di Giovanni Monastra
La principale opera evoliana scritta prima del secondo conflitto mondiale, Rivolta contro il mondo moderno, ebbe in Italia non più di dieci recensioni, tutte su pubblicazioni di modesta diffusione [1]. Questo impegnativo «studio di morfologia delle civiltà e di filosofia della storia», certo molto originale nel panorama culturale del nostro paese, «non fu quasi affatto notato» [2] dalla cultura “ufficiale” del regime fascista e anche da quegli autori, come Croce, Spirito, Volpicelli, Aliotta, Sciacca, Thilgher, che in altre occasioni si sarebbero interessati al pensiero di Evola, attribuendogli, quanto meno, rigore intellettuale e vasta cultura.
Tra gli studiosi l’unica eccezione di rilievo fu solo quella di Filippo Burzio [3], che riconobbe la «serietà di Evola» e la profondità delle argomentazioni contenute nella Rivolta. Questo silenzio quasi assoluto potrebbe essere usato strumentalmente per dimostrare lo scarso valore dell’opera, se alcuni lusinghieri riscontri al livello internazionale, di cui parleremo più avanti, non contraddicessero, già di per sé, tale giudizio liquidatorio. Ci sembra, quindi, più realistico ed esaustivo fornire altre spiegazioni, meno superficiali. Infatti l’ambiente intellettuale italiano era, negli Anni Trenta, ancor meno recettivo di quello del dopoguerra nei confronti del pensiero evoliano, della sua radicale proposta antimoderna, “tradizionale”.

Filippo Burzio, giornalista, filosofo, politologo ed ingegnere specializzato in balistica, fu tra i primi originali recensori di “Rivolta” in Italia
Né la cultura fascista, percorsa da fremiti vitalistici, futuristi, nazionalisti, idealistico-gentiliani, con alcuni, pesanti, e talora inconfessati, debiti verso l’ideologia giacobina e i miti della Rivoluzione Francese, né la cultura democratica antifascista, fortemente legata al pensiero illuminista e, più in generale, alla grande trasformazione ideologica operata nel Rinascimento, potevano apprezzare uno studioso che ridimensionava drasticamente il valore di Storia, Progresso, Scienza, Umanesimo, Modernità, Nazione. La sua cultura aristocratica, cultura della qualità e della forma, legata a grandi filoni dottrinari europei [4], allora poco noti in Italia, risultava a tanti troppo impolitica, quasi incomprensibile: nel generale ottimismo dell’epoca, giustificato da uno storicismo trasversale alla dicotomia fascismo-antifascismo, la sua attenzione per il problema della decadenza, il suo interesse per il Sacro, la Trascendenza, l’Impero, la Gerarchia, da lui ritenuti realtà sovratemporali, patrimonio della Tradizione e non sottoposte, né sottoponibili, al giudizio degli individui o della Storia divinizzata, risultavano fuori dal dibattito filosofico, anacronistici.
Gli stessi critici dello storicismo si trovavano agli antipodi delle idee di universalità e impersonalità propugnate da Evola: si trattava di “relativisti” che declinavano i paradigmi della “modernità” in forme diverse, ma pur sempre qualitativamente omogenee, nei loro tratti di base, con quelle dei loro avversari. Anche i cattolici, i meno lontani, apparentemente, dalla concezione spirituale dell’autore di Rivolta, ne rifiutavano la visione “ecumenica” in campo metafisico-religioso e non avevano dimenticato i pesanti rilievi critici nei confronti del cristianesimo da lui più volte espressi appena sei-sette anni prima [5]. In definitiva Evola in quanto studioso della Tradizione e pensatore-analista della crisi della modernità, era necessariamente un escluso: così voleva il cosiddetto “spirito del tempo”.
A fronte di tale situazione, colpisce il diverso impatto che il suo nome e le idee da lui difese ebbero fuori dal nostro paese in ambienti culturali di rilievo, suscitando crescente interesse, fenomeno che culminò con la pubblicazione, dopo l’edizione italiana del 1934, della traduzione tedesca, l’anno dopo, di Rivolta contro il mondo moderno [6]. Pochi tra i suoi critici ricordano, o sanno, che Evola intrattenne a lungo rapporti con autori quali Schmitt, Eliade, Junger, Spann, Heinrich, Woodroffe, Altheim e molti altri, alcuni dei quali egli fece conoscere in Italia, contribuendo a sprovincializzarne la cultura.
