La Società delle Nazioni nella critica di Othmar Spann

Oggi proponiamo un altro articolo di Julius Evola tra i molteplici che, pubblicati negli Anni Trenta del secolo scorso, svelavano trame sotterranee o facevano emergere contraddizioni e anomalie in ambito internazionale in quegli anni decisivi; articoli la cui lettura risulta ancora e soprattutto oggi significativa, con i dovuti adeguamenti storici, dato che certe dinamiche continuano inevitabilmente ad incidere fortemente anche sui drammatici sconvolgimenti geopolitici in atto.

Dopo l’articolo “S.d.N. Superstato massonico”, uscito su “La Vita Italiana” nel febbraio 1937 e da noi riproposto come “La natura segreta della Società delle Nazioni”, ripubblichiamo oggi una breve ma incisiva intervista che il professor Othmar Spann rilasciò a Julius Evola, in versione reporter, sempre sul tema delicato della Società delle Nazioni, del suo ruolo, delle prospettive di riforma dopo la crisi della metà degli anni Trenta (che aveva portato anche alle ipocrite sanzioni contro l’Italia mussoliniana per la guerra in Etiopia), che stava aprendo le porte al baratro della guerra civile europea. L’intervista era stata da noi già pubblicata nel maggio 2016, in occasione del convegno organizzato all’epoca dalla Comunità Militante Raido in collaborazione con RigenerAzione Evola su Othmar Spann e l’idea della Stato organico, nella versione pubblicata su “Il Regime Fascista” il 2 febbraio 1936 come “Solidarietà Europea e Società delle Nazioni”. In quegli stessi giorni l’intervista uscì su Il Corriere Padano, come “La riforma europea di Ginevra”. Oggi la riproponiamo, visto il contesto particolare ed il rilievo che essa indiscutibilmente assume in certi passaggi, pensando che l’O.N.U. e l’Unione Europea non sono altro che la derivazione (la prima in senso stretto) della prima organizzazione supernazionale della storia recente, la Società delle Nazioni, con tutte le sue ipocrisie, contraddizioni e deviazioni.

***

di Julius Evola

“La riforma europea di Ginevra”

tratto dal “Corriere Padano”, febbraio 1936

Il prof. Othmar Spann, dell’Università di Vienna, del quale vogliamo riportare le vedute circa l’attuale situazione europea e il problema della Società delle Nazioni, non ha bisogno, per i nostri lettori, di una particolare presentazione. Egli è, in Europa, fra i più eminenti cultori di sociologia, di filosofia e di economia politica. La sua dottrina, sviluppata sistematicamente in tutte le sue parti, s’intona risolutamente a valori di qualità, di gerarchia, di universalità spirituale. Questa stessa dottrina, che in una certa misura riflette la nostra stessa visione classica organica della vita e dello Stato, e indubbiamente ha relazione con i valori-base del Fascismo, lo Spann ebbe a difenderla già nel periodo più tempestoso e oscuro del dopoguerra; e qui ognuno ricorda le lezioni sulla concezione antimarxista, antidemocratica, organico-corporativa e autoritaria dello Stato da lui tenute impavidamente mentre imperversava la rivolta socialista e la stessa aula correva pericolo di essere invasa da un momento all’altro dalle bande rosse.

Abbiamo dunque creduto interessante porre al professor Spann, durante un cordiale colloquio, alcune domande circa i gravi problemi europei messi a vivo dall’impresa italiana.

Ciò che anzitutto è da riconoscere –  ci dice il professor Spann – è la vitalità, il coraggio e la risolutezza di cui l’Italia nuova dà prova. Mentre le nazioni più ricche e potenti sono pervase dalla psicosi del pacifismo e oscillano fra finzioni e compromessi di ogni genere, l’Italia, pur non avendo le stesse possibilità, non ha esitato a scendere in campo e si è dimostrata come la prima nazione capace di trasportare il problema revisionista dal piano teorico a quello pratico attraverso una azione che essa intende perseguire fino in fondo e di cui assume la piena responsabilità.

Ma ancor più importante è che l’azione italiana ha imposto indirettamente il problema del senso, della portata e del diritto all’esistenza in genere della Società delle Nazioni. Le difficoltà contro cui attualmente Ginevra combatte, a tale riguardo, sono segno indubbio di un difetto fondamentale della organizzazione dell’Istituto societario e della necessità di una riforma dello stesso.

In che senso crede Lei che una tale riforma debba aver luogo? – domandiamo a nostra volta –

Per me non fa dubbio che la Società delle Nazioni in tanto ha una vera ragion d’essere, in quanto assolva, anzitutto, il compito di una vera organizzazione superstatale dell’Europa – risponde Spann – Una tale organizzazione si è già verificata nei tempi antichi sotto i due grandi simboli spirituali dell’Impero e della Chiesa. Secondo la dottrina organico-universalista, che io sostengo, nessuno Stato è completamente sovrano: esso può realizzare una pienezza di vita solo se si fa parte organica in una superiore e più vasta unità, nella quale, naturalmente, la sua natura propria e la sua relativa autonomia – come nell’imagine delle singole funzioni di un organismo superiore – non sono menomate, bensì confermate. Ora, il tentativo di unificare l’Europa mediante la Società delle Nazioni deve considerarsi, a tutt’ora, come fallito.

