l’Enciclica e i segni dei tempi

Torniamo agli scritti di Julius Evola sulle sorti del Cattolicesimo del Novecento. Oggi proponiamo un articolo, la cui intitolazione originaria era “L’enciclica e il ‘complesso della pace’ ” con cui il barone commentò l’ultima enciclica di Angelo Roncalli, Papa Giovanni XXIII, la celebre “Pacem in terris“, pubblicata nell’aprile 1963, poco prima della scomparsa del Pontefice. Su Papa Roncalli e sul “complesso della pace”, emergente dalla sua Enciclica, Evola si era già soffermato nell’articolo “Quo vadis Ecclesia?”; nello scritto che proponiamo oggi, pubblicato nel giugno 1963 su “Il Conciliatore”, coevo all’altro (pubblicato sul numero di giugno-luglio de “L’Italiano”), Evola commenta soprattutto altri contenuti di quell’Enciclica, molto contestata all’epoca dal fronte cattolico più tradizionalista per le sue aperture moderniste e a sinistra (e che, secondo alcuni, fu anche tra le concause del successo del PCI alle elezioni politiche che si tennero proprio un paio di settimane dopo la pubblicazione del documento papale, che sancirono, tra l’altro, l’inizio dei governi di “centro-sinistra”, composti da democristiani e socialisti). Come negli altri casi, tolti i riferimenti inevitabilmente legati alla contingenza storica (e caratteri specifici di quest’epoca, come ile derive naturistiche e animalistiche del Vsticano a ci sembra di leggere un’analisi della situazione attuale della Chiesa Cattolica: difesa di insostenibili rivendicazioni individuali (“spesso equivalenti a vere usurpazioni e prevaricazioni“), invece che dei veri caratteri intangibili della personalità; laburismo e femminismo che calpestano surrettiziamente i valori dello spirito e della famiglia; la spinta verso il basso della democrazia piatta e livellatrice che spodesta la trascendenza del principio di autorità; il mondialismo sovversivo dell’ONU (su cui torneremo) che irride l’universalità teologico-politica di Dante; il pacifismo sterile e fine a sé stesso che cancella il senso superiore della “pace” che viene a dare Gesù, e la liceità di quella “spada” che il Figlio di Dio viene a portare, per la battaglia dello Spirito.

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di Julius Evola

Tratto da “Il Conciliatore”, giugno 1963

La recente epistola pontificia ha suscitato molti commenti che, significativamente, non sono stati negativi anche in ambienti «progressistici». L’impressione avutane da chi abbia un orientamento tradizionale e di Destra è però alquanto diversa, e questo documento sembra aggiungersi a varie altre testimonianze che inducono a chiedere fino a che punto l’indirizzo più recente di alcuni rappresentanti della Chiesa sia tale da contribuire efficacemente ad una difesa di valori veramente superiori.

La celebre statua bronzea di San Pietro ex cathedra collocata nella Basilica di S. Pietro in Vaticano, attribuita ad Arnolfo di Cambio (XIII sec.)

L’enciclica tratta una quantità di argomenti. Per dichiarazione esplicita del suo autore, la parte più estesa di essa si basa su princìpi della legge o diritto «naturale»; così, a parte il fatto che di tale diritto non è stata mai data una definizione univoca, che il suo concetto è anzi mutato assai nel corso dei tempi, per questa trattazione non può essere rivendicata la validità dogmatica ex cathedra, dal punto di vista teologico essa rientra nel campo dell’opinabile. Comunque, i nostri rilievi si limiteranno a uno o due punti particolari aventi attinenza col solo campo politico-sociale.