Da questi e da numerosi altri, in varie occasioni, ricevette attestati di stima sul piano del valore intellettuale, valore recentemente riconfermato dall’inclusione del pensiero di Evola in una corposa opera di alto livello accademico, dedicata alle varie correnti filosofiche [7]. Ma le recensioni di Rivolta apparse all’estero sono forse ancor meno note [8] e fanno giustizia già da sole di tanti giudizi affrettati e partigiani circa la presunta inconsistenza culturale delle posizioni evoliane. Verrebbe, piuttosto, da denunziare la miopia di molti “intellettuali” italiani, intolleranti verso la diversità radicale, percepita, forse, più come un potenziale disturbo o pericolo per le idee “ufficiali”, consolidate e rassicuranti, nel cui alveo si vuole continuare a muoversi, che come un utile termine di confronto e verifica del proprio bagaglio di valori e convinzioni.
Quanto a sensibilità in questo campo, ad esempio, il mondo francese degli Anni Trenta si dimostrò assai più aperto e dinamico del nostro, dando spazio nel dibattito a tutte le posizioni emerse al suo interno: si pensi alla attenzione che il principale testimone ed esegeta del pensiero “tradizionale” nel Novecento, René Guénon, per certi aspetti molto più radicale di Evola nella sua condanna del mondo moderno, riscosse anche tra intellettuali lontanissimi dalla sua impostazione dottrinaria, da Gide a Drieu La Rochelle arrivando a influenzare addirittura il pensiero di alcuni medici-filosofi transalpini [9].
Volendo introdurre le quattro più importanti recensioni che furono scritte per Rivolta riteniamo opportuno in primo luogo inquadrarne gli autori, René Guénon (1886-1951), Gottfried Benn (1888-1956), Mircea Eliade (1907-1986) e Ananda Coomaraswamy (1877-1947), nei loro rapporti con Evola. Molte notizie sui contatti intercorsi sono rinvenibili ne Il Cammino del Cinabro [10], il testo che descrive l’itinerario intellettuale dello studioso italiano, ma va osservato che Evola, in questo libro, dimostra una riservatezza non comune, evitando di enfatizzare l’importanza delle sue conoscenze internazionali, arrivando talvolta a trascurare certi fatti lusinghieri. In alcuni casi sembra aver dimenticato o addirittura ignorare i giudizi positivi espressi sulla sua attività culturale e, in particolare, su Rivolta.
René Guénon
Lo studioso italiano iniziò il suo lungo rapporto epistolare con Guénon, alla fine degli Anni Venti, su suggerimento di Arturo Reghini [11], il teorico più insigne della riattualizzazione della spiritualità romana e italica (pitagorica, in particolare) in polemica con il cristianesimo, da lui considerato un culto «esotico», estraneo alla nostra cultura ancestrale.

“Nella lunga attività di attento osservatore dei fermenti antimoderni, Guénon s’interessò spesso alla produzione intellettuale di Evola”
Nella lunga attività di attento osservatore dei fermenti antimoderni, Guénon s’interessò spesso alla produzione intellettuale di Evola [12]. La “breve”, ma densa recensione che dedicò a Rivolta contro il mondo moderno [13] ci sembra significativa. L’estensore dimostra di condividere in pieno la struttura teorica che ne sta alla base, tanto che ne riconosce «il merito e l’interesse» e la segnala «in modo particolare all’attenzione di tutti coloro che si preoccupano della crisi del mondo moderno». Il dissenso, semmai, verte sulla interpretazione di singoli fenomeni. Le poche riserve espresse concernono il differente giudizio formulato dai due autori su aspetti della realtà tradizionale, quali i rapporti tra sacerdozio e regalità, le valenze spirituali del pitagorismo, il vero volto del buddhismo primitivo, mentre ci sembra molto marginale l’osservazione guenoniana sull’uso discutibile del termine “Sud” che in Rivolta indica una certa tradizione opposta a quella del “Nord”.
