30 novembre 2018: oggi è l’ottantesimo anniversario della tragica esecuzione di Corneliu Codreanu e di altri tredici Legionari. Nel ricordo indelebile dell’Esempio del Capitano, che portò avanti la propria battaglia fino all’estremo sacrificio, proponiamo la seconda parte dell’articolo con cui Evola, sulle colonne de “La Vita Italiana”, nel dicembre 1938, ricordava la figura di Codreanu e della Guardia di Ferro, ripercorrendo anche, da cronista, la drammatica escalation di eventi che condussero all’irreparabile epilogo.
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di Julius Evola
Tratto da “La Vita Italiana“, XXVI, 309, dicembre 1938
segue dalla prima parte
Per quanto abbia figurato due volte al parlamento come deputato, Codreanu fin dall’inizio si è schierato decisamente contro la democrazia; secondo le sue testuali espressioni, la democrazia spezza l’unità della stirpe col suo partitismo; è incapace di continuità nello sforzo e di responsabilità; è incapace di autorità mancandole la forza della sanzione e facendo dell’uomo politico lo schiavo dei suoi partigiani; è al servizio di una grande finanza; trasforma milioni di ebrei in cittadini romeni. Codreanu affermava, per contro, il principio della selezione sociale e delle élites. Egli ha avuto una precisa intuizione della nuova politica delle nazioni intese a ricostruirsi, il cui principio non è democrazia, né dittatura, bensì un rapporto fra nazione e capo come potenza ad atto, di oscuro istinto ad espressione. Il capo di queste nuove forme politiche non è eletto dalla folla, ma la folla, la nazione consente con lui e riconosce nelle sue idee le proprie idee.
Il presupposto è una specie di risveglio interiore, che prende inizio nel capo e nella élite. Vale riportare le parole di Codreanu: «É una forma nuova di reggimento degli Stati, mai incontrata finora. Non so che denominazione prenderà, ma è una forma nuova. Credo che abbia alla base questo stato di spirito, questo stato di elevata coscienza nazionale che, prima o poi, si estende fino alla periferia dell’organismo nazionale. È uno stato di luce interiore. Ciò che prima giaceva negli animi come per istinto della stirpe, in questi momenti si riflette nelle coscienze, creando uno stato d’unanime illuminazione, quale si incontra solo nelle grandi esperienze religiose. Questo stato giustamente si potrebbe chiamare: uno stato di ecumenicità nazionale. Un popolo nella sua interezza arriva alla coscienza di sé stesso, del suo senso e del suo destino nel mondo. Nella storia non abbiamo incontrato nei popoli altro che lampi di un attimo: da questo punto di vista, oggi ci troviamo di fronte a dei fenomeni nazionali permanenti. In questo caso il capo non è più un «padrone» che fa «quello che vuole», che governa secondo il suo beneplacito: egli è l’espressione di questo stato di spirito invisibile, il simbolo di questo stato di coscienza. Egli non fa quello che vuole, fa quello che deve. Ed è guidato, non dagli interessi individuali, né da quelli collettivi, bensì dagli interessi della nazione eterna, alla coscienza della quale sono arrivati i popoli. Nel quadro di questi interessi, e soltanto nel quadro loro, trovano il massimo di soddisfazione normale tanto gli interessi personali che quelli collettivi».
Che poi il Codreanu non escludesse, che queste forme nuove di nazionalismo potessero conciliarsi con le istituzioni tradizionali, lo provano le sue idee sull’istituto monarchico, trovanti espressione nelle parole seguenti: «Respingo la repubblica. A capo delle stirpi, al di sopra delle élites, si trova la monarchia. Non tutti i monarchi, sono stati buoni. La monarchia, però, è stata sempre buona. Non bisogna confondere l’uomo con l’istituzione, traendone conclusioni false. Possono esserci preti cattivi, ma non per questo possiamo trarre la conclusione che bisogna sciogliere la Chiesa e lapidare Dio. Ci sono certamente monarchi deboli o cattivi, ma non possiamo rinunciare alla monarchia. Esiste una linea di vita della stirpe. Un monarca è grande e buono, allorchè si mantiene su questa linea; è piccolo e cattivo, nella misura in cui si allontana da questa linea di vita della stirpe, o le si oppone. Molte sono le linee che possono tentare un monarca. Egli deve scartarle tutte e seguire la linea della stirpe. Ecco la legge della monarchia».
