolo sono tratte da “Julius Evola – Lettere a Mircea Eliade 1930-1954” – a cura di Claudio Mutti, Quaderno n. 46 della collana dei Quaderni Evoliani editi dalla Fondazione Julius Evola, Edizioni Controcorrente, Roma, 2011, ed in particolare dalla Prefazione “Eliade contro Evola”, a cura del professor Giovanni Casadio, e dell’Introduzione “Evola-Eliade: un bilancio culturale”, a cura di Claudio Mutti, da cui sono stati estrapolati dei passi e delle note, variamente combinati e collegati tra loro, talvolta con delle variazioni e con l’aggiunta di frasi e commenti originali da parte della Redazione di “Rigenerazione Evola”, al fine di confezionare il presente scritto.
L’intenzione è quella di fornire al lettore un sunto dei principali aspetti del rapporto storico-epistolare tra Julius Evola e Mircea Eliade, che costituisca anche un’introduzione per meglio comprendere il contenuto di tre lettere selezionate dal Quaderno sopra menzionato, che verranno proposte successivamente.
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4. La presenza “nascosta” di Evola nella narrativa di Eliade ed una inquietante “profezia”
È molto interessante verificare come, se citato di rado e con “prudenza” nell’opera scientifica di Eliade, Evola era invece presente, sia pure “in incognito” e sotto falso nome, in alcuni romanzi e novelle dello stesso autore. Ovviamente, si tratta di un Evola che, come gli altri personaggi della narrativa eliadiana, si muove in un universo notturno, quasi onirico, separato comunque dalla dimensione diurna alla quale appartiene l’opera accademica dello storico delle religioni. “Quando scrivo un romanzo – dichiarava infatti Eliade – entro in un mondo che ha la sua propria struttura temporale e in cui i miei rapporti coi personaggi sono di tipo immaginario e non più critico”.
Vediamo quali sono le indiscutibili “apparizioni evoliane” nella narrativa di Eliade, dove trovò spazio anche una misteriosa “profezia”:
1) Il romanzo “La luce che si spegne”, del 1934, ha rivelato all’attenta indagine di Marcello De Martino delle consistenti “reminiscenze evoliane”, che risultano ben evidenti dal raffronto con alcune pagine de L’individuo e il divenire del mondo. Infatti il protagonista, Manoil, “era sempre stato un idealista e perciò la magia era implicita nel suo sistema”, che Eliade definisce testualmente “il suo idealismo magico”.

L’esoterica Shambala
2) Ne Il segreto del dottor Honigberger scritto fra il 1939 e il 1940, compare un enigmatico personaggio, indicato con le eloquenti iniziali J. E., al quale è stata rivelata dal dottor Honigberger l’esistenza di Shambala, “quella terra miracolosa nella quale solamente gli iniziati possono penetrare”. Di questo J. E. si dice che abbia tentato, sotto l’influenza diretta di Honigberger, una iniziazione yogica, e che abbia fallito “in modo terribile”, rimanendo paralizzato. La cosa sorprendente è che cinque anni dopo la redazione di questo romanzo, nel corso di un bombardamento a Vienna, com’è noto, Julius Evola avrebbe riportato una lesione del midollo spinale che gli avrebbe causato la paresi parziale degli arti inferiori. Nel 1963 ne Il Cammino del Cinabro Evola registrò “la diceria, che la contingenza occorsami sarebbe stata la conseguenza di chissà quale mia ‘prometeica” impresa”, quindi di un’impresa analoga a quella tentata dal J. E. eliadiano. Non solo: se nel romanzo J. E. si sottopone a un trattamento che non riesce a guarirlo dallo stato di amnesia in cui era caduto, nel Cammino del cinabro Evola si dice convinto che solo da un’eventuale anamnesi sarebbe potuta scaturire, con la comprensione del significato profondo della “contingenza” occorsagli, la rimozione stessa dell’infermità: “Nel punto in cui, per via di una maggiore luce, un ‘ricordo’ del genere fosse affiorato o affiorasse, sarebbe data sicuramente anche la possibilità di rimuovere, volendolo, lo stesso fatto fisico”.