Ci limiteremo, quindi, a commentare le tre critiche principali. È noto che esisteva pieno accordo tra Guénon ed Evola circa il ruolo preminente posseduto dalla autorità spirituale, ai cui valori deve sottostare il potere temporale (gestione delle funzioni militari, politico-amministrative, giuridiche). I due aspetti sono distinti, ma non separati. Nello stato originario delle comunità umane essi coincidevano nella stessa figura, il Re-Sacerdote. Poi avvenne la scissione, in epoche differenti da paese a paese, dando luogo, come in India, alla casta sacerdotale e a quella guerriera (da cui provenivano i re): la prima divenne depositaria formale della autorità spirituale, la seconda, almeno di norma, del solo potere temporale. Qui nasce il dissidio tra Evola e Guénon. Quest’ultimo (analogamente a Coomaraswamy, come vedremo più avanti) critica lo studioso italiano che tendeva a invertire il rapporto tra i due gradi gerarchici, riconoscendo, in certi contesti, una superiorità della spiritualità regale, virile e solare, rispetto a quella sacerdotale, meno autocentrata. Evola asseriva che il re e il sacerdote, derivando dalla scissione di un’unica figura originaria, mantenevano, ambedue, un collegamento diretto con la sfera del Sacro, l’uno attraverso l’Azione, l’altro attraverso la Contemplazione: scriveva, infatti, che, come attestato dalla Bhagavad-gita, «l’azione si fa […] via verso il cielo e verso la liberazione» [14], avendo di per sé una dimensione metafisica nel contesto delle realtà tradizionali e gerarchiche. Col sottolineare la maggiore predisposizione degli occidentali per la sfera dell’azione, Evola cercava di riportare in luce una metafisica dell’azione che costituisse una via autonoma, ortodossa, verso la trascendenza, praticabile anche in contesti non-orientali. Per altro non si può negare, a parte gli stessi esempi riportati da Evola in Rivolta, che nelle più antiche Upanishad, la Brhad-aranyaka e la Chandogya [15], sono descritti dialoghi in cui un saggio di casta guerriera ammaestra dei brahmani nel campo delle scienze sapienziali di più alto rango (ad esempio, la dottrina dell’atman). Forse ciò potrebbe riflettere una situazione ancora fluida, specchio di una scissione paritaria del primordiale polo regale-sacerdotale e, quindi, dei saperi e dei poteri ad esso inerenti.

L’interpretazione del pitagorismo fu uno dei punti di attrito tra Evola e Guénon (nella foto, “I Pitagorici celebrano il sorgere del sole” di Fëdor Bronnikov, 1869)
In definitiva, la discordia tra Evola e Guénon (ma anche Coomaraswamy) verte solamente sulle possibilità, proprie alla casta regale-guerriera nel kali-yuga, di reintegrazione diretta, non mediata, nella dimensione del Sacro, con la conseguente capacità di assolvere a un ruolo pontificale, ponendo il mondo sacerdotale in posizione spiritualmente subordinata.
Un altro punto di divergenza riguarda il pitagorismo. Infatti Guénon lo considerava «una restaurazione in forma nuova del precedente orfismo» [16], dottrina sapienziale ritenuta in ordine sotto il profilo tradizionale, mentre a Evola appariva come un fenomeno spirituale dalla valenze sospette. Guénon riscontrava nel pitagorismo «legami evidenti col culto delfico dell’Apollo iperboreo», tanto da considerarlo «una filiazione continua e regolare di una delle più antiche tradizioni dell’umanità» [17], il “riadattamento” di precedenti espressioni tradizionali in un’epoca di crisi spirituale, il VI secolo a.C. [18]. La tematica è assai complessa e richiederebbe un approfondimento molto ampio, che in questa sede non è possibile. Ci limitiamo a osservare che, data l’indubbia presenza delle componenti dottrinarie «apollinee» di cui parla Guénon, a nostro parere è stato quest’ultimo ad aver individuato il vero nucleo del pitagorismo, senza lasciarsi fuorviare da elementi spuri, come forse avvenne nel caso di Evola, convinto delle pericolose ambiguità presenti in questa dottrina sapienziale, dovute, a suo parere, alle influenze negative di certe forme dell’orfismo.