Se, nei punti essenziali, queste sono le idee di Codreanu e della sua «Guardia di Ferro», le vicende della sua lotta riescono tragicamente incomprensibili e, fino ad ieri, sembravano dovute soltanto a qualche sciagurato malinteso. Diciamo fino ad ieri, perchè nella misura in cui in Romania sussisteva il puro sistema democratico, con il suo noto asservimento da parte di ogni specie di influenza indiretta e mascherata, e con un istituto monarchico soltanto simbolico, si poteva capire che un movimento, come quello di Codreanu, venisse ostacolato con ogni mezzo e ad ogni costo, ieri mediante date formule, oggi magari con le formule contrarie, secondo ragioni di opportunismo, purchè l’effetto fosse lo stesso e il pericoloso avversario venisse scalzato.

Il giornale “La Verità” fu uno dei tanti avversari di Codreanu. Nel trafiletto centrale si può notare un’esaltazione degli “eroi russi”.
E si potevano capire queste amare constatazioni del Codreanu: «nel 1919, ’20, ’21, l’intera stampa israelitica dava l’assalto allo Stato romeno scatenando dappertutto il disordine ed esortando alla violenza contro il regime, la forma di governo, la Chiesa, l’ordine romeno, l’idea nazionale, il patriottismo. Ora, come per incanto (nel 1936), la stessa stampa, condotta esattamente dagli stessi uomini, s’è trasformata in protettrice dell’Ordine di Stato, delle leggi, si dichiara contro la violenza e noi siamo divenuti i «nemici del paese», gli «estremisti di destra», «al soldo e al servizio dei nemici del romenismo». E prima che sia finita, sentiremo anche questa: che siamo sovvenzionati perfino da ebrei». E Codreanu continua: «Riceviamo sulla guancia e sulle nostre anime romene scherno sopra scherno, schiaffi sopra schiaffi, fino a vederci veramente in questa terribile situazione: gli ebrei difensori del romenismo, al riparo di ogni noia, vivere nella tranquillità e nell’abbondanza; e noi, nemici del romenismo, con la libertà e la vita in pericolo, inseguiti come cani idrofobi dalle autorità romene. Io ho visto coi miei occhi ed ho vissuto queste ore, amareggiato fin nel profondo dell’anima. Metterti a lottare per la tua terra, puro nell’anima come la lagrima degli occhi, e lottare per anni e anni nella povertà e nella fame nascosta, ma straziante, per vederti poi, ad un dato momento, dichiarato nelle fila dei nemici del paese, perseguitato dai romeni, con la taccia che lotti perchè sei pagato dagli stranieri, e per vedere l’intera gente ebrea padrona del paese, elevata a protettrice e custode del romenismo e dello Stato romeno minacciato da te, gioventù del paese, è qualcosa di terribile!».
E che queste non siano parole, il lettore può rendersene conto scorrendo il libro, che contiene la documentazione dell’intera via crucis della «Guardia di Ferro»: arresti, persecuzioni, processi, diffamazioni, violenze. Lo stesso Codreanu subì vari processi, ma, fino ad ieri, sempre era stato assolto: perfino in un processo di omicidio, avendo egli ucciso di sua mano i carnefici dei suoi camerati, e in tale occasione, cosa significativa, ben diciannovemila e trecento avvocati di tutto il paese si erano iscritti proponendosi suoi difensori.

Octavian Goga (1881 – 1938)
Dopo l’esperimento Goga, in Romania il regime democratico sembrò aver termine e una nuova forma autoritaria di governo subentrare. Si sa poco dei retroscena di tali rivolgimenti, all’estero. Benchè la «Guardia di Ferro» fosse stata sciolta, pure anche in questa nuova fase della politica romena si cela la continuazione della lotta fra Codreanu e le forze avverse alla sua concezione della nazione e dello Stato. Si vuole che il governo Goga fosse stato costituito a titolo di esperimento e, simultaneamente, per una precisa ragione tattica. Col nazionalismo e l’antisemitismo moderati di Goga si cercò di stornare le forze, che il movimento di Codreanu attirava e sempre più guadagnava, offrendo un surrogato facilmente addomesticabile. Per usare la frase mussoliniana pronunciata a proposito del plebiscito proclamato dalla Schuschnigg, ci si accorse però che l’esperimento era pericoloso e che l’ordigno poteva scoppiare nelle mani di chi l’aveva preparato. Il regime Goga non fu preso come un sorrogato, del quale ci si accontenti, ma invece come segno di un preliminare assentimento alla corrente nazionalista integrale: non contava il fatto, che Goga fosse decisamente avverso a Codreanu (e questa era una delle ragioni della sua scelta), ma contava piuttosto il suo programma, che andava incontro al nazionalismo e all’antigiudaesimo. Oltrechè ad una revisione della politica internazionale romena. Per cui, se le elezioni annunciate da Goga fossero avvenute, con grande probabilità egli sarebbe stato travolto da una corrente più forte di lui, benchè della stessa direzione.