3) In Vita nuova, scritto nel 1940-1941 e rimasto incompiuto, lo studente di Bucarest Tuliu (un nome assonante con Julius) dispone di una biblioteca nella quale spiccano, tra le altre, “le opere complete di René Guénon e di J. Evola, collezioni complete di “Ur”, ‘Krur’ ed ‘Etudes Traditionnelles’”[1].

Il simbolo del gruppo di Ur
4) In una tarda novella del 1978-1979, Diciannove rose, è ben difficile non pensare a un alter ego di Julius Evola allorché ci si imbatte in Ieronim Thanase, filosofo ed esoterista circondato da giovani discepoli, che è “paralizzato in poltrona” ed attribuisce la propria infermità ad un errore commesso nel passato. “Da qualche parte, – dice – ho fatto uno sbaglio; da qualche parte, non so dove, in un ruolo che ho recitato a vanvera, in una messinscena errata, non so … Ma quando avrò scoperto la causa – giacché i dottori vi si lambiccano il cervello e non ne vengono a capo – quando lo scoprirò, la guarigione verrà da sé”. Si tratta dunque dello stesso tema presente ne Il segreto del dottor Honigberger, nonché nel Cammino del cinabro. Inoltre, l’insegnamento di Ieronim Thanase riecheggia sia le posizioni trans-idealistiche dell’Evola filosofo – “il suo idealismo magico”, per riprendere la definizione usata da Eliade ne La luce che si spegne, – sia quelle dell’Evola studioso del mondo della Tradizione, che “dà valore alla stessa storia per quel che essa può fornire di mito”[2].
5. Reciproche influenze?
Dal punto di vista più sostanziale e tecnico-comparatistico, le reciproche influenze ed apporti nonché le convergenze e divergenze di vedute tra Evola ed Eliade nei vari ambiti delle dottrine spirituali, dell’antropologia, della storia delle religioni, e così via, non sono state ancora affrontate in modo sufficientemente approfondito in tutti i loro possibili aspetti.
Un paio di esempi al riguardo: il primo, riguarda l’alchimia, dove ad Evola, com’è noto, si deve un’opera fondamentale come La tradizione ermetica (I ed. 1931; II ed. riveduta 1948), e ad Eliade due ricerche monografiche incisive e originali sull’alchimia asiatica (1935) e quella babilonese (1937) nonché una trattazione sistematica in Arti del metallo e alchimia (I ed. 1956; II ed. riveduta 1977). Le convergenze in materia, da intendersi soprattutto come mutuazioni, più o meno consapevoli, da parte di Eliade di intuizioni ermeneutiche fondamentali di Evola, e le divergenze col tempo sempre più radicali tra i due, sono state oggetto di un esaustivo saggio a cura di Paola Pisi[3].
Non così anche per altre aree tematiche, come ad esempio quella relativa al tantrismo (induista e buddhista) ed in genere della mistica indiana, in cui spiccano tre opere di Evola (L’uomo come potenza, del 1926; La dottrina del risveglio, del 1943; La Yoga della potenza, del 1949) che precedono tre opere di Eliade, per poi intersecarsi con esse (Yoga. Saggio sulle origini della mistica indiana, del 1936; Tecniche dello Yoga, del 1948; e Lo Yoga. Immortalità e libertà, del 1954). Si è osservato che, nel caso degli studi sulla mistica indiana, l’apporto del primo Evola su Eliade sembra evidente (anche se inconfessato), così come evidente (e confessato) é l’apporto del primo studio di Eliade sullo yoga (1936) al secondo studio di Evola sul tantra (1949)[4]. Manca però in tal caso un’accurata analisi comparata delle opere dei due relative al complesso tantrico, che verifichi echi o veri e propri influssi delle idee di Evola sulla visione eliadiana della mistica erotica indiana.
6. Le incomprensioni e la rottura finale del 1963
Nella lettera del 15 dicembre 1951, Evola rimproverava ad Eliade, con tono scherzoso ma non troppo, la sua “estrema preoccupazione di non menzionare nelle sue opere alcun autore che non appartenga strettamente alla letteratura universitaria più ufficiale”, facendo espresso riferimento alle mancate citazioni di René Guénon.