Per quel che riguarda, infine, la via di realizzazione spirituale enunciata dal principe Siddharta, vediamo riemergere l’antica avversione di Guénon per il Buddhismo, ritenuto antimetafisico, quindi antitradizionale. Sappiamo che tale interpretazione venne da lui in parte riveduta e corretta, negli anni trenta, dopo aver conosciuto gli studi di Ananda Coomaraswamy (e Marco Pallis) sul Buddhismo delle origini [19], ma, nel caso della presente recensione, egli tiene a sottolineare che «l’elogio» evoliano della dottrina buddhista «dal punto di vista tradizionale, non si comprende assolutamente». In questo caso è stato proprio Evola ad avere individuato in modo autonomo, e meglio di Guénon, i caratteri “veri” del Buddhismo, senza cadere nell’errore di confondere la dottrina originaria con certe degenerazioni successive, contro cui unicamente si scagliò un Maestro come Shankaracharya. A tale proposito sarà opportuno, pure, ricordare il ruolo non del tutto marginale rivestito da Evola nella corretta diffusione delle dottrina buddhista in Occidente, a fronte di numerose mistificazioni e fraintendimenti di vario genere, spesso dovuti al fatto che gli stessi orientalisti europei, consciamente o inconsciamente, hanno finito col costruire un “Buddhismo” fantasioso, frutto delle propria visione umanistica e sentimentale del mondo dello spirito. E questo potrebbe valere anche per altre dottrine sapienziali, dal Taoismo all’Ermetismo, riguardo alle quali in Rivolta troviamo sintetici, ma puntuali riferimenti, sviluppati poi dall’Autore nei testi dedicati specificamente a tali dottrine.

Anche la corretta interpretazione delle dottrine buddhiste costituì terreno di scontro tra Evola e Guènon
Tornando al ruolo svolto dal tradizionalista italiano nella recezione del Buddhismo all’interno della nostra area culturale, e con particolare riferimento alla sua opera La dottrina del risveglio [20], vogliamo segnalare alcune interessanti informazioni aggiuntive, presentate di recente (1994) ad opera di un esperto in questo settore, lo studioso scozzese Stephen Batchelor [21]. Questi ha analizzato il fenomeno della adesione di numerosi occidentali al Buddhismo, spesso accompagnata da una emigrazione non solo spirituale in Oriente. In particolare ci informa che nell’isola di Ceylon il 24 aprile 1949 vennero ordinati novizi due inglesi, uno dei quali noto a chi conosce l’opera del tradizionalista italiano. Si tratta di «Osbert Moore e Harold Musson, due ex ufficiali dell’esercito il cui interesse per il Buddhismo si era sviluppato in Italia durante la guerra, leggendo La dottrina del risveglio dello studioso di esoterismo Julius Evola» [22]. E proprio al Musson dobbiamo l’eccellente versione inglese di questo testo evoliano [23], che, come scrisse nella prefazione (aprile 1948), «riprende lo spirito del Buddhismo nella sua forma originale» con un «approccio libero da compromessi». Significativamente il traduttore aggiungeva che il «reale significato di questo libro, tuttavia, risiede […] nel suo incoraggiamento ad applicare nella pratica la dottrina presentata» [24], un diretto riferimento al proprio itinerario spirituale, un anno prima dell’inizio del noviziato a Ceylon.
Continua Batchelor: «Moore e Musson presero rispettivamente il nome di Nanamoli e Nanavira, e l’anno successivo ricevettero la piena ordinazione a bhikkhu a Colombo. Entrambi divennero dotti studiosi di pali. […] Nanavira [Musson] si ritirò in un remoto eremo in una foresta vicino Matara nel sud dell’isola. Non potendo dedicarsi alla pratica meditativa intensa a causa di una malattia cronica, Nanavira si concentrò sulla comprensione del Dharma, così come era presentato dal Buddha nel Canone pali» [25]. Morì nel 1965. Nel 1987 i sui scritti furono raccolti nel volume Clearing the Path. Evola sapeva che il Musson, da lui erroneamente citato come Mutton ne Il cammino del cinabro [26], si era ritirato in Oriente, anche in seguito alla lettura del suo libro sul Buddhismo, alla ricerca di qualche centro spirituale in cui si coltivavano ancora le discipline ascetiche, ma si doleva del fatto di non aver saputo più nulla di lui. Nanavira aveva tagliato tutti i ponti con l’Occidente.
