di Ekatlos
Sulla fine del 1913 cominciarono a manifestarsi segni, che qualcosa di nuovo richiamava le forze della tradizione italica. Questi segni, ci furono direttamente palesi. Nel nostro « studio », senza che mai si potesse spiegare per quali vie fosse giunto, rinvenimmo, in quel periodo, un foglietto. Vi era tracciata, schematicamente, una via, una direzione, un luogo. Una via oltre la Roma moderna; un luogo, là dove nel nome e nelle silenti auguste vestigia sussiste la presenza
dell’Urbe antica. Indicazioni successive, avute a mezzo di chi allora ci faceva da tramite fra ciò che ha corpo e ciò che non ha corpo, confermarono il luogo, precisarono un compito e una data, confermarono una persona. Fu nel periodo sacro alla forza che rialza il sole nel corso annuale, dopo che ha toccato la magica casa di Ariete: nel periodo del Natalis Solis Invicti e in una notte di tempo minaccioso e di pioggia. L’ itinerario fu percorso. Il luogo fu trovato.
Che l’inusitata uscita notturna di chi agi non fosse in alcun modo rilevata; che chi condusse, di nulla poi si ricordasse; che nessun incontro avvenisse e, poi, che il cancello dell’arcaico sepolcro fosse aperto, e il custode assente -tutto ciò, fu, naturalmente, il « caso » a volerlo. Un breve scalpellamento rivelò una cavità nella parete. In essa, stava un oggetto oblungo. Lunghe ore occorsero per disfare un esterno avvolgimento, simile a bitume, indurito dai secoli, che infine lasciò apparire ciò che esso proteggeva: una benda e uno scettro. Sulla benda, erano tracciati i segni di un rito.
Ed il rito fu celebrato per mesi e mesi, ogni notte, senza sosta. E noi sentimmo, meravigliati, accorrervi forze di guerra e forze di vittoria; e vedemmo balenar nella sua luce le figure vetuste ed auguste degli « Eroi » della razza romana; e un « segno che non può fallire » fu sigillo per il ponte di salda pietra che uomini sconosciuti costruivano per essi nel silenzio profondo della notte, giorno per giorno.
La guerra immane, che divampò nel 1914, inaspettata per ogni altro, noi la presentimmo. L’esito, lo conoscevamo. L’una e l’altra furono visti là dove le cose sono, prima di esser reali. E vedemmo l’azione di potenza che una occulta forza volle dal mistero di un sepolcro romano; e possedemmo e possediamo il breve simbolo regale che le apri ermeticamente le vie del mondo degli uomini.
- Vicende varie. E poi il crollo. Caporetto.
Un’alba, Sul cielo tersissimo di Roma, sopra il sacro colle capitolino, la visione di un’Aquila; e poi, portati dal suo volo trionfale, due figure corruscanti di guerrieri: i Dioscuri.
Un senso di grandezza, di resurrezione, di luce. In pieno sgomento per le luttuose notizie della grande guerra, questa apparizione ci parlò la parola attesa: un trionfale annuncio era già segnato negli italici fasti.
Più tardi. 1919. Fu « caso » che, da parte delle stesse forze, attraverso le stesse persone, venisse comunicato a chi doveva assumere il Governo — allora direttore del giornale milanese — l’annuncio: « Voi sarete Console d’Italia », Fu « caso » parimenti, che a lui fosse trasmessa la formula rituale di augurio- quella stessa, portata dalla chiave pontificale: « Quod bonum faustumque sit ».
Più tardi. Dopo la Marcia su Roma. Fatto insignificante, occasione ancor più insignificante: fra le persone che rendono omaggio al Capo del Governo, una, vestita di rosso, si avanza, e gli consegna un Fascio. Le stesse forze vollero questo: e vollero il numero esatto delle verghe e il modo del loro taglio e l’intreccio rituale del nastro rosso; e ancor vollero -di nuovo il «caso » – che l’ascia per quel Fascio fosse un’arcaica ascia etrusca, a cui vie parimenti misteriose ci condussero [1].
Oggi si lavora ad un grande monumento, nella cui Nicchia centrale sarà collocata la statua di Roma arcaica. Possa questo simbolo rivivere, in tutta la sua potenza! La sua luce, splender di nuovo!
In una propinqua via, centralissima, della vecchia Urbe, cui al tempo della Roma dei Cesari corrispondeva il luogo del culto isiaco (e resti di obelischi egizi furono là trovati), sorse uno strano piccolo edifizio. Di esso, non interessa che questo: come incrollabile certezza di risorgente fortuna romana, nella più recondita parte di questa costruzione veniva inserito, e ancor oggi resta, un segno: un segno, che in pari tempo è un simbolo ermetico: la Fenice coronata risorgente dalle fiamme. Intorno al segno, queste lettere:
R.R.R.
I.A.T.C.P.
Note
[1] Il fatto fu riportato in un comunicato che p.es. si può trovare sul « Piccolo » di Roma del 24 Maggio 1923, ove si può leggere appunto che nel fascio offerto «l’ascia di bronzo è proveniente da una tomba etrusca bi millenaria ed ha la forma sacra… Alcuni esemplari simili sono conservati nel Museo Kircheriano. Le dodici verghe di betulla secondo la prescrizione rituale sono legate con strisce di cuoio rosso, che formano al sommo un cappio per potervi appendere il fascio come nel bassorilievo della scala del Palazzo Capitolino dei Conservatori».
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