Riconoscendo questo pericolo, il Re decise di intervenire personalmente. Egli pose fine al partitismo democratico, e fece promulgare una costituzione, nella quale l’essenziale era l’accentramento del potere, direttamente o indirettamente, nelle mani del monarca. Una rivoluzione autoritaria dall’alto, partente dalla corte anziché dalla piazza, come si disse. Dinanzi a ciò, la «Guardia di Ferro», prevenendo l’avversario, sciolse volontariamente il partito che aveva creato, il «Tutto per la Patria», si ritirò silenziosamente, proponendosi di concentrare la sua azione essenzialmente sul piano spirituale, di agire soprattutto nel senso di formare spiritualmente e selezionare la gran massa degli aderenti che, nell’ultimo periodo, e soprattutto per ciò che si pensava seguire al governo di Goga, era affluita nelle fila di Codreanu.
In tale periodo noi siamo stati in Romania, e la soluzione che elementi romeni fra i più seri credevano desiderabile e probabile era una superamento dell’antico contrasto e una collaborazione, su base nazionale, fra regime e legionarismo. Questa non era solo l’opinione espressaci dal principale teorico romeno dello Stato, del Manoilescu, o da chi aveva facilitato in modo non indifferente il ritorno del Re in Patria, come Nae Jonescu, ma anche il ministro Argetoianu, massimo ispiratore della nuova costituzione, in un colloquio che allora avemmo con lui, non escludeva questa collaborazione, semprechè – così egli si espresse – la «Guardia di Ferro» rinunciasse ai suoi antichi metodi.
Non saremmo certo noi a contestare che, in condizioni normali, quando essa abbia l’interezza della sua potenza e del suo significato, la monarchia non abbisogni di nessun duplicato dittatoriale per esercitare regolarmente la sua funzione. Le cose non stanno così in uno Stato in cui alla fides tradizionale si sia sostituito l’intrigo politico, in cui l’idra ebraica abbia avvolto con i suoi tentacoli i massimi nuclei vitali della nazione e la democrazia partitistica abbia minato l’integrità etica e il sentimento patriottico di vasti strati politici. In tali condizioni, è necessario un movimento rinnovatore totalitario, qualcosa che, in un moto d’insieme, travolga, fonda, trasformi e porti di nuovo in alto l’intera nazione, basandosi essenzialmente su di uno stato di coscienza e sulle forze di un ideale e di una fede. E l’istituto monarchico, qualora sia presente, da una tale movimento totalitario nazionale non è abbattuto, ma invece potenziato e integrato: come sta a dimostrarlo l’esempio stesso dell’Italia. In tali termini si riteneva dunque desiderabile e possibile la collaborazione fra il nuovo regime e il movimento nazionale legionario di Codreanu, specialmente dato che, come si è visto, Codreanu senz’altro difendeva l’idea monarchica e che – nessuno fra i suoi stessi avversari ha supposto una cosa simile – mai ha pensato di proporsi lui stesso nuovo Re di Romania.
I più recenti avvenimenti hanno dimostrato illusorie queste speranze e hanno fatto precipitare il dramma. Poco dopo la sanzione definitiva della nuova costituzione, Codreanu viene ancora una volta arrestato. Perchè? Dapprima ci si ricorda, dopo molti mesi, e mentre in quasi tutta la sua carriera, spinto dalle circostanze, non aveva quasi fatto altro, che egli aveva oltraggiato un ministro. Più tardi lo si accusa di complottare contro la sicurezza dello Stato. Ma la verità è che l’arresto di Codreanu avvenne quasi all’indomani dell’Anschluss, per cui è estremamente verosimile che esso sia stato dettato dal timore che, come ripercussione del trionfo del nazionalsocialismo austiaco, le forze, tenute in freno, del nazionalismo romeno scattassero. Si volle perciò toglier di mezzo, in un modo o nell’altro, il capo di quest’ultimo.