(segue nella seconda parte)
Note
1- J. Evola, Rivolta contro il mondo moderno, Hoepli, Milano, 1934. Per alcune delle recensioni su questo libro vedasi la bibliografia di Scritti orientativi e critici sul pensiero e l’opera di Julius Evola contenuta in Omaggio a Julius Evola, a cura di G. de Turris, Volpe, Roma, 1973. Circa la risonanza di Rivolta in Italia, prima degli Anni Settanta, epoca dalla quale la congiura del silenzio, prima fascista, poi antifascista, sul suo pensiero cominciò progressivamente ad affievolirsi, non va dimenticata la lettura attenta e fondamentalmente positiva, con pochissime riserve, fattane dal grande avvocato penalista Francesco Carnelutti in occasione della seconda edizione (Bocca, 1951), contenuta in Tempo perso, Zuffi, Bologna, 1952, pp. 243-248.
2- È quanto ammetteva lo stesso Evola nella sua autobiografia intellettuale, Il Cammino del Cinabro (Scheiwiller, Milano, 1963, p. 148).
3- Recensione contenuta in: Uomini, paesi, Idee, Bompiani, Milano, 1937, ora ristampata in Omaggio a Julius Evola cit., pp. 71-75.
4- cfr. C.Boutin, Politique et Tradition. Julius Evola dans le siècle (1898 – 1974), Kimé, Parigi, 1992 e P. Di Vona, Evola, Guénon, De Giorgio, Sear, Borzano, 1993.
5- Ci riferiamo agli articoli evoliani apparsi in riviste quali, ad esempio, Critica Fascista (V, 15 dicembre 1927) e Vita Nova (III, novembre 1927) e al testo Imperialismo Pagano (Atanor, Todi-Roma, 1928), in cui le idee anticristiane espresse nei suddetti articoli e in altri analoghi venivano presentate in forma più completa e organica. Circa le polemiche con il mondo cattolico italiano, innestate già dai primi interventi evoliani, vedasi l’Appendice a Imperialismo Pagano. Reazioni durissime ci furono anche all’estero: cfr. i due articoli Un sataniste italien e Le “fasciste” Evola et la mission trascendentale de l’Eglise, ambedue scritti da Monsignor Jouin in Revue Internationale des Sociétés Secrètes, rispettivamente XVII, 4, 1928 e XVIII, 2, 1929.
6- Erhebung wider die moderne Welt, Deutsche Verlags-Anstalt, Stuttgart, 1935.
7- cfr. AA. VV., La Filosofia, a cura di P. Rossi (4 voll.), UTET, Torino, 1995. Nel quarto volume, dedicato alle correnti filosofiche moderne, accanto ad argomenti come Marxismo, Fenomenologia, Idealismo, si trova anche il Tradizionalismo, curato da Michela Nacci, già da tempo studiosa dei pensatori della crisi: naturalmente si potrà osservare che il tradizionalismo esoterico non è assimilabile alle varie filosofie profane, di impronta individualista, ma, al di là di questo problema, rimane l’evento nuovo che va evidenziato. Infatti, per la prima volta, una équipe accademica riconosce spessore dottrinario e dignità intellettuale a un gruppo di autori, tra cui Evola, di cui viene analizzata in particolare proprio Rivolta contro il mondo moderno. La Nacci, pur considerando lo studioso italiano molto meno “originale” di Guénon, si astiene dal demonizzarlo sotto qualsiasi profilo, di fatto dimostrando come il vieto luogo comune del “barone nero”, razzista e teorico dei terroristi di estrema destra, sia stato un misero espediente strumentale per occultare il valore intellettuale di Evola screditandone la persona (cfr. G. de Turris, Elogio e difesa di Julius Evola, Mediterranee, Roma 1997).
8- Va osservato che anche i commentatori più recenti di Evola citano solo le recensioni di Benn e Guénon (è il caso di Marco Fraquelli, Il filosofo proibito, Terziaria, Milano, 1994, pp. 140-2), dimostrando così scarsa informazione sull’argomento, dato che i due interventi di Eliade e Coomaraswamy, qui riportati insieme agli altri più noti, erano stati già pubblicati a cura del sottoscritto sulla rivista “Diorama letterario” di Firenze, rispettivamente nei fascicoli 120 del novembre 1988 e 145 del febbraio 1991, e quindi risultavano disponibili per chi avesse voluto documentarsi seriamente.