Anzitutto va indicato un equivoco quando nell’enciclica si dà una interpretazione positiva, in senso progressistico, ai «segni dei tempi» con riferimento ai «valori della personalità umana». La difesa di questi valori, tema costante degli scrittori e dei sociologi cattolici, per noi è ovvia. Ma ritenere che il proprio della Civiltà e della società di oggi sia la realizzazione crescente di tali valori, tanto da dare implicitamente all’una e all’altra una superiorità rispetto a precedenti epoche, è possibile solo se va a confondere la personalità con la contraffazione di essa, con l’individuo. L’individuo, non la persona, nei tempi ultimi è venuto in primo piano, con rivendicazioni spesso equivalenti a vere usurpazioni e prevaricazioni. Non è l’uomo che ha un volto e un valore distinto, una differenziata dignità, ma è, in grandissima misura, l’uomo-massa, quello che, come disse l’Ortega y Gasset, è caratterizzato non solo dall’essere volgare, ma anche dall’affermare e dall’imporre la propria volgarità. Questo è il vero «segno dei tempi».

Quando, nello stesso contesto, in altro punto dell’enciclica si valuta positivamente l’«ascesa delle classi lavoratrici», non si riconosce quel che essa positivamente comporta in grado crescente: la materializzazione dello Stato, la distruzione di ogni sua dimensione trascendente e spirituale, la sua riduzione a «Stato del lavoro»: quei «corpi intermedi» di cui giustamente si afferma l’importanza riducendosi ad associazioni di interessi di categoria, a sindacati, a fazioni e via dicendo, il tutto nel regno della quantità. E che venga giudicata positivamente la stessa «ascesa della donna», è alquanto singolare, e molto avrebbe stupito i cattolici di tempi migliori: come si può affermare l’importanza della famiglia quale nucleo fondamentale della società e non riconoscere che proprio quella presunta ascesa rappresenta uno dei massimi fattori di crisi della famiglia di oggi?

Il pontefice tratta del principio di autorità e qui si rifà ad una teoria tradizionale ineccepibile. Egli riprende il detto paolino, che ogni autorità o potestà viene da Dio, il che equivale a postulare un fondamento sacro o trascendente pel principio di autorità, secondo quanto è stato proprio ad ogni Stato tradizionale.

Ma come è possibile affermare subito dopo, che tale postulato è compatibile con la democrazia, cioè col principio che il fondamento del potere è la volontà del popolo? È forse Dio che si manifesterebbe nel popolo votante per suffragio universale, popolo che oggi equivale più o meno alla massa lavorata dalla propaganda dei partiti e dalla demagogia? A tacere che se vi sono stati dei sovrani di «diritto divino», non sappiamo che vi siano mai stati «presidenti di repubblica di diritto divino».

L’Assemblea Generale dell’ONU a New York

Singolare è soprattutto veder un altro segno positivo dei tempi nell’ONU: questa organizzazione, di origine essenzialmente protestante, starebbe già sulla via di un governo unitario supernazionale della terra, di una comunità mondiale: e altri sintomi positivi di avviamento verso una tale comunità oggi potrebbero essere raccolti. Ora, è evidente che l’ONU è una mera sovrastruttura destinata a fare la stessa fine ingloriosa della Società delle Nazioni, parimenti inorganica, strumento di potenze egemoniche di là dalla farsa di un principio democratico il quale darebbe al voto di uno dei membri dello sciame crescente dei popoli ammessi, spesso ancora selvaggi e privi di storia, l’identico valore di quello di una grande nazione. In altro punto dell’enciclica era stato affermato che l’ordinamento giusto del mondo deve riflettere l’ordinamento divino. Ma, a meno di voler rivoluzionare democraticamente la stessa teologia (gerarchie celesti, ecc.), a voler coltivare il sogno di un’unica autorità mondiale, è per esempio a un Dante, al Dante del De Monarchia, che ci si sarebbe dovuti riferire, e tutta la distanza esistente fra le sue concezioni veramente conformi al pensiero teologico-politico tradizionale e quella istituzione ibrida e sfaldata che è l’ONU (oltre alle comunità moderne internazionali significanti solo un livellamento nel segno della tecnica e dell’industria) avrebbe dovuto far apprezzare ben diversamente i «segni dei tempi».