Eliade precisò nei suoi Diari: “La mia argomentazione è delle più semplici: i libri che scrivo sono destinati al pubblico d’oggi, non agli iniziati. Contrariamente a Guénon ed ai suoi emuli, ritengo di non dovere scrivere nulla che sia loro destinato in modo specifico” (M. Eliade, Fragments d’un journal II. 1970-1978, Gallimard, Parigi 1981, pp. 194), e, in particolare, scrisse ad Evola che la sua era, perlopiù, una “tattica”, ritenuta necessaria in un ambiente, come quello accademico, pregiudizialmente ostile nei confronti di autori ritenuti “scientificamente scorretti”; anzi, questo atteggiamento puramente strumentale avrebbe consentito di introdurre nell’ambito universitario, di tanto in tanto, qualche “cavallo di Troia”. Evola, nella successiva lettera del 31 dicembre 1951, scrisse di ritenere “abbastanza soddisfacenti” i chiarimenti addotti dallo studioso romeno.
A quanto risulta dalla documentazione rinvenuta, la serie delle lettere indirizzate da Evola ad Eliade si conclude l’8 marzo 1954. Tuttavia i contatti fra i due dovettero proseguire fino ai primi anni Sessanta, poiché nel luglio del 1974, apprendendo la notizia della morte di Evola, Eliade scriverà nel Diario: “Non l’ho più visto da circa dieci o dodici anni, anche se sono passato più volte per Roma” (Eliade, Jurnal 1970-1985, Humanitas, Bucarest 1993, p. 164).
Per quale motivo Eliade decise di non incontrare più Evola? La risposta ci viene data da Eliade stesso in questa annotazione nei suoi Diari del luglio 1974, che, soppressa nell’edizione francese, compare invece nell’edizione romena uscita postuma e curata da Mircea Handoca: “Poi, in seguito, ricevetti a Chicago il suo volume autobiografico [Il cammino del cinabro], nel quale ricordava anche la sua visita a Bucarest, scrivendo, tra l’altro, che nella ‘cerchia di Codreanu’ aveva incontrato anche ‘quello che poi sarebbe diventato il famoso storico delle religioni, Mircea Eliade’. Ebbi l’impressione, probabilmente ingiustificata, che avesse voluto dire: guarda, ci sono stati anche altri simpatizzanti dell’estrema destra, e loro, adesso, dopo la guerra, possono pubblicare, sono oggetto di discussione ecc. Io, Evola, perché sono ancora sabotato, ignorato dalla grande stampa ecc.? Questo particolare mi rattristò e al contempo mi irritò. Da allora non gli scrissi più. Ma continuai a leggerlo, e con lo stesso interesse” (M. Eliade, Jurnal 1970-1985, Humanitas, Bucarest 1993, p.166). L’“incriminato” passo del Cammino del cinabro citato da Eliade recita testualmente: “A Bucarest conobbi anche Mircea Eliade, che dopo la guerra doveva acquistare una notorietà per molte opere di storia delle religioni, e col quale sono rimasto tuttora in contatto. A quel tempo egli faceva parte dell’ambiente di Codreanu, e aveva già seguito l’attività del “Gruppo di Ur”[5].
Dopo la “frizione” tra i due risalente appunto alla fine del 1951, Eliade ebbe dunque modo di risentirsi ancora per una presunta “offesa” arrecatagli da Evola, che avrebbe comportato la rottura di ogni rapporto. Il disappunto di Eliade, in realtà visibilmente pretestuoso (lo stesso Eliade parlava di “impressione probabilmente ingiustificata”) trova una più realistica spiegazione se si considerano gli sforzi compiuti dallo studioso romeno per tenere nascosti i propri passati legami con la cerchia di Codreanu. Lo stesso Evola dovette rendersi conto di tale volontà di Eliade, visto che il 29 luglio 1971 così scriveva a Gaspare Cannizzo, nella lettera già menzionata di cui ora riportiamo il passo che ci interessa: “È vero che Mircea Eliade ha fatto parte della Guardia di Ferro, tanto che è per suo tramite, a suo tempo, che ho preso contatto col capo di essa, C. Codreanu, a Bucarest nel 1936 [rectius 1938]: M. Eliade non ama però, per ragioni comprensibili, che sia ricordato questo suo passato. Attualmente vive in America dove insegna in una università”[6].