Il processo si conclude con la condanna di Codreanu a dieci anni di reclusione: simultaneamente viene arrestato un gruppo di capi secondari e una quantità di gente sospetta di appartenere alla «Guardia» o di solidarizzare con essa. Che con ciò si venisse ai ferri corti, e si fosse ben lungi da una stabilizzazione della situazione politico-nazionale romena, apparve chiaro a ognuno. Non può sfuggire il fatto che, mentre i precedenti processi contro Codreanu svoltisi in un periodo in cui le forze a lui avverse avevano facile giuoco attraverso la corruzione democratica, si erano dovuti concludere invariabilmente con delle assoluzioni, proprio nel nuovo periodo della costituzione antidemocratica e «nazionale» si giunge invece ad una condanna, cosa equivalente ad un guanto di sfida gettato a tutte le forze del legionarismo nazionale romeno, non meno presenti e numerose, per esser, allora, latenti e poco individuabili. E per quanto del nuovo processo poco di preciso si sia risaputo, è chiaro che quella condanna o era troppo, o era troppo poco: poiché se veramente di complotto contro lo Stato il Codreanu avesse potuto essere positivamente convinto, dato l’animus che aveva condotto al processo, vi era, in ciò, una ottima occasione per levarlo definitivamente di mezzo, per quel reato essendo prevista, nella nuova costituzione, la stessa pena di morte. Ci si era invece dovuti limitare a dieci anni.

Funerali di Codreanu celebrati a Bucarest nel 1940
Quel che non si era osato in quel momento, doveva però esser fatto più tardi e quel che si poteva prevedere, accadde fatalmente. Passato il primo momento di stupefazione, le forze fedeli a Codreanu passano ad un’azione terroristica di rappresaglia, il «battaglione della morte» entra in azione, e si costituisce un «tribunale nazionale» segreto inteso a giudicare ed a colpire coloro che, secondo il punto di vista legionario, maggiormente si rendevano colpevoli verso la nazione. Questo rivolgimento si acuisce particolarmente dopo la capitolazione di Praga e il convegno di Monaco, ma purtroppo conduce solo ad una situazione sempre più difficile: gli arresti si moltiplicano, ingiustizia chiama contro di sé ingiustizia, recentemente il rettore dell’università di Cluj, persona particolarmente avversa alla «Guardia», viene ucciso, due governatori di provincia ricevono il decreto di morte, da eseguirsi entro gennaio, da parte del misterioso «tribunale nazionale» legionario, si ha la sensazione del suolo minato fino al punto che altissime personalità, compreso un principe di sangue e il generale Antonescu, già ministro della guerra sotto il governo Goga e attualmente comandante il II Corpo d’Armata, vengono rimosse o bandite o arrestate. Gli avvenimenti precipitano e presso ad un inasprimento di entrambe le parti, si giunge alla fase finale della tragedia. Il 30 novembre un laconico comunicato ufficiale annuncia che Codreanu insieme a tredici altri legionari, elementi direttivi del movimento, parimenti arrestati, è stato ucciso dalla polizia in un tentativo di evasione. I loro corpi sarebbero stati inumati, dopo le constatazioni d’uso, tre ore dopo, cioè quasi immediatamente, troncando così la possibilità di ogni ulteriore inchiesta.
Il punto-limite della tensione così è raggiunto, l’impressione è destata dall’avvenimento in tutta la Romania, ove i fedeli di Codreanu ormai erano più milioni, è enorme, e lo stato d’assedio, che già vigeva per varie regioni, viene esteso per tutto il Regno. Con il che, la situazione romena appare così torbida, come in pochi momenti di tutta la storia della nazione.
Abbiamo visto e rilevato che o si deve pensare che Codreanu fosse in completa malafede, cosa però che chiunque lo abbia avvicinato per pochi minuti o abbia sentito la fede, l’entusiasmo, la profonda sincerità di cui ogni suo scritto sono compenetrati, deve escludere; ovvero non si può ammettere che il suo movimento avesse comunque un carattere sovversivo, finalità comunque diverse da una ricostruzione nazionale e antisemita di tipo «fascista» o nazionalsocialista, rispettante altresì il principio monarchico. E allora? Allora è legittimo porsi il problema delle vere forze, che han provocato, o almeno propiziato, la tragedia della «Guardia di Ferro». Al momento dell’ultimo arresto di Codreanu eravamo a Parigi, e noi abbiamo udito un vero grido di gioia delirante che ha accompagnato tale notizia nei figli dell’antifascismo e del giudeo-socialismo. Non è azzardato dire che, dopo la Cecoslovacchia, in tutta l’Europa centro-orientale la Romania è l’ultimo tappeto, ricco di numerose risorse, prezioso sia dal punto di vista economico che da quello strategico, che sia rimasto ancora libero al giuoco delle forze oscure agenti nelle «grandi democrazie», nell’alta finanza, nel giudeo-socialismo: e per tali forze assumere gli interessi di persone dai limitati orizzonti come mezzo e fine e passare su dei cadaveri, sia pure di giovani nobili e generosi, votati solo al bene del paese, non è uno scherzo…
'La tragedia della “Guardia di Ferro” Romena: Codreanu (II parte)' has no comments
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