La Fisima della magia

di Julius Evola

Tratto da “Il conciliatore”, 15 dicembre 1971; poi nella raccolta di saggi evoliani Ricognizioni – uomini e problemi”, Edizioni Mediterranee, 1974.

Un fenomeno dei nostri giorni, che è degno di nota, è costituito dal gran parlare che si fa intorno alla «magia». La magia è quasi di moda, e riferimenti ad essa sono rilevabili non pure in una letteratura varia ma anche in altri domini, il cinema non escluso. I libri sulla magia si moltiplicano. Non si tratta di ciò che sempre è stato, e che rimane confinato al popolino, a quegli strati più bassi della popolazione creduli e inclini alla superstizione, che forniscono la clientela ai «maghi», veggenti e simili da annunci pubblicitari. Si tratta invece quasi di un fenomeno, come oggi si dice, «culturale» il quale merita una certa attenzione.

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Per una interpretazione generale, in parte ci si potrebbe riferire alle stesse cause che hanno generato il neo-spiritualismo nelle sue molteplici varietà teosofiche, orientaleggianti, «occultistiche», ecc.. Qui si tratta di un impulso dell’uomo all’evasione nel segno dello strano e dell’inusitato e presso ad un atteggiamento incapace, per mancanza di principi, di discriminare quel che in codesto «spiritualismo» vi è di positivo e quel che vi è di negativo, la sua maschera apparentemente luminosa e il suo vero volto che in molti casi non lo è affatto. (Una tale disanima noi l’abbiamo intrapresa in un libro recentissimamente ristampato dalle Edizioni Mediterranee, che s’intitola appunto Maschera e volto della spiritualismo contemporaneo.) Agli inizi, due cause fondamentali hanno propiziato il fenomeno «spiritualista»; da una parte, la soffocante concezione del mondo propria al materialismo e allo scientismo; dall’altro, il fatto che la religione dominante, ossia il cattolicesimo, si è mostrata sempre meno capace di dare qualcosa di più, qualcosa di trascendente, di la da ciò che è semplice dogma, liturgia, devozione, pratica confessionale. Così si è cercato altrove.

Ma nel caso dell’interesse per la «magia» vi è qualcosa di specifico perché essa ha un aspetto maggiormente attivo, fa pensare ad un possibile uso di forze sovrasensibili per conseguire risultati concreti. Mentre lo «spiritualismo» sfaldato e misticheggiante ha tratti femminili, la «magia» ha tratti indubbiamente maschili. Ciò non impedisce che a tale riguardo ci si facciano delle illusioni.

Se nel titolo delle presenti note abbiamo parlato della «fisima» della magia, non è che con questo vogliamo significare che la magia è una pura superstizione. Si potrebbe già rilevare che, di fatto, le ricerche della cosiddetta «metapsichica» moderna hanno accertato, sotto severi controlli scientifici, la realtà oggettiva di una serie di fenomeni extranormali. Ciò basterebbe per fondare la «magia», solo che le corrispondenti condizioni fossero diverse, ossia che tali fenomeni non fossero sporadici e cosi spesso legati a stati di una coscienza ridotta, come quelli dei medium, ma fossero suscettibili ad essere prodotti anche secondo un metodo e in una perfetta lucidità mentale. Ma proprio in vista di questo essenziale spostamento vi è pericolo che per la magia si debba appunto parlare, praticamente, di una fisima.

Potrà interessare anche per un lettore non specializzato una indicazione sommaria dei presupposti richiesti per la realtà della magia. Questi presupposti hanno un carattere essenzialmente esistenziale. Non si tratta di «arcani» e di speciali operazioni occulte che chiunque possa compiere. Si tratta invece di vedere in chi e in quale misura è possibile far rivivere uno stato interiore e rapporti fra uomo e mondo che appartengono in gran parte al passato, a civiltà e ad un ambiente radicalmente diversi da quelli dell’uomo d’oggi.