Infine una parola sul «complesso della pace». Dalla pace trae il suo titolo l’enciclica, e si aggiunge. «pace fra tutte le genti, fondata sulla verità, sulla giustizia e l’amore». Ora, a giudicare obiettivamente le dominanti del mondo attuale non vi è da constatare la verità, bensì la menzogna spesso nelle sue forme più impudenti organizzate; non l’amore, ma l’antagonismo di blocchi e di poteri volti al dominio materiale del mondo; non la giustizia, perché gli stessi princìpi che potrebbero darle un contenuto positivo superiore sono stati da tempo obliati e negati. Naturalmente, vi è lo spettro della guerra atomica coi ben noti motivi della distruzione totale dell’umanità, ecc.. È ovvio che ove la prospettiva di una guerra del genere potesse venire eliminata in modo concreto, ciò sarebbe confortante (ma è anche da non escludere una guerra non atomica, allo stesso modo che nemmeno negli estremi frangenti dell’ultima guerra mondiale le varie nazioni hanno fatto ricorso alla guerra chimica).

“Il discorso della Montagna” di Carl Bloch, 1890 (cliccare per ingrandire)

Però quando sono in giuoco valori supremi, proprio i rappresentanti dell’autorità spirituale dovrebbero formulare il non possumus perfino in casi estremi. Peraltro, vi è pace e pace, e bisognerebbe chiedersi a che cosa deve servire la pace: se per rendere le cose più facili a milioni di esseri collettivizzati che penano in vista della realizzazione del futuro paradiso terrestre marx-leninista, o, dall’altra parte, ad altri milioni che pensano solo a nutrirsi, a bere, prolificare e abbrutirsi in diverso modo nel clima della prosperità materiale «occidentale».

Ci vengono ricordate le parole del Cristo: «Vi lascio la mia pace, vi da la mia pace», però non è stato dato un uguale risalto al seguito: «ma non ve la do come il mondo la dà, ecc.», il che porta essenzialmente all’idea di una pace sinonimo di calma e di fermezza interiore, da mantenersi perfino in mezzo a catastrofi. È, su essa che avremmo preferito udir parlare di più, con opposizione al «complesso della pace», che, in uno spirito tutto profano (la pace che il «mondo» può dare), può far indulgere a compromessi, accomodamenti, transazioni e illusorie distensioni: quasi che la distanza che separa le posizioni di una dottrina politico-sociale con fondamenti veramente spirituali e con riconoscimento dei veri valori della persona, e quelle, ad esempio, delle ideologie dichiaratamente atee e antireligiose dell’«Oriente» non fosse maggiore della distanza che in altri anni, perfino a costo di persecuzioni, fece opporre alla Chiesa il suo deciso non possumus – nel quale riguardo sarebbe da ricordare che un altro detto del Cristo fu quello di essere venuto a «portare la guerra», con riferimento a fronti spirituali.

Nel complesso, nell’enciclica colpisce la tendenza ad andare incontro, in un certo modo, ad un mondo moderno, con disconoscimento dell’effettiva direzione attuale o potenziale delle sue correnti predominanti e determinanti: mentre è una energica reazione e una intransigente presa di posizione nel segno dei valori spirituali e trascendenti, unitamente a una radicale cacciata dei mercanti dal tempio o dalle prossimità di esso, che sarebbe stata auspicabile.


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"In una civiltà tradizionale è quasi inconcepibile che un uomo pretenda di rivendicare la proprietà di una idea e, in ogni caso, in essa chi così facesse, con ciò stesso si priverebbe di ogni credito e di ogni autorità, poiché condannerebbe l’idea a non esser più che una specie di fantasia senza alcuna reale portata. Se una idea è vera, essa appartiene in egual modo a tutti coloro che sono capaci di comprenderla; se è falsa, non c’è da gloriarsi di averla inventata. Una idea vera non può essere «nuova», poiché la verità non è un prodotto dello spirito umano, essa esiste indipendentemente da noi, e noi abbiamo solo da conoscerla. Fuor da tale conoscenza, non può esservi che l’errore" (R. Guénon)

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