9- Vedasi, ad esempio, il contributo del dottor Pierre Winter, medico ospedaliero di Parigi, dal titolo Cosa dovrebbe essere una medicina tradizionale in AA. VV., Medicina ufficiale e medicine eretiche, a cura di A. Carrel, Bompiani, Milano, 1950, pp. 365-411. Sulla stessa linea di pensiero, “guenoniana”, troviamo anche il più famoso agopunturista francese, il dottor Jacques André Lavier (cfr. Medicina cinese medicina totale, SugarCo, Milano, 1974 e L’agopuntura cinese, Ed. Mediterranee, Roma, 1995).
10- J. Evola, Il cammino del cinabro cit., pp. 73, 81, 150-152, per i riferimenti principali.
11- Su Arturo Reghini (1878-1946) e l’ambiente nel quale operò segnaliamo: R. Del Ponte, Il Movimento Tradizionalista Romano, SeaR, Scandiano, 1987, e M. Rossi, L’interventismo politico-culturale delle riviste tradizionaliste negli Anni Venti: Atanor (1924) e Ignis (1925) in Storia Contemporanea, XVIII, 3, 1987, mentre per una conoscenza diretta dei suoi scritti può essere introduttivo: A. Reghini, Paganesimo, Pitagorismo, Massoneria, Mantinea, Furnari, 1986.
12- A parte quella su Rivolta contro il mondo moderno, segnaliamo altre recensioni di Guénon scritte per libri di Evola: La Tradizione ermetica (“Le Voile d’Isis”, aprile 1931 -trad. it. in Forme tradizionali e cicli cosmici, Ed.Mediterranee, Roma, 1973), Il Mistero del Graal e Il Mito del Sangue (ambedue in Etudes Traditionnelles, aprile 1937 -trad. it. e commento di A. Grossato in “Futuro Presente”, 6, 1995).
13- Apparsa in “Le Voile d’Isis”, maggio 1934.
14- Vedi il saggio Autorità spirituale e potere temporale, in AA. VV., Introduzione alla Magia, Ed. Mediterranee, Roma, 1971, vol. III, p. 357.
15- Brhad-aranyaka-upanishad, II lettura (in particolare: I, 14-15) e Chandogya-upanishad, VII e VIII lettura.
16- R. Guénon, La crisi del Mondo Moderno, Ed. dell’Ascia, Roma, 1953, p. 31.
17- R. Guénon, La crisi del Mondo Moderno cit., p. 31.
18- R. Guénon, Forme tradizionali e Cicli cosmici, cit., p. 61.
19- R. Guénon, Introduzione generale allo studio delle dottrine indù, Ed. Studi Tradizionali, Torino, 1965, p.167, nota. 1, e P. Chacornac, La vie simple de René Guénon, Les Editions Traditionnelles, Parigi, 1958, p.112. Sull’argomento sono molto interessanti le notizie fornite da Marco Pallis nel suo articolo A Fateful Meeting of Minds: A. K. Coomaraswamy and R.Guénon, in Studies in comparative religion, XII, 3-4, 1978. Pallis, profondo conoscitore del buddhismo, avendo deciso con Richard Nicholson, nel 1939, di tradurre in inglese Introduzione generale allo studio delle dottrine indù e L’uomo e il suo divenire secondo il Vedanta, riuscì, con l’aiuto di Coomaraswamy, a ottenere che i capitoli e i passaggi dove il buddhismo veniva giudicato antitradizionale venissero modificati da Guénon per la traduzione inglese. Di Pallis vedasi anche René Guénon et le Bouddhisme, in Etudes Traditionnelles, luglio-novembre 1951.
20- J. Evola, La dottrina del risveglio, Mediterranee, Roma, 1995.
21- S. Batchelor, Il risveglio dell’occidente, Ubaldini, Roma, 1995.
22- Ivi, pp. 264-5.
23- J. Evola, The doctrine of awakening, Luzac and Co., Londra, 1951.
24- Ivi, p. IX.
25- S. Batchelor, Il risveglio dell’occidente, cit., p. 265. Dello stesso Autore vedansi anche i tre articoli su Evola e Musson-Nanavira tradotti nel mensile dei buddhisti italiani, “Paramita” (63 e 64, 1997, e 65, 1998). Secondo Batchelor esistono molti punti in comune nella concezione del buddhismo e della vita tra lo studioso italiano e il suo traduttore inglese.
26- J. Evola, Il cammino del cinabro cit., p.158.
N.B. – Il testo della recensione di Guénon è contenuto nell’ultima edizione di Rivolta contro il mondo moderno (Mediterranee, Roma 1998).
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