Fu così che nel 1963, anno di pubblicazione del Cammino del cinabro, il rapporto personale tra Evola ed Eliade giunse al capolinea, anche se la collaborazione di Evola ad “Antaios” proseguì fino al 1969 (forse proprio perché Evola proponeva direttamente i suoi saggi alla redazione della rivista e non ai suoi direttori). Mentre Eliade si limito a leggere Evola “con lo stesso interesse”, Evola perseverò nella propria azione di operatore culturale, promuovendo ulteriormente la conoscenza dell’opera di Eliade presso il pubblico italiano: nel 1971 inserì Mefistofele e l’androgine nella collana “Orizzonti dello spirito”, da lui diretta per le Edizioni Mediterranee, e nel 1974 fece ristampare, per la stessa collana, una traduzione riveduta de Lo sciamanesimo e le tecniche dell’estasi.
Se il bilancio del rapporto personale tra Evola ed Eliade si risolse in “un’amicizia mancata”, il rapporto culturale tra i due fu condizionato dall’“accademicamente corretto” cui Eliade aveva scelto di attenersi, sicché, come è stato acutamente osservato, “per il suo atteggiamento assunto col tempo nei confronti di Evola, si possono utilizzare le stesse, identiche parole che egli scrisse – riferendosi ad altri – nel 1935 recensendo Rivolta contro il mondo moderno: ‘Evola viene ignorato dagli specialisti, perché oltrepassa i loro quadri di ricerca’ ”. (G. de Turris, L’“Iniziato” e il Professore, cit. in nota 1, p. 249).
Note
[1] Secondo il progetto di Eliade (“Il diario del romanzo di Vita Nuova” 1940-1942), “Tuliu dirà ciò che – per varie ragioni su cui non è qui il caso di insistere – io non ho mai avuto il coraggio di confessare pubblicamente. Solo qualche volta, di rado, ho confessato a pochi amici le mie credenze “tradizionaliste’ (per adoperare un termine di René Guenon)”.
[2] Dice infatti Thanase: “Dobbiamo correggere Hegel e portare più in là il suo pensiero (…) D’accordo, ciascun evento storico costituisce una nuova manifestazione dello Spirito Universale; ma questo non significa che dobbiamo solo capirlo e giustificarlo. Dobbiamo andare più lontano: decifrare il suo significato simbolico. Giacche ogni evento, ogni vicenda quotidiana comporta un significato simbolico, illustra un simbolismo primordiale, metastorico, universale…”. È certamente significativo il fatto che in un romanzo estremamente recente, risalente alla fine degli anni ’70, Eliade abbia inserito ancora una volta un personaggio chiaramente ispirato ad Evola, che era morto qualche anno prima.
[3] P. Pisi, “Evola, Eliade e l’alchimia”, in Studi Evoliani, 1999, a cura di G. De Turris, Fondazione Evola, Roma, 2001, pp. 62-92.
[4] Cfr. Eliade contro Evola di Giovanni Casadio, Prefazione a “Julius Evola – Lettere a Mircea Eliade 1930-1954” Quaderno n. 46 della collana dei Quaderni Evoliani, Fondazione Julius Evola, Edizioni Controcorrente, Roma, 2011.
[5] Quest’ultima frase conferma i contatti che Eliade ebbe con Evola e gli amici del Gruppo di Ur durante le sue visite romane del 1927 e del 1928, quando il Gruppo e la relativa rivista facevano capo alla casa di Evola, indicata come sede della redazione.
[6] Lettera riprodotta in J. Evola, Lettere 1955-1974, La Terra degli Avi, Finale Emilia (Mo) s. d., a cura di R. Del Ponte, p. 104. A parte le varie inesattezze di fondo (Eliade non è mai stato formalmente membro della Legione di Codreanu e non fu il tramite dell’incontro fra i due), la lettera dimostra che Evola aveva chiaramente intuito le ragioni della cessazione del rapporto epistolare.
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