A ciò hanno contribuito due cause visibilissime. Anzitutto, il fatto che la Società delle Nazioni non comprende tutti gli Stati europei e invece ne comprende altri non europei, fra i più esotici e spuri, in un indifferentismo livellatore.

In secondo luogo, i presupposti democratici della sua struttura. Io sono della Sua opinione  – continua Spann –  che la Società delle Nazioni ripete in grande lo stesso assurdo e lo stesso immoralismo che, all’interno di un singolo Stato, si verificano presso il regime democratico-parlamentare. Qui, dietro la parvenza della parità e della democratica «maggioranza», chi veramente dirige, è il gruppo più ricco e potente. Del pari, dietro l’apparente legalismo egualitario ginevrino dominano gli interessi delle nazioni più ricche e materialmente più forti.

In quale direzione si dovrebbe dunque agire? – chiediamo al nostro interlocutore –

Anzitutto, bisognerebbe avere il coraggio di affrontare in pieno, non con vane discussioni ma con soluzioni pratiche, il problema revisionista, in accordo con le esigenze che l’Italia ha fatto sempre presenti: riconoscendo che sulla base della situazione creata dai trattati di pace è impossibile organizzare durevolmente l’Europa. In secondo luogo, nella Società delle Nazioni dovrebbe vigere essenzialmente il principio di una solidarietà europea. E’ cosa assurda far valere il voto e il diritto di una grande Potenza europea quanto quello di un popolo esotico o di nazioni senza storia e senza tradizione. Si dovrebbe venire dunque ad una prima differenziazione, per via della quale ogni nazione non europea che volesse restare nella Società delle Nazioni non potrebbe pretendere ad una incondizionata parità. In terzo luogo, facendola finita con la finzione democratica, si dovrebbe riconoscere che ogni vera organizzazione ha bisogno di una unità direttiva, di un Führerprinzip. Solo che allo stato attuale delle cose, nel riguardo, bisognerebbe accontentarsi di una soluzione provvisoria, tale da soddisfare a delle esigenze fondamentali di equilibrio. Io penso cioè ad un sistema europeo di Stati, che venisse guidato unitariamente dal gruppo delle maggiori Potenze. Così sono persuaso che l’idea mussoliniana del Patto a Quattro ha costituito il tentativo più felice e più costruttivo per una riorganizzazione dell’Europa e per una riforma strutturale della Società delle Nazioni: onde è proprio da deplorarsi che questo tentativo non abbia potuto avere, al suo tempo, possibilità di sviluppo e non sia stato compreso in tutto il suo valore.

Ma è ben possibile che in un domani assai prossimo, sotto la forza delle cose, una idea del genere sia ripresa e messa al centro di una nuova fase dell’attività di una Società delle Nazioni che voglia ancora vivere e che sia all’altezza dei suoi veri compiti.

Domandiamo al prof. Spann: Lei al principio ha giustamente ricordato l’esempio delle grandi unità supernazionali medievali. Ora, tali unità sono state possibili sulla base non tanto di comuni interessi quanto di un punto trascendente di riferimento, di un simbolo assolutamente spirituale. Ed anche secondo la Sua dottrina, solo quando lo spirito è la forza unificatrice può realizzarsi quella solidarietà organica, nella quale — in antitesi con ogni internazionalismo — molteplicità e gerarchia, autonomia particolare e legge generale si conciliano e si integrano a vicenda. Se, in una forma o nell’altra, questa resta la condizione per ogni unità europea, in che cosa può Lei ormai indicare un punto di riferimento del genere, qualcosa che possa unificare il sistema europeo di Stati «dall’alto», altrimenti che attraverso gli interessi temporali, più o meno contingenti, di un gruppo di maggiori Potenze?

Il prof. Spann sorride e risponde:

— Lei mi vuol condurre in un campo minato. Sono d’accordo sulle premesse, ed è inutile celare che chi si ponga su di un piano superiore deve vedere l’avvenire con tinte piuttosto oscure. Ma così come oggi stanno le cose, sarebbe già molto riuscire a porre, come decisivo, un superiore scopo «europeo» e liquidare definitivamente ogni residuo democratico e razionalistico. Pensare, di là da ciò ad una organizzazione spirituale europea sul tipo di quelle antiche, è ancora prematuro. Essa sarà possibile solo quando saranno presenti altri presupposti spirituali e, essenzialmente, un nuovo clima di civiltà. Tutto quel che intanto si può fare, è dare a coloro che, nei singoli Stati, malgrado tutto, lottano per un rinnovamento spirituale di mentalità, la sensazione di essere uniti in un fronte invisibile a che essi tengano fermo e la loro azione, poco a poco, prepari forze che forse, domani, nuove generazioni potranno sviluppare fino alla formazione di nuova comunità spirituale europea di cultura.



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"In una civiltà tradizionale è quasi inconcepibile che un uomo pretenda di rivendicare la proprietà di una idea e, in ogni caso, in essa chi così facesse, con ciò stesso si priverebbe di ogni credito e di ogni autorità, poiché condannerebbe l’idea a non esser più che una specie di fantasia senza alcuna reale portata. Se una idea è vera, essa appartiene in egual modo a tutti coloro che sono capaci di comprenderla; se è falsa, non c’è da gloriarsi di averla inventata. Una idea vera non può essere «nuova», poiché la verità non è un prodotto dello spirito umano, essa esiste indipendentemente da noi, e noi abbiamo solo da conoscerla. Fuor da tale conoscenza, non può esservi che l’errore" (R. Guénon)

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