Per l’uomo di oggi, fra l’Io e la realtà, o natura, esiste una barriera. La realtà e la natura sono qualcosa che esiste a sé, in una esteriorità spaziale (come tali li considera anche, essenzialmente, la scienza positiva). Di ciò non era il caso, o non ne era in egual misura il caso, nel mondo di cui la magia faceva parte organicamente. Quella barriera era allora labile, con la controparte di una percezione non semplicemente «fisica» della realtà. Da ogni eventuale rimozione o attenuazione di quella barriera derivava peraltro una duplice possibilità. Da un lato, era possibile che forze invisibili della realtà invadessero l’uomo dall’esterno ledendo la sua personalità (donde quelli che il Frazer ha chiamato the perils of the soul, ossia i «pericoli dell’anima», e donde la ragion d’essere di tanti riti di protezioni nelle civiltà antiche ed anche fra le popolazioni primitive). Dall’altro lato, era possibile un movimento nel senso opposto, ossia che l’uomo, rimossa quella barriera, penetrasse nella natura e su essa agisse appunto in termini di « magia». Condizioni analoghe valevano anche per l’azione su altri esseri.

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Questa è la condizione oggettiva affinché la magia non sia mera superstizione o suggestione, ma una cosa seria. Se riferendoci ai tempi attuali, circa la magia abbiamo parlato di una «fisima», lo abbiamo fatto perché in una società civilizzata di tipo moderno la struttura esistenziale dell’uomo e l’ambiente sono ormai essenzialmente diversi da quelli or ora indicati. E così che possibilità magiche, oltre che fra popolazioni esotiche rimaste ancora «primitive», possono rilevarsi, se mai, nelle nostre campagne, fra persone nelle quali l’imaginazione ha ancora una potenza particolare, una veemenza, ed essa non è stata paralizzata dall’intellettualismo ipertrofico che caratterizza l’uomo moderno civilizzato, specie quello vivente in grandi complessi urbani nei quali, in più, come qualcuno ha giustamente rilevato, è constatabile una specie di ulteriore «pietrificazione» dello aspetto esterioristico della realtà naturale, che la rende ancor più impenetrabile.

A prescindere da casi eccezionali di persone da considerarsi sopravvivenze di quel precedente tipo umano, occorrerebbe pertanto essere in grado di riattivare lo stato non duale di cui si è detto. È ciò che i rituali magici in tempi meno remoti hanno cercato di fare, producendo forme di esaltazione e di estasi capaci di «aprire», di ristabilire i contatti. Oggi vi è chi si arrischia in tale avventura, tentando talvolta colpi di mano senza escludere l’uso eventuale di droghe, ma avendo raramente idee precise e collegamenti con una tradizione. La via più limpida, che richiederebbe forme particolari di preparazione, di disciplina interiore e di concentrazione mentale (su una linea simile in parte allo yoga), viene battuta assai più raramente ed essa attrae di meno, per essere vicina ad una vera, non comoda ascesi, e inoltre per condurre raramente agli scopi precipui della magia.

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Ecco perché, nel considerare le cose secondo realtà, la magia oggi può servire quasi esclusivamente per divagare, oppure come un ingrediente (associato di frequente al sesso) a cui ricorre chi va in caccia di esperienze tanto «intense», quanto torbide: il significato delle quali è quasi sempre quello di un surrogato per colmare un inesistente senso profondo e saldamente radicato dell’esistenza. Il tutto, peraltro, porta raramente di la dal campo soltanto soggettivo, mentre è reale il pericolo di finire in forme spiritualmente regressive, tanto di aprirsi talvolta inconsideratamente a forze «infere», ripresentandosi cosi i «pericoli dell’anima» di altri tempi, senza però che quasi di essi ci si accorga.



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"In una civiltà tradizionale è quasi inconcepibile che un uomo pretenda di rivendicare la proprietà di una idea e, in ogni caso, in essa chi così facesse, con ciò stesso si priverebbe di ogni credito e di ogni autorità, poiché condannerebbe l’idea a non esser più che una specie di fantasia senza alcuna reale portata. Se una idea è vera, essa appartiene in egual modo a tutti coloro che sono capaci di comprenderla; se è falsa, non c’è da gloriarsi di averla inventata. Una idea vera non può essere «nuova», poiché la verità non è un prodotto dello spirito umano, essa esiste indipendentemente da noi, e noi abbiamo solo da conoscerla. Fuor da tale conoscenza, non può esservi che l’errore" (R. Guénon)

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